Dopo la laurea in Filosofia, si è specializzata in Management Culturale. Attiva dal 1997 nel settore musicale, docente e saggista, è direttrice di Milano Musica – Associazione per la musica contemporanea e membro del Consiglio direttivo di Music Fund e ItaliaFestival.

Ciò che più mi delude è la falsa coscienza… e per le gioie, anche le cose minime mi danno allegria… ma provo gioia soprattutto se legata alla meraviglia. Tengo moltissimo a Milano Musica e non solo per il festival, per la sua storia, per il suo magnifico pubblico, ma per la prospettiva, anche attraverso il festival, di promuovere politiche culturali a sostegno della creazione musicale contemporanea. Il mio sogno attuale, un nuovo spazio a Milano di circa 700 posti, modulabile e tecnologicamente avanzato, per programmare teatro musicale contemporaneo e opera barocca, con un’ottima acustica anche per la musica da camera. È ciò che manca…

Quali sono stati gli incontri, le scoperte, le esperienze che l'hanno portata ad abbracciare la musica contemporanea?

Fin dai primi anni di università – ho studiato filosofia, con una laurea in Estetica – mi interessava la nuova musica, la ricerca, l’immaginario sonoro dei compositori che avevo avuto occasione di incontrare. Seguivo il Seminario di Filosofia della Musica di Giovanni Piana, si ascoltavano le registrazioni dei concerti della Biennale Musica di Venezia e si frequentava il Festival Milano Musica… Ho lavorato a Tempo Reale, centro di ricerca, produzione e didattica fondato da Luciano Berio a Firenze, e a Rai Trade, con Mimma Guastoni, nel settore delle Edizioni musicali. E successivamente, dalla fine del 2007, a Milano Musica, con Luciana Pestalozza, che nel 2012 ha proposto che fossi direttrice.

È direttrice di “Milano Musica” e responsabile per l’Italia di “Music Fund”: ci può sintetizzarne finalità e attività?

Le finalità sono senz’altro diverse ma dal mio punto di vista convergenti… in fondo si tratta di esplorare dei mondi di confine... attraverso azioni, e un lavoro quotidiano, molto concreti e il più possibile ‘costruttivi’.

Come Festival, uno degli scopi principali è sostenere la creazione, la ricerca musicale e la promozione della musica contemporanea, mirando al più alto livello qualitativo e assumendosi il rischio di spostare l’orizzonte sempre più avanti. La musica di oggi si muove in una dimensione strutturalmente internazionale... selezionare e far conoscere il nuovo rimane prioritario anche per far scoprire al pubblico nuove dimensioni di ascolto e di percezione dei mondi sonori della contemporaneità.

Music Fund è un progetto di cooperazione culturale che, attraverso le donazioni di strumenti e la formazione di tecnici specializzati nella manutenzione e nella riparazione, nel Terzo Mondo e nelle zone di conflitto, sostiene lo sviluppo delle attività musicali in loco. Crediamo nella cooperazione culturale come strumento di sviluppo socio-economico… il livello di motivazione, di impegno e di competenze acquisite dai tecnici mozambicani formati negli anni da Music Fund è altissimo e con coraggio affrontano le difficoltà legate alla necessità di affermare professioni totalmente nuove per il paese.

Abbiamo sostenuto l’installazione di due atelier di riparazione di strumenti ad arco e a pizzico a Maputo, organizzando periodi di tirocinio a Cremona e workshop con liutai cremonesi in loco, per offrire il meglio del nostro paese… la grande tradizione della liuteria.

Recentissima è la donazione di circa 250 strumenti alla nascente associazione di tecnici mozambicani, specializzati nella riparazione di pianoforti, strumenti a fiato, ad arco, a pizzico e nel sound engineering. Gli strumenti saranno riparati e utilizzati in loco, in un’ottica di economica circolare.

A mio avviso, le parole chiave – sia per il Festival che per Music Fund – sono ricerca, scoperta, costruzione di legami umani ed artistici, ovvero ponti culturali in Europa e in altri continenti, sostegno alla creazione contemporanea, anche attraverso scambi interculturali.

Insieme a Kika Materula, direttrice artistica di Xiquitsi, importante realtà di formazione e produzione musicale di Maputo, stiamo lavorando a un nuovo progetto di scambio interculturale attraverso la musica… nel 2020 le due linee potranno concretamente convergere.

Dopo la rivoluzione dodecafonica, quali sono stati i grandi cambiamenti che hanno caratterizzato la musica classica?

L’orizzonte musicale si è incredibilmente allargato… dalla nota al suono e ai suoni, si potrebbe sintetizzare, e nel suono naturalmente anche il rumore. Nella molteplicità dei linguaggi, i compositori hanno cercato nuove concezioni spazio-temporali, anche in stretta relazione con le ricerche della musica elettronica.

