Basta ammirare una foto di Maria Laura Baccarini per intuirla luminosa e coinvolgente. Una donna audace e dal futuro sempre aperto, che pare non essere particolarmente afflitta da quella scocciatura dei tormenti interiori, così diffusa fra le signore che amano complicarsi le cose. Invece lei inneggia alla vita, da brava artista poliedrica quale è, passata dalla ginnastica artistica (chi se la ricorda nel suo debutto televisivo con Giancarlo Magalli e la regia di Gianni Boncompagni nel 1986?), ai palchi più prestigiosi d'Europa per declinare tutto il suo finissimo talento, condiviso fra danza, recitazione e canto. Da Parigi che per lei è ormai casa, ci racconta questo momento in cui pare che tiri aria (e di conseguenza vita) nuova. Attualmente la Baccarini è in scena con Atalanta, nient'altro che la mitologia greca raccontata da Gianni Rodari, l'indimenticabile scrittore e favolista cui tante infanzie serene sono riconoscenti.

Il panorama resta difficoltoso, ma forse il peggio è alle spalle: come è trascorso per lei questo tempo? Ha più pianificato o invece “panificato”? Non so se lo sa, ma, durante il lockdown, la maggior parte degli italiani ha fatto fuori tutte le scorte di lievito possibili.

Pianificare non è una mia prerogativa caratteriale, temo però che mai come in questo momento si sia risvegliata in noi la coscienza della fragilità della vita. Pianificare è un palliativo, ci illude di poter avere una sorta di “controllo” sulla nostra esistenza… per la “panificazione” anche io ho fatto la mia parte. Mi sono divertita in esperimenti di ogni tipo, ma soprattutto facevo una scommessa quotidiana: andare a fare la spesa soltanto quando ogni cosa fosse finita nella dispensa. Mi sono così liberata dalla sindrome del “frigo pieno” ed ho inventato ricette improbabili utilizzando ogni volta tutto quello che avevo.

Ma qual è stata la prima cosa che ha fatto quando le è stato permesso di uscire?

Ho camminato attraversando tutta la città a piedi. Parigi, un po' come Roma, ti sorprende sempre. Ormai sono sedici anni che vivo qui.

A proposito di questa sua permanenza nella Ville Lumière, presumo che lei sia orgogliosamente italiana anche nel sentirsi di casa a Parigi: c'è qualcosa che le due nazioni dovrebbero prendere a prestito l'una dall'altra per poter migliorare vicendevolmente? Andando ancora più indietro, il suo trasferimento in Francia che sulla carta sembrava un azzardo, si è rivelato poi un’intuizione vincente. Ma all'epoca si era trasferita qui più per curiosità, casualità, necessità o altro ancora?

Sono italiana… a partire dal modo di comunicare sentimenti ed emozioni. Non ho perso la mia identità, piuttosto mi sono abituata ad un’attenzione educata e profonda che i francesi hanno per lo spazio altrui. Se l’italiano prendesse in prestito il senso della “collettività” del francese, guadagneremmo tutti quello che definirei la consapevolezza del potere di un popolo. In Francia il “furbo” non è un “eroe”… e questo mi piace molto. Al francese invece farebbe bene prendere in prestito la spontaneità dell’italiano, la capacità di vivere l’istinto, l’intuito, il coraggio di esprimere i sentimenti forti. Per educazione tante di queste qualità a volte rimangono bloccate nei francesi, represse o persino censurate dall’intelletto. Quello che mi ha attirato della Francia è l’importanza che viene data alla cultura per cui, visto che sono un’esploratrice, e che mi lancio da sola delle sfide, ho pensato che la possibilità di entrare in un Paese così complesso ed esigente mi abbia stimolata a cercare un nuovo linguaggio. Ho imparato davvero molte cose in questi anni.

Ritorniamo al lato artistico, la sua curiosità è onnivora: le piace il rock, ha realizzato un concept sulla naturalezza delle cose, ma ha anche dedicato un progetto al compositore americano Cole Porter oltre a un tributo molto ispirato al binomio Giorgio Gaber-Sandro Luporini. In che modo trae ispirazione dalle sue scelte o meglio, cosa la ispira a farlo? C'è qualcosa che lega questi grandi personaggi che ha scelto come tappe ufficiali della sua estetica?

Il rock è una passione giovanile: amo Joni Mitchell e Bruce Springsteen, ma anche quelle cose più levigate ed intriganti offerte da Bjork e David Sylvian. Ci sarebbe poi tutto un capitolo dedicato al jazz, da Ella Fitzgerald a Pat Metheny, e poi ancora e ancora. Questi che ha citato sono tre progetti discografici molto diversi fra loro, nati da incontri molto importanti per me, che hanno segnato altrettante tappe decisive per la mia crescita.

Per cui approfondiamone i tratti.

All Around è una suite in nove movimenti composta da Régis Huby e scritta da Yann Apperry. Un’ode alla Natura, poetica e potente. Furrow invece è un omaggio moderno all’autore e compositore americano Cole Porter, che giocava con ironia e tormento con il linguaggio e i sentimenti. Poi è arrivato il progetto che ha segnato il mio cambiamento più radicale, ovvero Gaber, io e le cose. Rappresenta la conquista della mia “legittimità adulta” affrontando testi meravigliosi e intensi del duo Gaber-Luporini. Questo progetto mi ha fatto crescere prima di tutto come persona, Perché il patrimonio che ci hanno lasciato questi due intellettuali, approfondendo ogni nostra fragilità, analizzando in modo spietato e onesto tutti i meccanismi tortuosi dell’umano è qualcosa di prezioso ed unico. Ed io mi sono servita delle loro parole viaggiando e portandoli con me in Italia, in Francia come anche in Nord Europa.

