Ha ricevuto alcuni tra I più prestigiosi premi e riconoscimenti internazionali (Leone d’Oro, Biennale di Venezia, 1999; Grand Prix, Kwangju Biennale, 2000; Infinity Award for Visual Art, International Center for Photography, New York, 2002; Leone d’Argento, Mostra del Cinema di Venezia, 2009; Cristal Award, World Economic Forum 2014; Praemium Imperiale Award, Tokyo, 2017) e diverse importanti retrospettive (Shirin Neshat. Facing History, Hirshhorn Museum, Washington, 2015; Shirin Neshat. The Home of My Eyes, Yarat Art Center, Baku, 2015; Shirin Neshat. I Will Greet the Sun Again, The Broad, Los Angeles, 2019).

Credo però che il premio più bello sia quello che Shirin Neshat fa a tutti noi, da diversi anni, con la sua pratica artistica con la quale ci fa riflettere su temi importantissimi parlando direttamente al nostro cuore. Donne senza uomini, premiato, tra i numerosi premi, anche con un Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2009, è un capolavoro assoluto. Il film racconta la storia di alcune donne di diversa estrazione sociale che cercano di sopravvivere ai loro destini determinati da uomini (padri, mariti e fratelli in un Paese in lotta per la libertà (la vicenda è ambientata nel 1953, anno del colpo di stato che porta al potere lo Scià e depone Mohammad Mossadeq, democraticamente eletto).

Un film dedicato dall’artista alla memoria di tutti coloro che hanno perso la vita nella lotta per la libertà in Iran dalla Rivoluzione costituzionale del 1906 al movimento verde del 2009. Donne senza uomini ha impegnato Shirin Neshat dal 2004 al 2009 e durante questo lasso di tempo sono stati prodotti cinque cortometraggi dedicati alle protagoniste.

Mahdokht (2004) l’esistenza della quale è divisa tra l’idea di diventare mamma e la paura di perdere la verginità. Un personaggio folle e tormentato che nel libro di Shahrnusk Parsipur, da cui è tratto il film Donne senza uomini, si suicida trasformandosi in un albero da frutto i cui semi sono sparsi in tutto il mondo. In Donne senza uomini apre il film lanciandosi dal terrazzo nel vuoto accompagnata dalle parole “pensai che l’unico modo per liberarsi dal dolore è liberarsi del mondo”.

Zarin (2005) lavora fin da piccola come prostituta ed è anche lei un’anima torturata in una società nella quale si sente completamente impotente. Credendo che la sua vita sia una sorta di punizione da parte di Dio scappa in un bagno turco e si lava vigorosamente fino a scorticarsi, cercando così di cancellare il suo passato ed i suoi presunti peccati. Lasciando così che la sua redenzione passi attraverso la sua follia.

Munis (2008) ha un’appassionata coscienza politica con la quale segue le vicende del suo Paese, come dicevamo sconvolto da un colpo di stato. Purtroppo però non riesce a mettere in pratica questa passione in quanto il fratello la tiene segregata in casa non permettendole di prendere parte ai cortei per le strade e costringendola ad attendere il marito che lui ha scelto per lei.

Faezeh (2008) fedele ai dettami religiosi e desiderosa di sposarsi ed avere una famiglia impazzisce dopo che uno stupro, e quindi il disonore che lo segue le tolgono il coraggio di tornare a casa.

Farokh Legha (2008) è una donna benestante di mezza età che ha il coraggio di rompere le catene di un matrimonio in crisi ed acquistare un giardino (da sempre centrale nella cultura persiana dove è sinonimo di paradiso, libertà) dove cominciare una nuova vita.

L’opera di Shirin Neshat pur facendo espressamente riferimento al mondo iraniano esprime concetti universali come l’autodeterminazone, la ricerca di libertà, l’espressione della propria identità. Il nostro mondo globalizzato non è affatto un mondo libero e la lotta delle Donne senza uomini è la lotta che noi pratichiamo ogni giorno ed esprime il desiderio più grande dell’umanità: la libertà di, la libertà da.

Questi video e il film sono stati mostrati in tutto il mondo e come succede spesso, per fortuna, per i grandi capolavori questi non possono sparire appena si spengono le luci sul loro essere una novità. Non abbiamo bisogno di una cultura usa e getta ma di solidi pilastri che ci aiutino ad innalzarci verso l’alto, a migliorarci giorno dopo giorno, a sognare e realizzare un mondo diverso. E così per la prima volta dopo il 2008 quando l’opera fu presentata nella mostra omonima, l’Aros Aarhus Kunstmuseum mostra fino al 9 agosto 2020 le 5 parti di Donne senza uomini nella sua interezza. Un appuntamento sicuramente da non perdere.