Del resto, dopo la rivoluzione dodecafonica, la musica in generale – non solo la musica classica – si è confrontata con l’avvento dei media e della riproducibilità tecnica; ad oggi non abbiamo ancora acquisito parametri sufficientemente accurati per comparare il nostro presente con la fruizione e la creazione musicale del passato. A mio avviso, sono ancora da indagare le profonde trasformazioni che si sono verificate da allora, ripensando le premesse e tenendo conto di questi due elementi chiave.

Quali autori e quali brani sceglierebbe per avvicinare gradualmente all'ascolto e alla fruizione della musica contemporanea?

Per avvicinare chiunque non abbia mai ascoltato musica classica o musica contemporanea è preferibile, a mio avviso, proporre opere di grande forza, radicali, senza semplificazioni. Ai giovani al loro primo concerto proporrei le Sinfonie di Gustav Mahler, le Sacre du printemps di Stravinskij… solo per fare esempi.

Non credo che si debba cercare un avvicinamento “graduale”… è lo choc della scoperta che apre le orecchie e ciò avviene quando si ascoltano dei capolavori come Les Espaces Acoustiques o Le noir de l’étoile di Gérard Grisey, An Index of Metals di Fausto Romitelli, Persephassa oppure Pléïades di Iannis Xenakis, Hymnen e Gruppen di Karlheinz Stockhausen… la forza di queste musiche può far superare i pregiudizi, suscitare meraviglia e desiderio di conoscere… ma certamente per coloro che hanno orecchi curiosi. L’ascolto dal vivo è la condizione necessaria, anche proprio per la concezione spazio-temporale di queste musiche. Sono compositori che possono essere ascoltati sia in modo empatico nell’immediatezza percettiva e corporea sia attraverso una conoscenza – e una gioia – intellettuale tale da coglierne l’alto livello di complessità strutturale.

Rimane sempre aperto il problema di musica colta e musica popolare, oggi più che mai, quando i media invadono tutti gli spazi sonori con un continuo sottofondo di musica di consumo che brucia qualsiasi approccio consapevole…

Senza dubbio siamo immersi in un ambiente sonoro spesso molto inquinato… il che è solo in parte legato alle legittime finalità di intrattenimento della musica popolare. Per “inquinamento sonoro” possiamo intendere l’incapacità e l’impossibilità del silenzio, da cui nasce la musica. In tale contesto, il primo passo per un ascolto attivo e consapevole passa attraverso l’attenzione e la concentrazione.

Riguardo al discorso sulla musica colta e popolare, l’importante è essere consapevoli che hanno due sistemi economici e di consumo molto diversi fra loro, e questo è un fatto che prescinde da una valutazione di valore sul prodotto. La musica pop può raggiungere altissimi livelli artistici ma è comunque retta da un sistema produttivo ed economico molto diverso da quello della musica colta. In entrambi i casi quindi va sostenuta consapevolmente la ricerca, l’innovazione e la sperimentazione.

È necessaria una politica culturale che sostenga la creazione contemporanea; il rischio è sempre che le logiche di consumo prevalgano sull’originalità del singolo artista.

La mancanza di un'educazione musicale nella scuola italiana, è stata la deleteria premessa al “disgusto” per la musica: come avvicinare, in particolare i giovani, ad un ascolto consapevole?

L’educazione musicale nella scuola dell’obbligo è necessaria per formare i cittadini di domani, in una realtà sempre più multiculturale. Dall’Unità d’Italia in avanti, e nonostante le forti sollecitazioni anche di grandi musicisti, questo concetto molto semplice non è stato preso in considerazione in modo incisivo nei programmi scolastici… in controtendenza il Comune di Milano che nel 1867, in linea peraltro con il ruolo di capitale della musica svolto dalla città, aveva promosso canto corale nei programmi scolastici nella convinzione che «laddove i principi della educazione musicale vengano estesi a tutte le classi del popolo, allora soltanto si avrà nei teatri e nei luoghi ove si producono le opere dell’arte, un pubblico intelligente e giusto estimatore del bello», come scrive Antonio Ghislanzoni sulla Gazzetta musicale di Milano.

Chiaramente ci sono oggi moltissimi progetti di formazione musicale nelle scuole, anche noi come Festival abbiamo laboratori di sperimentazione nel contemporaneo, tanti in Italia ne sono consapevoli, tantissimi l’hanno scritto e detto negli anni… è necessaria una svolta a livello legislativo e di politica culturale…

Non pensa che potrebbe essere interessante dedicare, nella programmazione di Milano Musica, anche uno spazio al jazz?

