Una pittura che disarma e stupisce quella di Alberto Bertoldi: ci presenta ‘solo’ nuvole. Una pittura idolica, quindi eidetica, dove l'apparente assenza di pensiero è grazia e il pensare è forma compiuta. Idoli che non ci chiedono nulla e ci concedono il lusso di lasciarci guardare. Divina gratuità. Divina vacuità. Nuvola quale fatto, dato transeunte dell’irreparabile dell’esistente. Ci sono per ricordarci che la bellezza appare effimera? O è il nostro occhio non adatto a conservarne l'apparire? Forma pura, di materia onirica. Fanìa reale, non apparente, ma dell'apparenza tiene la leggerezza. Obiezione del kosmos all’umana storia. Come può esserci una “storia” di nuvole o delle nuvole? Appaiono refrattarie a ogni kronos, a ogni diveniente concezione umana. Come quindi resistere alla tentazione di parlarne, quindi, con chi vive dipingendole? In Alberto Bertoldi abbiamo un'anima e un corpo che creano arte con le nuvole, tra le nuvole. Ascoltiamolo…

Alberto, la tua pittura stupisce e spiazza. Cosa c'è di più inconsistente di una nuvola? Come è emersa questa affascinante ossessione?

Sono felice che il mio lavoro in qualche modo sorprenda, a livello mentale, emozionale, sentimentale, o, chissà, forse addirittura spirituale, non so, dipenderà dalla propensione momentanea dell’osservatore, però questo, onestamente e senza falsa modestia, è quanto spesso mi viene riferito, anche facendo l’opportuna tara alle dichiarazioni di convenienza vi deve essere qualcosa di vero, qualcosa che può essere riassunto nella dichiarazione di un mio gallerista di anni fa (parecchi): “Alberto i tuoi quadri hanno un difetto, stanno male assieme agli altri”; in questo dire ‘stanno male’ c’è molto significato, In fiere o altre occasioni dove vi siano tante altre opere, anche bellissime e significanti e indiscutibili, in effetti, a me come osservatore, ma anche a tanti altri, i miei quadri sembrano come provenire da un altro pianeta. Io stesso ne sono stupito; eppure non sono un asociale, né un solitario, né altro di strano, anzi ho una famiglia normalissima, e una rete di belle relazioni. Chi è che c’è dunque dietro quei quadri che sono fatti da me? Bhè Giacomo, onestamente non voglio prendermi o prenderlo (quello che fa i quadri) troppo sul serio, però dipingo da quando ho 14 anni, con una pausa nel momento di crescita più intensa della mia famiglia (le priorità della natura per me non si discutono) e la sola cosa che sempre è stata riconosciuta è l'originalità delle cose che uscivano, decenti o indecenti che fossero. Ciò non va inteso in senso unidirezionale positivo, anzi spesso quello che tu definisci ‘spiazzamento’ spesso l'ho vissuto come irritazione o addirittura disgustante, ma non è frutto di una voluta ricerca di esclusività, semplicemente è quello che mi esce nel tribolato, sofferto e conflittuale modo di ‘costruire’ un quadro, che per me non finisce per compiutezza, ma finisce per mio sfinimento. Per me è una cosa infinitamente gratificante vedere, magari nel guazzabuglio di un evento fieristico, bambini che tirando la giacchetta di genitori distratti… “mamma, mamma, guarda quello che bello!” Un po’ la stessa cosa che un noto critico, dopo che per anni ci eravamo sentiti con promesse di visite ecc., finalmente giunto per caso ineludibile a una mia mostra, mi disse: “Eh... però... sono proprio belli!”, ma non aggiunse altro.

Un grande amico, sensibilissimo e coltissimo intellettuale di grande spessore nonché espertissimo d’arte una volta mi disse: “Sai le tue cose, sotto l’apparenza del semplice, sono molto difficili; e chi le affronta con gli strumenti critici usuali può trovarsi spiazzato e non vedere null’altro che l’immagine e così spesso ti banalizzano e ti banalizzeranno… ma tu non puoi spiegarle, tu non hai scelta hai voluto la bicicletta e pedala!”

