Tante volte ripenso alla mia vita a Catania, mi vengono in mente immagini che si sovrappongono, si compongono e si frantumano nei giochi dei ricordi. Quasi si materializzano persone e personaggi che hanno scandito il trascorrere di epoche e periodi. E poi sapori, odori, il ricordo delle improvvise folate di vento dell'Etna che rendeva gelide delle splendide giornate di sole. Un passato interiorizzato che mi appartiene e nello stesso tempo è lontano in un mondo diverso.

É arrivato un pacchetto di Natale con delle paste di mandorle, mi siedo al tavolo da pranzo, lo apro in religioso silenzio. Prendo un piattino, apro il sacchetto di plastica con attenzione, infilo due dita e ne prendo un pezzettino mentre l'aroma mi arriva al cervello. Porto quel frammento di pasta di mandorla alle labbra percependo l'odore e la morbidezza dello zucchero. Socchiudo le labbra e in quel pezzetto di pasta di mandorla percepisco un mondo. Lo sguardo mi cade sul ramoscello coi fiori rosa stampato sul sacchettino di plastica, lo sfioro con la punta delle dita, guardo fuori e sull'oceano splende lo stesso sole che fra qualche ora tingerà di chiaro l'Etna e d'un tratto la mia isola non mi sembra più così lontana.

Le paste di mandorla, quei dolcetti tipicamente siciliani che non sono biscotto né pasticcino, forse potrebbero definirsi biscotti morbidi, ma sarebbe un controsenso perché il biscotto non è morbido per definizione. Le paste di mandorla non devono confondersi con la pasta di mandorla, perché la differenza non è nel numero plurale o singolare ma nella sostanza. Le prime sono dei dolcetti da forno fatti con mandorle, albumi, zucchero e scorza di limone, la seconda, al singolare, chiamata anche pasta reale, è invece una base per altri dolci.

Simile al marzapane, se ne differenzia per l’assenza di albume nei suoi ingredienti che sono mandorle dolci e mandorle amare, zucchero, acqua, limone, cannella e vaniglia.

Le origini di questo biscotto dal cuore morbido, come anche della pasta di mandorle, secondo alcuni, risalgono agli Arabi che nel VI secolo preparavano dolci mescolando zucchero, frutta secca e spezie, secondo altri invece le origini si troverebbero nel convento palermitano della Martorana (da cui il nome della frutta Martorana), annesso alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio (Giovanni di Antiochia, ammiraglio di re Ruggero II) dove nell’XI secolo frati e monache realizzavano dolci con acqua, mandorle e zucchero. Poiché questi dolci venivano poi recapitati a re Ruggero II, la pasta di mandorla e la frutta Martorana venivano chiamati anche pasta reale perché degna del re.

La pasta di mandorla o pasta reale è stata riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale siciliano e prodotto agroalimentare tradizionale italiano (PAT) e il suo utilizzo, seppur diffuso per vari dolci, è esaltato nella frutta Martorana, autentica riproduzione di frutti veri che vengono preparati con questa pasta base e poi dipinti per essere copie fedeli di frutta come i fichi d’India, i mandarini, le castagne, i fichi e tanti altri. Sempre con la pasta di mandorle vengono preparati gli agnelli pasquali, di solito presentati in dei cestini e con un vessillo sulla schiena.

Secondo la tradizione, la frutta Martorana nacque in occasione di una visita vescovile. Infatti, la fama della bravura culinaria delle monache del convento era giunta al vescovo di Palermo che volle andare a vedere di persona il giardino e l’orto del monastero che erano considerati fra i più belli della città. La visita però avvenne in autunno per la festa di Ognissanti quando il giardino era spoglio e privo di frutti. Le monache, senza perdersi d’animo, ricrearono i frutti e li appesero agli alberi per farli apparire in piena produzione e non deludere l’ospite illustre. Nel 1575, però, la corporazione dei Confettari chiese il monopolio della produzione di questi dolci e il sinodo diocesano di Mazara del Vallo gliela concesse proibendo alle suore la produzione perché arrecava troppa distrazione al raccoglimento religioso.

