Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Ilaria Del Monte (Taranto, 1985).

Tutto è delicato, fragile, imprendibile. Immaginario e concreto al tempo stesso. I luoghi, gli oggetti, le donne. Donne di ogni età, spesso anche bambine. Donne che attendono, aprono scrigni, volteggiano. Donne smarrite. Donne che cercano. È una legione di donne quella che si avvicenda sulle tele di Ilaria Del Monte. Una legione di eroine o principesse. Creature imprigionate in atmosfere oniriche, dentro stanze che confinano ma suggeriscono anche percorsi, vie di fuga, orizzonti, scenari metafisici. Le donne di Ilaria sono sognanti, sospese nell’attesa. E il tempo è un tempo lento, quasi immobile, cristallizzato. Ma qualcosa di spiazzante accade sempre: porte si schiudono su luoghi di luce, carte da parati si scollano dall’intonaco, tappezzerie si avvolgono attorno al corpo di giovani muse, adolescenti aleggiano attorno al tronco di un possente albero. Quadri dentro al quadro immortalano frane o effigiano ignoti assenti. Querce si radicano nel parquet di angusti interni. Una donna appende il suo paio d’ali alla parete di una stanza, mentre bianchissimi cigni le danzano attorno. Tutto può accadere nelle tele di Ilaria Del Monte, perché queste tele sono mondi dove i ricordi, le paure, le speranze si travestono di simboli, in un gioco di rimandi e allegorie. La dimensione dell’inconscio è resa manifesta da una sequenza di libere e raffinate associazioni. Tutto è incantevole e tutto pone interrogativi. E nella pittura di Ilaria sovente io incontro Magritte, Böcklin, Sigmund Freud e anche un po’ di Francesca Woodman e di Balthus.

Ilaria Del Monte vive a Milano. E questa è, la sua Voce Creativa per voi.

Chi è Ilaria?

Una, nessuna e centomila, o come direbbe Andrea Pazienza: “Menomale che ci sono io che sono una moltitudine”.

E perché dipinge?

Perché le piace tantissimo ed è la forma di comunicazione che preferisce.

Lucana di nascita, milanese di adozione: quanto sei lucana e quanto sei milanese?

Non penso di riuscire a quantificare o perlomeno non avverto un confronto tra le appartenenze. Ricordo che quando arrivai a Milano a diciannove anni mi piacque il fatto di venire considerata per quello che sapevo e sapevo fare, a differenza della Basilicata dove prima di formulare il valore da attribuirti hanno bisogno di chiederti informazioni sulla famiglia d’origine o l’orientamento politico.

Il tuo gioco preferito da bambina?

Giocavo con gli animali di casa (che erano tanti).

Un incubo ricorrente?

Sogno, da quando ero bambina, di trovarmi in mare, in acque poco profonde, in piedi, poco distante dalla riva, e di scorgere attorno a me delle sagome di creature oscure che nuotano sott’acqua.

Di che colore sono i sogni che si realizzano?

Turchesi.

E quelli che non si realizzano?

Quelli che non si sono ancora realizzati, vuoi dire?

Chi sei quando non dipingi?

La stessa di quando dipingo. Anche se quando non dipingo ho le antenne sempre tese.

Quanto ti ha cambiata la maternità e quanto ha influenzato la tua poetica pittorica?

Sono diventata Wonder Woman! Il mondo si capovolge e il tempo accelera spaventosamente. La maternità è stata per me un cambiamento radicale e molto profondo, capace di cambiare il significato degli eventi della vita. La maternità, secondo me, è in grado di cambiare persino situazioni vissute in passato, modificando, ad esempio, il rapporto avuto con i propri genitori. Sono una madre single che vive a Milano senza nessun supporto pratico, la mia famiglia è in Basilicata e ti assicuro che non è affatto semplice. Bisogna avere una struttura caratteriale molto forte per essere madre e artista in Italia, e questa struttura caratteriale deve essere supportata da un’ostinazione che potrebbe essere interpretata come follia.

Se non fossi una pittrice?

Con ogni probabilità sarei un veterinario o una biologa.

Da dove nasce la tua ricerca?

Da quello che vedo e da quel poco che riesco a capire del senso delle cose che mi stanno attorno.

Da dove vengono le creature che popolano i tuoi quadri?

Sono donne che fanno parte della mia vita: mia figlia, mia madre, amiche, cugine o semplici conoscenti che mi “suggeriscono” qualcosa. E poi ci sono gli animali…

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre biografica?