L’inconsistenza delle nuvole è pari alla loro; null’altro nella nostra esperienza visibile è tanto isomorfico e quindi simbolico della vita o dell’essere, quanto le nuvole e il loro esistere nel cielo, nascono dal ‘nulla’, diventano ‘tutto’ e ritornano nulla! Sintesi delle due nobili verità universali: “tutto cambia - tutto è interconnesso”; e solo il corpo e il volto umano possono racchiudere la stessa sintesi! Spesso, infatti, dico che per me la nuvola può essere come è il corpo umano per uno scultore, ci può essere dentro tutta l’esperienza di una vita se non dell’intero ‘essere’ per quanto adesso noi possiamo accedere. In ogni caso non la prenderei come un’ossessione: ho sempre dipinto paesaggi, ma pure ritratti, sostanzialmente perché, essendo figlio della natura e della montagna, è in quella esperienza visiva che i miei pensieri e tutto il mio lavoro interiore hanno trovato, e ancora trovano, il loro principale riflesso, lo specchio nel quale riconoscersi, catturare intuizioni, sintesi, moti di volontà o istanti di riflessione e tanto altro anche indicibile che sia; così il mio sguardo si è alzato progressivamente verso l’alto dove via via investigando ha trovato un mondo così ricco da rimanerci dentro senza stancarsi di trovarvi stimoli inesauribili. Ogni tanto faccio anche altro, ma non tanto è l’esaurimento dell’ispirazione dei ‘luoghi celesti’ quanto la ‘necessità’ di un esercizio anche in ‘luoghi’ diversi.

La tua opera sembra rivelare una nuova grammatica dove tecnica, idea e precisione risemantizzano il reale in suo ‘esserci trasfigurato’. Che passaggio declini ‘dall'esperienza nuvola’ vissuta alla rappresentazione estetica della nuvola?

Questa è una domanda cardine fondamentale per il mio stesso esistere come pittore; fortunatamente, non sono solo un pittore, sono ‘uno che fa di professione il pittore’, che è diverso. Fin dagli esordi degli anni Settanta la pittura era stata messa fortemente in discussione in sé e per sé, da molti ambienti intellettuali, e io ero giovane e molto influenzabile e quindi cercai una via mediana fra figurativo e astratto avvicinandomi al surrealismo. Frasi note come “Michelangelo ora farebbe il regista” entravano nelle mie orecchie e avevano un grosso peso, tuttavia per molti motivi, che a posteriori non posso nemmeno ascrivere a mia volontà conscia o inconscia che fosse, continuai a dipingere e anche via via nel modo più ‘classico’ faticoso e impegnativo che si possa, non so bene perché ciò sia accaduto, però, a un certo punto circa 25 anni fa divenni un pittore professionista; da lì ho fatto solo quello. Ma insistentemente e senza tregua, una forma di ‘necessità di giustificazione’ della pittura mi ha sempre accompagnato, sempre l’ho trovata e sempre a livelli di pensiero anche molto profondi, negli studiosi dell’arte, nei filosofi, nella psicologia e perfino nella scienza...

Penso che nessuno penserebbe di abolire lo studio degli strumenti musicali per il semplice fatto che tutto si può comporre ed eseguire al computer; nessuno osa nemmeno pensare una simile idiozia, eppure è ciò che si fa con la pittura. Il quadro è fatto dall’uomo con l’azione diretta della mano molto più che con l’intelletto; tramite l’agire manuale attraverso uno strumento assai sensibile come è il pennello, strumento che è un po’ come il violino per la musica.

Sulla tela rimane impressa una impronta indelebile; anche se stilisticamente il dipinto può sembrare quasi solo un’immagine, in realtà al disotto c’è ‘l’energia’ o l’informazione dell’autore e chi lo guarda, con tutte le variabili individuali possibili, lo sente, al pari di quanto si sente una nota suonata con passione (sempre tramite il corpo). In questo senso io pur essendo un pittore ‘figurativo’ contemporaneo, e lo si vede bene, non apprezzo molto certi tecnicismi di miei contemporanei che pur portando talvolta a effetti a prima vista affascinanti, irrigidiscono l’opera inducendola a una ‘staticità’ che finisce per spegnere l’opera... riducendola come a un ‘sepolcro imbiancato’ di vangelica memoria... Poi, per dire del passaggio dal ‘reale’, la questione è complessa e asistematica.

Comunque, per sintetizzare io non parto da una immagine definita, ma da un’ispirazione definibile una ‘sensazione’ che trova in un' immagine immaginata una vaga forma di condensazione, intorno a questo condensato comincio la costruzione dell’immagine che vede nella composizione uno degli aspetti cardine, naturalmente in questa fase tutto il fare tecnico procede nel modo della pittura: schizzo, disegno studi specifici e qui anche le foto come documento di studio apportano il loro contributo, sempre però senza essere mai una traccia, come peraltro per me non può nemmeno mai essere una traccia il disegno e la composizione preliminare, ma solo suggerimenti. Il quadro cresce poco alla volta in un rapporto dialettico che si sviluppa e a ogni aggiunta (anche solo una pennellata) comporta una risposta che deve essere valutata considerata o scartata, per cui ‘ogni pennellata modifica il quadro’.