Nell’800 l’aristocrazia siciliana iniziò ad acquistarli in occasione della commemorazione dei defunti e a regalarli ai bambini come doni da parte di chi non c’era più.

La frutta Martorana viene preparata anche a Napoli dove si narra che quando il re Ferdinando IV di Borbone, sopranominato Re Nasone, si recò a far visita al convento di San Gregorio Armeno trovò ad attenderlo una schiera di suore che avevano preparato per lui ogni sorta di prelibatezza. Il re, che aveva appena pranzato, pensò non fosse il caso di immergersi di nuovo in quella tavola imbandita fatta di aragoste, pesci arrostiti, polli e fagiani e splendida frutta. Le suore, sempre allegre e con il sorriso sulle labbra, pregarono re Ferdinando di assaggiare qualcosa e con sorpresa il sovrano scoprì che si trattava solamente di dolci, appunto di pasta di mandorla, scolpita sapientemente e dipinta a mano tanto da far sembrare quelle leccornie del cibo vero.

A differenza della Sicilia, la frutta Martorana a Napoli è una tradizione natalizia insieme agli struffoli, ai mustaccioli e ai susamielli. La pasta di mandorle, all’uopo venduta in panetti, è l’ingrediente, insieme all’acqua, per preparare il latte di mandorla, bevanda tipica siciliana che nulla ha a che vedere con il latte di mandorla che, privo di zucchero, si trova oggi in brick nei supermercati di tante parti del mondo.

Sempre la pasta di mandorle è alla base della preparazione della granita siciliana, di decorazioni per torte e della frutta mascherata, un classico della cucina francese in cui la frutta secca come i datteri viene tagliata, si rimuove il nocciolo e si farcisce con una pallina di pasta di mandorle.

La pasta di mandorle o pasta reale, a Catania, è utilizzata per fare le olivette di S. Agata in onore della patrona e, nella versione al pistacchio, è utilizzata in tutta l’isola come involucro della cassata. A differenza dei colori sgargianti della frutta Martorana, le paste di mandorla si presentano candide e ricoperte di zucchero a velo, a forma di “S” o tonde e dorate con una ciliegina candita al centro, ricoperte di pinoli e, infine, nella variante al pistacchio tipico all’origine della zona di Bronte, zona di produzione dei pistacchi, ma le differenze sono solo decorative perchè la pasta è sempre fatta con mandorle, zucchero, aroma e acqua.

Data la semplicità degli ingredienti, fondamentale per la riuscita di questi dolcetti è la qualità delle mandorle e proprio in Sicilia vengono coltivate tre cultivar di mandorlo che producono mandorle tra le più pregiate al mondo: pizzuta, fascionello e romana (o corrente d’Avola), tutte utilizzate per la confetteria e pasticceria. Riunite sotto la denominazione di mandorla di Avola, dal nome della località in provincia di Siracusa dove avviene la coltivazione, sono protette da un apposito consorzio che certifica i singoli passaggi della produzione e commercializzazione.

La pasta di mandorle si trova anche in Calabria, Puglia, Campania, Lazio e Sardegna ma è in Sicilia che è riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale mentre la Puglia ha registrato il pesce e l’agnello di pasta di mandorle, tipici rispettivamente del Natale e della Pasqua. Nel Salento per molti anni la pasta di mandorle è stata fatta quasi esclusivamente dalle monache benedettine custodi dell’antica ricetta, le cui origini risalgono probabilmente al XV secolo, mentre in quella zona il suo trionfo avvenne nel XVII secolo durante il fastoso Barocco. Le monache vendevano ogni anno decine di chili di pasta di mandorla modellata, invece che a forma di frutta come nel caso della Martorana, in forma di pesci, di agnelli pasquali, di frutta o di conchiglie marine per il fasto delle famiglie aristocratiche. Ed ecco la caratteristica principale di questi dolci: ancor oggi essi sono fabbricati con queste stesse forme che non cambiano da almeno quattro secoli.