Un palco, un teatro, uno spettacolo eseguito dal vivo, rappresentano per lei ancora dei sinonimi di felicità? In altre parole, quanto è decisivo importante il contatto con il pubblico?

La felicità non è permanente ma piuttosto un picco che si raggiunge. Per questo è così intenso. Cantare, per me, è uno stato di grazia che mi aiuta a capire cosa sia vivere il momento presente con pienezza totale. Anche per chi assiste ad uno spettacolo dal vivo si produce la stessa magia… un momento presente dove passato e futuro si dissolvono. Niente potrà mai sostituire questo piccolo miracolo di umanità.

Cantare di sentimenti e costume, per ritornare a Porter e Gaber, sembra ancora straordinariamente attuale in quelle parole scolpite nell'aria.

Quando un autore parla dell’essere umano, quando ne fa un’analisi profonda, in qualsiasi epoca abbia vissuto, il suo lavoro ha una valenza universale.

Cosa ricorda degli esordi in tv e cosa le ha lasciato la diretta dal piccolo (allora) schermo?

In televisione ci sono capitata per caso: ero giovanissima, reduce da una carriera sportiva di ginnasta, non sapevo ancora dove andare. Una popolarità così immediata può anche rappresentare un pericolo se non si è sufficientemente preparati, anzi occorre essere molto solidi per affrontare una vera carriera nel mondo della televisione. Diciamo che è stata la giusta esperienza per capire che non era la mia strada. Però tutte le esperienze insegnano qualcosa. Prima o poi ti rendi conto che qualcosa che hai imparato, anche nel contesto più distante da te oggi, un giorno, in un momento preciso, ti torna utile.

Nella sua famiglia l'hanno sempre incoraggiata: ma quali erano le sue prime aspirazioni?

È vero, la mia famiglia mi ha sostenuto: mia nonna era un’attrice di teatro, mio padre direttore di doppiaggio e doppiatore, mia madre da giovane è stata attrice anche lei, mio zio attore… persino la nonna che non ho mai conosciuto, era cantante lirica, insomma a casa mia fare l’attore era considerato un mestiere: non ho dovuto convincere nessuno che non si trattasse solo di una passione scapestrata.

La sua è già stata una carriera comunque molto significativa, se la volessimo condensare quale ritiene siano state le soddisfazioni più grandi?

Ho fatto un bel cammino, tanti incontri, alcuni hanno profondamente cambiato la mia vita mi hanno arricchita, altri sono una costante che mi sostiene e con la quale mi confronto nella creazione di cose nuove. Restano nel mio cuore tutti i teatri meravigliosi che sono stati la mia “casa” per tanti anni. Aver recitato in lingue straniere in giro per l’Europa. E poi c'è la musica che mi riempie la vita da sempre e che mi apporta linfa vitale… sono soddisfatta di tutto quello che ho fatto. Non ho rimpianti ne rimorsi. Questo mi permette di guardare avanti con gioia e curiosità per tutto quello che non ho ancora fatto.

Qual è il suo desiderio più grande adesso, sia dal punto di vista professionale che personale?

Riuscire a dare lunga vita ai bei progetti su cui sto lavorando con amore. Un duo con un contrabbassista torinese Federico Marchesano, che è stato un bellissimo nuovo incontro di questi ultimi due anni. Poi c'è anche una dimensione in solitario che mi sta prendendo molto: ho scoperto una bellissima possibilità creativa grazie ad una loop-station sulla quale sovrappongo strati su strati della mia voce. Compongo musica vocale, mi accompagno con essa, canto e recito seduta con un microfono e un leggio, e il pubblico viene con me in un viaggio sensoriale, dove tutto ciò che non si vede sul palcoscenico si materializza grazie all’evocazione dei suoni e delle parole che stimolano l’immaginazione. Con questa formula ho già raccontato la vicenda di Ilaria Alpi, grazie ad un bellissimo testo di Massini tradotto in francese African Requiem, e adesso anche il mito di Atalanta, sul meraviglioso testo di Gianni Rodari.

Cos'altro potrebbe appassionarla oggi?

Gioisco di un toccante percorso parallelo, che alla mia età comincia ad essere una cosa buona e giusta, ovvero la trasmissione ai più giovani dell'esperienza maturata. Una dimensione che mi appassiona moltissimo. Più che insegnare, in questo caso sono una “dinamizzatrice” di creatività. Faccio degli ateliers dal titolo La voix intime con un complice meraviglioso che si chiama Emiliano Begni, ed insieme a lui accompagno i miei allievi alla scoperta della propria voce, nel senso più profondo del termine. Il nostro cammino consiste nella ricerca di cosa si vuole dire, e di arricchire il proprio strumento vocale per essere liberi di esprimere il proprio senso delle cose. Tanti incontri e le più gratificanti collaborazioni spesso nascono proprio da questi ateliers... sono felice di veder crescere il talento di chi partecipa con le sue meravigliose creazioni originali. Ho altri bei progetti in lavorazione, ogni tanto cerco di riposarmi ma poi rientro con piacevolezza nel turbine rappresentato dal mio mestiere, che rappresenta anche la mia grande, eterna storia d’amore. E come si fa a prendere una pausa dall’amore?