Senz’altro l’anniversario più atteso di quest’anno, quello per i 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio, uno degli artisti più noti di tutti i tempi. Di sicuro si identifica con il quadro del periodo fiorentino La Madonna della Seggiola, in cui i colori vividi sottolineano la tenerezza di una madre che tiene in braccio un bimbetto che vorrebbe divincolarsi. Un contrasto con la seria seraficità della Madonna del Granduca, alla Galleria Palatina, mentre osserviamo curiosi il suo presunto autoritratto custodito alla Galleria degli Uffizi di Firenze, per scoprire come un giovinetto così serio e dall’aspetto impegnato possa ancora incantarci così tanto, imberbe rispetto al ritratto adulto del Louvre di Parigi di una decina d’anni dopo.

Nato a Urbino nel 1483, vissuto soli 37 anni, Raffaello è diventato il simbolo del Rinascimento italiano, iniziatore di una maniera di dipingere che fungerà da scuola, il “Manierismo”, modello che rimarrà inalterato sino all’800, influenzando decine di altri pittori. Figlio d’arte, data l’attività pittorica del padre Giovanni, Raffaello mise in atto i suoi insegnamenti nella bottega che ereditò alla sua morte, avvenuta quando aveva solo 11 anni.

Raffaello fu allievo di Perugino, poi lavorò a Città di Castello, dove gli fu commissionato il palio di ringraziamento per la fine della peste. A soli 17 anni veniva citato nei documenti come artista e di Raffaello si parlava in tutta l’Umbria, con commissioni offerte da più parti. Di questo periodo abbiamo, ad esempio, la Pala Colonna che denota grande estro e maturità artistica.

Almeno dal 1503, Raffaello fu a Firenze, a Roma e a Siena, entrando in contatto con l’eccellenza dell’epoca, tra cui anche Leonardo da Vinci, aiutando l’amico Pinturicchio nel suo lavoro per la libreria Piccolomini. Nel 1504 dipinse il famoso Sposalizio della Vergine, ora all’Accademia di Brera, considerato l’ultimo lavoro del suo periodo giovanile.

Venuto a conoscenza della Battaglia di Anghiari e delle novità michelangiolesche, Sanzio si trasferì a Firenze per essere in contatto con quel vivace mondo e poter ammirare opere come il David. Realizzò quadri bellissimi, come la famosa Madonna del cardellino, con panneggi leggiadri e una dolcezza di pennellate che incanta ancor oggi. La possibilità di osservare da vicino Michelangelo e Leonardo al lavoro perfezionò la tecnica anche del nostro, soprattutto per l’uso del chiaroscuro, delle tinte vivide e del modo di realizzare figure che sembrano naturalmente in movimento. Lavora quasi esclusivamente per opere di carattere religioso deputate alla devozione privata dei mecenati. Realizzò però anche ritratti, dimostrando di saper cogliere aspetti interiori della persona in posa per lui.

Dal 1509 Raffaello è a Roma, per volontà di papa Giulio II (che poi ritrasse dimostrando innovazioni anche nell’arte del ritratto) e contribuì al rinnovamento della città voluto dal Papa iniziando a lavorare nelle Stanze del Vaticano. Contemporaneamente fu anche ingaggiato dal ricco banchiere Chigi. Intorno al 1518 dipinse La Fornarina e divennero evidenti le modifiche al tema della pala d’altare, che vertevano sempre più a coinvolgere il fruitore in un rapporto dialettico con l’opera, come se fosse parte della scena che vedeva.

Tanta era la richiesta, che Raffaello aprì una bottega; i suoi aiuti erano veri artisti ai quali affidava ampie realizzazioni. Morto Bramante, Sanzio divenne sovrintendente della Basilica vaticana e iniziò a lavorare agli arazzi della Cappella Sistina. Sono tante le opere di Raffaello di quel periodo, fino a che una febbre “continua e acuta” lo portò alla morte, ancora giovane, lasciando in tutti un profondo rammarico. Venne sepolto, com’egli stesso aveva chiesto, nel Pantheon.