Non sempre, anzi, a volte sono proprio le storie che gli amici mi raccontano a muovere dei meccanismi che mi portano delle immagini, altre volte lo stimolo mi arriva dalle situazioni che vivo. Penso che l’artista sia una specie di setaccio della realtà e le maglie di questo setaccio sono la sensibilità attraverso cui la società e le sue dinamiche vengono filtrate. Ciò che rimane sulla superficie è ciò che il mio professore di Accademia considerava il “pensiero dell’opera”, anche se lui era un concettuale e parlava per concetti definiti e mai sfumati.

Quale credi che sia il compito di un’artista oggi?

Il compito dell’artista, per come io l’intendo, credo sia quello di liberare sé stesso da quegli schemi di pensiero assimilati passivamente, quei valori che abbiamo fatto nostri senza averli lucidamente scelti, e che non permettono a chi ne è soggetto di esprimere la propria unicità. Il “punctum” sta proprio nel trovare il modo di comunicare questo processo attraverso un atto artistico che sia un dipinto, una performance, un video o qualunque altro linguaggio. La nostra vita è determinata dal modo in cui noi abbiamo imparato ad immaginarla. Le immagini sono forze dotate di poteri sia creativi che distruttivi e annunciano un movimento della psiche. Le immagini sono passato e sono futuro. L’energia che muove questo processo è l’energia che dà senso alle cose. Ogni artista ha un personale metodo di ricerca che gli permette di avere un punto di vista estremamente critico sul mondo, verso quei valori collettivi che generano vita non vissuta.

Un lavoro che ti sta maggiormente a cuore e perché?

Credo sia Taming Moonchild del 2017. Lì dentro ci sono molte cose. Una canzone dei King Crimson, Moonchild. Un paesaggio lunare in prospettiva. Mia figlia, Delia, che allora aveva 3 anni, il cui nome significa “luminosa” ed è il modo in cui Dante chiama la Luna nella Divina Commedia. Poi ci sono io che, piegata, tento di avvicinare un docile ghepardo per legarlo con un laccio e addomesticarlo. Delia intanto guarda fuori dal dipinto, oltre la porta, troverà la sua strada. Lei è nuda e libera mentre per me un vestito è già stato cucito e indossato. Del resto, mia madre faceva la sarta.

Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Certamente! Leggo qualunque cosa, anche gli ingredienti dei cibi e dei prodotti per la casa.

Scegli tre delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.

Prima della fuga, 2012. Ci sono due donne in una stanza con la tappezzeria che diventa il loro stesso abito. Credo moltissimo nella collaborazione tra donne e nella connessione che si instaura tra loro quando abitano le medesime situazioni, come momenti particolari della vita che richiedono una certa dose di coraggio. In questo dipinto rifletto sul doppio senso della parola “abito”, inteso come vestito e voce del verbo “abitare: “io abito”. Abito una casa, ma allo stesso tempo abito un contesto più ampio.

Poi c’è Waiting for Hermes, del 2019, dove una donna nuda riposa su un’ala gigante sospesa su un lago che ricorda i dipinti di Arnold Böcklin. Questo dipinto rappresenta per me un momento di pausa, di sospensione, un’area riservata alla riflessione e all’attesa di qualcosa; è il momento di concentrazione che precede l’azione. Hermes, nella mitologia greca, era un dio comunicatore, foriero di messaggi e alato.

Ultimato proprio ieri invece, Maternità. Si tratta di un dipinto commissionato da una chiesa con una sola direttiva: avrei dovuto dipingere una Madonna con Bambino. Mi sono chiesta quale motivo, quale urgenza potrebbe spingerci oggi a rivolgere una preghiera collettiva alla Madonna, e mi sono risposta che, forse, l’unico vero dramma che sensibilizza tutti è il surriscaldamento globale.

L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei voluto realizzarla io”?

Blue Poles di Jackson Pollock.

Un o un’artista che avresti voluto essere tu.

Sicuramente Louise Bourgeois.

Un critico d’arte o un curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?

Sono tantissimi.

Tre aggettivi per descrivere il sistema dell’arte in Italia.

Capillare, antiquato e disorientato. Quello dell’arte è un sistema composto da migliaia di piccole gallerie e piccole realtà culturali che poco dialogano tra loro.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

Domanda tendenziosa?

Un po’! Work in progress e progetti per il futuro.

Ho in programma una personale per il prossimo autunno e vorrei che si respirasse, nel nuovo ciclo di opere, la mia preoccupazione per gli esiti dei cambiamenti climatici.

Il tuo motto o una citazione che ti sta a cuore?

Diffida dalle occasioni che richiedono un abito nuovo.