In una delle scene più famose della filmografia hollywoodiana un insegnante di letteratura, John Keating (interpretato da uno straordinario Robin Williams) durante una sua lezione sale sulla cattedra e dice: “sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a veder voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva”.

C’è un mondo silenzioso di luci, colori, visioni. Realistico ma allo stesso tempo metafisico, concreto ma allo stesso tempo evanescente. Un mondo dove il dato reale attraverso il processo creativo viene restituito nella sua essenza ideale. Un mondo dove la luce rappresenta una componente fondamentale che interviene sulle opere ampliandone i confini e creando forme imprevedibili, sempre diverse. Una realtà in continua trasformazione ed evoluzione ed in continuo e costante dialogo con l’interiorità, la spiritualità. È il mondo di Francesco Candeloro del quale abbiamo ben presenti le sagome in plexi dedicate alle città, al loro skyline, al profilo del panorama che delineano gli edifici di una città e i loro punti più elevati. Un universo di visioni molteplici che esprimono il flusso del reale. Osservando le sue opere mi sono ricordato proprio del film citato in apertura perché le opere di Candeloro sono proprio un grande stimolo per tutti noi poiché ci invitano a vedere le cose da un punto di vista diverso.

Tutto questo è possibile ammirarlo presso A Arte Invernizzi dove è in corso la mostra Francesco Candeloro. Luoghi Misure Variazioni, con una selezione di lavori molti interessanti. In una sala sono esposti proprio alcuni skyline in plexiglass “visioni di un “architetto dell’immateriale” e insieme testimonianza del vissuto dall’artista”. Sullo stesso piano, in un’altra sala troviamo Vie di Luci nel Tempo (Beirut) (2018), opera attraverso la quale Candeloro indaga “i molteplici aspetti della realtà con immagini in trasparenza che ampliano la percezione dell’osservatore in un continuo alternarsi di nascondimento e rivelazione”. Al piano inferiore troviamo altre opere che caratterizzano la poetica di Candeloro e cioè le sovrapposizioni di fogli di acetato. Si tratta di nove “libri” costituiti da fogli colorati riportanti delle fessure che rappresentano un filtro nel continuo scambio dentro/fuori, interno/esterno.

L’immagine dalla quale, nella sua rivelazione fotografica, proviene tutta l’opera di Candeloro, e la sua qualificazione fisica, in una concezione sempre più autonoma della forma rispetto alle istanze della rappresentazione, costituisce di per sé un filtro tra la materialità della cosa e la sua idealizzazione. Questo carattere di intermedialità che pone di per sé l’opera su un limite fra la presenza e l’assenza, si rivolge da una parte a forme note, in certa misura verificabili, e dall’altra a sagome in via di definizione, che ricevono la loro consistenza momentanea nel loro riproporsi, sotto diverse ipotesi, nel modo in cui i lavori appartenenti alla categoria delle composizioni a molteplici strati possono essere squadernate a parete secondo logiche geometriche variabili. In entrambe le soluzioni le opere di Candeloro operano sul piano di un trasferimento. Da una parte la sagoma di un profilo di città si materializza, in una posizione non necessariamente riconoscibile, come ripresa di un luogo altro assorbito nella luce che essa stessa genera nello spazio in cui la sua immagine sintetica e astratta si trova; dall’altra le composizioni a parete alludono a un inoltrarsi in una dimensione nascosta, intima, che si rivela nascondendosi. La superficie, in entrambi i casi, diventa parte di un processo complesso, dal piano al labirinto.

(Francesco Tedeschi, curatore della mostra)