Abbassa lo sguardo. I suoi occhi si posano al pavimento come per cercare un appiglio, una solidità che ora non possiede. I suoi occhi desiderano un piano. I suoi occhi vogliono un terreno sicuro alternativo al piano scivoloso, incerto e mobile sul quale teme di poggiare i piedi in questo momento.

Porta all’ingiù anche il capo, oltre allo sguardo. China leggermente la testa, quasi a nasconderla tra le spalle. Osserva la situazione restando in disparte, due passi indietro. Se potesse, vorrebbe diventare invisibile, scomparire, non essere lì. Le guance cambiano colore: dapprima rosate, poi rosse come il fuoco quando arde davvero.

Esita, tentenna, è in soggezione. La sua voce esce dalla bocca come un soffio, con brevi frasi sussurrate che sembrano non volersi far ascoltare.

Una presenza discreta

Lui è così. Lei è così. Lei, la timidezza è così: flebili segni esteriori ne decretano una presenza discreta.
Sovrapponiamo talvolta l’immagine delle persone timide a quella delle persone introverse ma non è corretto. Le introverse recuperano energie stando da sole, guardando al loro interno, cercando dentro di sé la carica per nuove luci. Le timide invece rivolgono comunque il loro sguardo verso ciò che sta fuori ma restano dietro uno scudo protettivo che le difende dalla sfacciataggine e dall’intarsio delle querule relazioni altrui. Diffidano dei contesti affollati. Patiscono le domande. Soffrono le incursioni nel proprio io.

Le persone timide non temono l’esterno ma temono che l’esterno sconvolga la loro riservatezza e infranga a colpi d’ascia quello scudo così rassicurante che si sono costruite nel tempo, intessuto di dubbi, di preoccupazioni, di mille domande che fanno capriole nella loro testa.

Sono timido, sono timida, ho timore

Le parole che ruotano attorno alla timidezza sono le parole della paura. Timeo, verbo latino che significava ‘temere’ e ‘preoccuparsi’, è l’antenato della timidezza. Nell’essere timido, temo. Nell’essere timido, sono in apprensione. Nell’essere timido, sono in preda a paura, a trepidazione e a un po’ di batticuore. Timore e timidezza sono sostantivi cugini. Così come gli aggettivi timoroso e timido. Ma quella cuginanza al primo sguardo ci sfugge: dobbiamo scrutare con attenzione i tratti del volto di quell’antenato ingombrante per scorgere gli elementi di somiglianza nei discendenti.

Una massima di un medico francese vissuto a cavallo tra diciottesimo e diciannovesimo secolo, Edmé François Chauvot de Beauchêne, illumina il concetto: “La timidezza è composta dal desiderio di piacere e dalla paura di non riuscirci”. La timidezza è dunque un miscuglio, una miscela di desiderio e di paura: sono elementi contrapposti che combattono tra di loro, in una contesa senza fine. Sinonimi di timido sono quindi pauroso, pavido, timoroso, trepidante.

Schivare i rischi e i pericoli

Ma il significato della parola non si esaurisce qui. Timido è anche riservato, esitante, insicuro, schivo. Ecco, schivo, per l’appunto. Una persona schiva sta nelle retrovie, è riluttante, evita di trovarsi in una situazione sgradita, fastidiosa o dannosa. Per carattere, per abitudine, per temperamento, la persona schiva preferisce non esporsi. E così la timidezza s’impasta con lo scansare i pericoli. L’aggettivo schivo è connesso ovviamente con il verbo schivare, che significa scansarsi, evitare un colpo grazie a uno spostamento rapido, grazie a un balzo che consente di togliersi dall’impiccio. La parola schivare è un prestito germanico per il tramite di altre lingue: l’occitano esquivar ha generato schivare e schifare, da cui schifo quella sensazione di robusto disgusto fisico o morale che ti assale di fronte a qualcosa che proprio non ti va. Se qualcosa ti fa schifo, la eviti, la scansi, la schivi, appunto.

Shy, il timido inglese

La lingua inglese ci regala una sorprendente connessione con questi concetti. Timidezza in inglese si traduce per lo più con shyness. La persona timida è shy. Ebbene, proprio un antico antenato protogermanico, che si ritrova nell’antico tedesco e nell’olandese, ha generato sia shy che schivo. Se osservi da vicino le due parole, se prendi la lente d’ingrandimento della tua forte curiosità e la poni sopra i due aggettivi, quello inglese e quello italiano, riconosci presto gli elementi di consanguineità. Ecco, shy e schivo sono parenti.

E questo rinforza l’idea che essere in preda alla timidezza significa anche evitare di mettersi in prima linea. Vuol dire sottrarsi al contatto diretto con gli altri. Vuol dire provare a scansare l’ansia che genera uno sguardo, un tocco di dita, una parola ben tornita che rischia di rompere quello scudo che le persone timide si sono costruite per tentare di schivare ciò che non può essere schivato per sempre.