La forza di un’istituzione culturale risiede nella sua identità, e dunque nella sua storia, e nella coerenza e leggibilità delle intenzioni artistiche e di programmazione. Quest’anno avremmo potuto presentare un concerto jazz e avrebbe dovuto essere in stretta relazione con la trasversalità e gli interessi di Luca Francesconi, compositore milanese a cui è dedicato il Festival Milano Musica che inaugura la prossima settimana.

A Milano c’è una grandissima offerta musicale e culturale, certamente ci sono operatori in grado di presentare una programmazione jazz con più competenza di quanto non potremmo fare noi a Milano Musica.

La sua attività e i suoi studi l'hanno portata a frequentare paesi del Terzo Mondo, che esperienza ne ha tratto?

Direi piuttosto che da anni vado regolarmente in Mozambico dove dal 2011 seguo i progetti di Music Fund a Maputo.

La musica e l’arte uniscono e permettono il dialogo… cerco sempre di imparare nuove prospettive di stare al mondo. L’individualismo pervasivo dell’Occidente non mi pare diffuso a Maputo in maniera così strutturale: l’accordatore responsabile di Music Fund a Maputo un giorno mi ha detto serenamente “io sono un essere sociale, se non ho rispetto per gli altri, non ho rispetto per me stesso”. Ho capito l’orgoglio del lavoro e la generosità nel voler condividere le proprie competenze, il desiderio di essere parte di un progetto più ampio che possa coinvolgere anche nel piccolo l’intera società del paese.

Sorprende anche la capacità di raggiungere ottimi risultati in termini organizzativi, nonostante maggiori difficoltà rispetto all’Europa nel reperire mezzi tecnici. Questo è possibile solo grazie a una profonda coscienza del lavoro collettivo. Si studia per sapere e non necessariamente per raggiungere un risultato, tanto meno primariamente economico… la priorità dell’utile immediato è decisamente secondaria rispetto a prospettive più ampie, a volte anche più astratte.

Soprattutto la percezione del tempo mi è parsa diversa… si accetta il cambiamento come processo, i cui esiti saranno nel futuro. Con molti contrasti, la società si è sviluppata in modo velocissimo – nel giro di pochi anni il paesaggio urbano di Maputo si è completamente trasformato, sono sorti interi quartieri, palazzi, infrastrutture – ma senza redistribuzione di reddito verso il basso e con strutturali difficoltà economiche per gran parte della popolazione.

C’è una cultura profonda in Mozambico e cercare di conoscerla può accrescere la consapevolezza rispetto alla nostra realtà: è come vedere il tuo mondo a distanza, attraverso i loro occhi, e rifletterlo in modo nuovo, con la speranza di poterlo anche cambiare. Personalmente mi piace molto confrontarmi con realtà e punti di vista che rimettono in gioco le idee. In fondo, mi permetto di immaginare che la grande tradizione della cultura occidentale verrà preservata e mantenuta viva in altri paesi e continenti, che forse ne hanno più rispetto e che necessariamente devono selezionare.

Quali sono l'attenzione e la sensibilità di cittadini e istituzioni milanesi nei confronti della musica contemporanea?

Milano ha una grande vitalità e attenzione al contemporaneo, e la musica non è da meno di altri settori. Il pubblico musicale che il Festival riunisce ha grande curiosità e competenza… gli artisti internazionali si stupiscono per la qualità dell’ascolto e per la partecipazione numerosa, anche da parte dei giovani. Il Comune di Milano ha politiche avanzate sul contemporaneo e in ambito musicale una grande attenzione al coordinamento delle programmazioni, ciò che rafforza tutto il sistema di promozione culturale.

Se dovesse organizzare, a Milano, un concerto di musica contemporanea all'aperto, quali luoghi consoni sceglierebbe?

In generale, anche quando abbiamo organizzato manifestazioni in spazi pubblici, la fase ideativa inizia dalla scelta dei brani e dalla dimensione acustica che richiedono, più che dai luoghi stessi. Insieme a Marco Mazzolini, consulente artistico di Milano Musica, stiamo pensando a un brano di Vinko Globokar per un numero illimitato di percussionisti… necessariamente in uno spazio pubblico oppure a installazioni sonore site specific che dialoghino con i nuovi spazi verdi che si stanno aprendo in città. Ad esempio, il compositore francese Jean-Luc Hervé, la cui immaginazione sonora è in profondo dialogo con la natura, ha realizzato affascinanti installazioni in luoghi pubblici di tutta Europa in cui suoni infinitesimali sono emessi da piccoli sensori nascosti e la cui percezione porta meraviglia e riscrive lo spazio urbano.