Il 2 Ottobre del 1950 veniva pubblicata su alcuni tra i più diffusi quotidiani americani, come il Washington Post e il Chicago Tribune, la prima striscia quotidiana di un fumetto destinato ad entrare nel Guinness Book of Records come il più popolare di tutti i tempi. Da quel giorno di settant’anni fa il grande pubblico cominciava a seguire con continuità le avventure dei Peanuts, un gruppo di bambini più un bracchetto bianco dalle orecchie nere che ama sognare in grande e si immagina, di tanto in tanto, calato nei panni di un asso dell’aviazione, di un temibile avvoltoio, di un capo scout, di un campione di tennis o di golf o di hockey sul ghiaccio…

Iniziava da allora il tempo dell’attesa del Grande Cocomero, di notti buie e tempestose, di aiuti psichiatrici a cinque centesimi, di catastrofiche partite di baseball, di corse dietro ad aquiloni, di amori non corrisposti o mai dichiarati, di una cuccia trasformata in biplano da caccia, di pollici succhiati e di una copertina azzurra usata come antidoto all’ansia e alle nevrosi. E si apriva la strada di un successo planetario decretato dal fatto che praticamente non esiste lettore che non si sia immedesimato almeno una volta in una delle storie raccontate, in uno scambio di battute o in uno dei protagonisti, con il loro dolce ma lucido umorismo e la loro profonda umanità. Un successo talmente vasto da arrivare fino alla Luna, con la missione spaziale Apollo 10: gli astronauti dell’equipaggio ribattezzarono Charlie Brown la capsula di comando e Snoopy il modulo lunare. Intanto nelle strisce quotidiane personaggi vecchi e nuovi andavano e venivano, come in una galleria in divenire di tipi psicologici, muovendosi sullo sfondo di ritagli della provincia statunitense, tra casette a schiera e giardinetti. Nel 1967 si aggiunse Woodstock, un uccellino giallo e maldestro, di specie indefinita, ma timorosissimo: scappa dai lombrichi, ha un’ingarbugliata e improbabile traiettoria di volo, che comprende anche evoluzioni a testa in giù, ma soffre di vertigini e, quando è tempo di migrare, si limita a spostarsi da un lato all’altro della cuccia del suo inseparabile amico a quattro zampe. Anche lui diventa un mito. E d’altronde i Peanuts resteranno nella storia come icone pop del secondo Novecento americano insieme a nomi come quelli dei Beatles, di Woody Allen, di Marilyn Monroe, di Andy Warhol e Che Guevara…

Dal 2002 hanno anche dei luoghi espositivi, quelli del Charles M. Schulz Museum and Research Center, che ha sede a Santa Rosa, in California, a circa un’ora di auto da San Francisco, al quale in anni recenti si è andato ad aggiungere uno spazio satellite, lo Snoopy Museum, presso il Minami-machida Grandberry Park nella città di Machida, nella conurbazione di Tokyo. In questi musei è ospitata la più grande collezione di opere d'arte originali dedicate ai Peanuts. Il museo di Santa Rosa, punto di riferimento per i fan, è un’organizzazione no profit presieduta da Jean, compagna di vita per quasi quarant’anni di Sparky, il soprannome col quale la famiglia e gli amici chiamavano Charles Schulz. Qui l’impegno è non solo quello della conservazione e della divulgazione del lavoro dell’autore ma anche quello della valorizzazione dell’arte dei fumetti e dei cartoni animati in generale. Durante l’anno, in entrambi le sedi, si susseguono diverse mostre temporanee, che vanno ad affiancarsi all’esposizione permanente che ospita al suo interno anche i tributi ai Peanuts di diversi artisti contemporanei, come Christo, autore di una Wrapped Snoopy House, geniale nella sua autoironia. Il tutto in due edifici, quello di Santa Rosa e quello di Tokyo, progettati con una essenzialità che di sicuro avrebbe fatto felice anche Schulz.

In Italia, il merito di aver fatto conoscere i Peanuts va a Oreste del Buono, attraverso la rivista Linus, che fondò insieme ad altri intellettuali nel 1965 e diresse dal ’72 all’82.

Ma i Peanuts incantarono anche Elio Vittorini, che avvicinava la scrittura di Schulz a quella di Salinger del Giovane Holden, e Umberto Eco, che nel 1963 parla di lui come di un poeta. Ma Schulz stesso cosa pensava di sé? “Se qualcuno legge le mie strisce ogni giorno, mi conoscerà di certo; saprà con certezza chi sono”, rispondeva. E David Michaelis, autore della sua biografia pubblicata nel 2007 negli Stati Uniti, precisa “… ogni singola storiella dei Peanuts era sua e solo sua, un piccolo fascio di luce gettato sul mondo, che allo stesso tempo rendeva possibile al fumettista rimanere separato da quello stesso mondo. Per fare quello che faceva aveva bisogno di rimanere da solo, padrone esclusivo del suo modesto ma ben definito universo. Una persona più equilibrata e capace di delegare non avrebbe mai potuto creare il sempre sofferente ma inaffondabile Charlie Brown; l’arcigna, spesso spinosa Lucy; il filosofico Linus; l’indomita Piperita Patty; il monomaniaco di Beethoven, Schroeder; e il grandioso, egocentrico bracco Snoopy”.

Di sicuro Charles Schulz sapeva scrutare a fondo non solo dentro se stesso ma anche negli altri intorno a sé. Era interessato al loro mondo interiore, li guardava con gli occhi attenti ma comprensivi della creatività. E tutta questa osservazione diventava poi “carburante” per il suo lavoro, come scrive la moglie Jean. Le frasi memorabili e paradigmatiche apparse nelle sue strisce non si contano e spesso sono concentrati di dolceamara saggezza e di malinconica ironia. Una per tutte?

La vita è più facile se si teme soltanto un giorno alla volta.