In questo senso per me il lavoro è sempre una scalata che si fa via via più faticosa. Ho sentito dire che molti autori hanno il timore o il blocco della tela bianca. Per me è il contrario: ho molte tele bianche nel mio studio, ma sempre ne preparo di nuove per nuove idee che mi vengono in mente e non basterebbero mai! La tela bianca mi entusiasma e ho moltissimi stimoli per riempirle, molti di più di quanto le mie possibilità materiali mi consentano di sviluppare. Inoltre, voglio aggiungere che io non ho una prassi ben definita, ogni quadro è un quadro, e anche dal punto di vista tecnico ci sono variazioni: la tecnica è intrinsecamente connessa con l’espressione.

Più che ‘rappresentazione’ le tue nuvole mi appaiono veicolate in ... una ‘presentazione’ dove non c'è ‘recita’, cioè citazione di una res pregressa, ma stati mentali intensivi, dove l'estetica è partecipazione in continuum a una presenza nuda. Avverti anche tu la dimensione profondamente filosofica delle tue nuvole? E in che termini?

Qui mi sembra di poterti rispondere richiamando quanto già ho espresso sopra: nell’universo visivo di cui siamo circondati vedo nelle nuvole l’elemento più rappresentativo in senso metaforico della vita ma, di più, dell’essere stesso che non potrebbe essere se non si manifestasse. La nostra stessa esperienza di coscienza deve almeno passare dal pensare o dal sentire per essere, quindi, se c’è l'essere deve esistere una manifestazione che per essere tale deve muoversi nel tempo e nello spazio.

Ho letto parecchio di quanto gli stati estatici siano bellissimi, e una volta io stesso ho provato una forma di ‘piccolo Samadi’, credo si chiami così; è una grande beatitudine, ma non lo considero un fine, e oggettivamente non faccio pratiche per riacciuffare quello stato. Onestamente credo che Dio stesso si sia stufato di stare lì e abbia deciso di creare il mondo con il male se no non sarebbe! Purtroppo, ci vuole: quando muore il lupo finisce la favola!

Il tema della luce. Contemplando la tua opera mi sembra impossibile non riflettere sulla luce, che mai si vede direttamente nei tuoi quadri, ma appunto sempre ‘nembofanicamente’, per negazione-limitazione dialettica. La nuvola quale paesaggio fotico?

Qui non ho nulla da aggiungere, le tue osservazioni sono perfette, la luce è ciò che fa esistere le cose e, dunque, tutto non può che avere generazione a partire da essa. Naturalmente potremmo in termini scientifico-filosofici dire la vibrazione, ma è la stessa cosa un po’ estesa anche oltre il nostro senso del vedere, ma dato che faccio il pittore quella è la mia porta. Grande importanza la luce l'ha nel definire e significare la composizione; in un rapporto appunto dialettico espressione- limitazione- negazione.

Le nuvole hanno una storia? Hanno una relazione con il loro territorio e il loro ‘paesaggio a terra’?

A questa domanda sarei tentato di rispondere in modo negativo, nel senso che se c'è correlazione tra territorio e cielo spesso è meno evidente di quanto si creda; questo a meno di regioni particolarmente estreme (non sono un esperto in meteorologia), ma spesso le persone mi dicono: “Dove hai preso queste nuvole qui non ci sono?” Oppure: “Queste nuvole le ho viste…”! Ebbene, a parte il fatto che le mie nuvole sono ricostruite e non rappresentate, in realtà nuvole di tutti i tipi ci sono un po’ dappertutto. Certo in certi luoghi c’è prevalenza di certe tipologie in altri di altre, ma spesso non sono gli abitanti del cielo a mancare piuttosto è il nostro sguardo che non vede. Detto questo, devo aggiungere che per oggettività la correlazione può invece esistere tra me e il mio ‘territorio’, sebbene la cosa mi infastidisca, io non potrei essere io se fossi nato alle Antille o in Brasile o in qualsiasi altro posto.

Il campo morfogenetico del mio ambiente è anche dentro di me, parte di me e siccome credo di fare cose ‘sincere’ qualche traccia di tutto questo ci deve essere anche nei quadri, anche se devo però ammettere che, non so perché, ma io ho sempre sentito più vicino e ad essa mi sono ispirato: all’arte fiamminga piuttosto che a quella italiana!

Chissà? