Anton Alvarez elabora processi meccanici e tecnologici per la sua arte. Macchine e sistemi compositivi che possono elaborare le sue visioni senza gli elementi di supporto e giunzioni che interromperebbero il processo fluido di realizzazione e fruizione dell'opera.

Artista poliedrico, metà cileno e metà svedese, con laurea al Royal College of Art’s Design Products MA di Londra, studia belle arti ed ebanisteria, prima di completare il suo corso in Interior Architecture and Furniture Design presso l’University College of Arts, Craft and Design di Stoccolma, città dove risiede ed è nato.

Espone in contesti internazionali tra cui il MUDAC, Musée de Design et d’Arts appliqués Contemporains di Losanna, Design Miami/Basel, il Design Museum e il Victoria & Albert Museum di Londra; da qualche anno presenzia Fuorisalone di Milano con il supporto di Carwan Gallery.

Le sue creature sono fibrose e materiche di quella massa che modula luce e colore per forme che hanno lo stile magmatico delle fasce muscolari e l'aspetto naturale primitivistico che dona quell'aura totemica ancestrale. Sono semplificazioni di pensieri complessi sulla percezione formale, dimensione e proporzione unita ai volumi e di essi il colore.

Le creazioni di Alvarez divengono protagoniste a prescindere dal senso o dall'uso (Design) per trascorrere del tempo con il tatto dello sguardo e del corpo caldo di chi le incontra. L'identità creativa di questo autore di Stoccolma (1980) è un tutt'uno con la sua capacità progettuale.

La sua produzione di oggetti scultura filamentosi e policromi si pone in evidenza come protesi delle superfici e mette a nudo lo spettro luminoso di un ipotetico prisma trasparente che diffrange la luce attraverso l'avvolgimento dei volumi entro una sorta di morsa costrittiva di fibre colorate.

Realizzati partendo dal concetto che nulla si deve vedere del sistema di approdo ai piani rigidi d'appoggio del filato, questi oggetti di uso comune, o assolutamente fuori da ogni idea di praticità, vengono realizzati mediante quella che Anton chiama: Thread Wrapping Machine ossia una macchina avvolgitrice di fili, di sua ideazione, dalla forma circolare che funge da tessitrice su superfici di plastica, legno, metallo atte ad essere il supporto della tessitura multicolore impiegata per la resa epidermica della scultura.

L'aderenza dei fili alla parete dell'opera è garantita dalla colla e l'avvolgitrice elabora per ogni filo e dunque colore, un complesso tracciato di realizzazione grafico cromatica di questa sorta di bozzolo scultoreo che rappresenta la visione di Alvarez.

Questa produzione unisce arte e design e comprende sedie, lampade, sgabelli, tavoli e tavolini, ma anche pure sculture di colore che divengono stele luminose, archi o poligoni legati a un presente granitico che innalza lo spirito verso l'astrazione delle forze naturali in un mosaico di traiettorie e colori che raggiungono le frequenze dell'anima come macro pixel chiarificatori della funzione astratta che appartiene a ogni cosa.

Tale processo creativo è narrato nel video di Vincent Skoglund il quale sonda l'interiorità di Alvarez e la sua esternazione nell'arte.

Il lavoro di Anton Alvarez è un'ibridazione emotiva che sta tra ciò che funge da utile nel quotidiano e quanto si rispecchia nell'anima dell'emozione artistica. Ogni suo pezzo è avvinghiato all'idea e da essa si dilata come da un utero per la vita autonoma che nel suo “principio” lo governa.

Tecnologia e meccanica donano emersioni traumatiche per un pronto intervento che rilascia vita e manifesta all'occhio il bisogno fisico di un contatto per il primordiale governo del possesso e la futuristica percezione di una libertà e un'autonomia crescente oltre l'uomo.

Anton ci dice che l'arte è prescindente il cosciente di ognuno e lascia a questa autonomia la forza germinativa propria di un caso apparente, ma costringe anche gli oggetti a passaggi che vestono le loro sembianze e divengono tunnel espressivi dove accedere alla forma.

Con la mostra L’Ultima Cera (che rimanda al tema religioso, ma anche alla tecnica usata per la realizzazione del progetto) curata da Nicolas Bellavance-Lecompte durante la settimana del Salone del Mobile di Milano 2019, nel Circuito delle 5 Vie, Alvarez è passato dalla ceramica smaltata dei suoi vasi tortili e scanalati, slanciati verso l'alto o riversi su se stessi, prodotti attraverso una macchina di sua concezione, al bronzo materiale inedito per questa lavorazione.

Nel contesto della Fonderia Artistica Battaglia di Milano, Alvarez ha adattato la sua macchina auto-costruita, chiamata Extruder, per lavorare la cera. L'Extruder è così descritto: “Un grande cilindro metallico sospeso con catene dal soffitto, l'estrusore utilizza un motore elettrico per esercitare più di seimila libbre di pressione sulla cera, spingendolo attraverso diversi stampi e forme. La cera scorre, quindi, in una grande piscina fredda e nelle mani dell'artista che guida l'estrusione e regola la sua forma finale. Il processo si snoda tra l'inaspettato e il controllo, tra l'intenzione e la sorpresa (...) Una volta pronta la forma in cera, tutti i pezzi sono fusi in bronzo e diventano quindi unici” (Fonderia Artistica Battaglia).

È stata la prima volta che un artista si è avvicinato a questa tecnica per la produzione di opere in bronzo.

La costruzione della filosofia progettuale dietro a ogni lavoro di Alvarez conferma l'impronta rinascimentale di questo artista e artigiano, designer e ingegnere dell'anima che vede nelle possibilità della tecnologia applicata alla meccanica un fattore determinante della sua Arte.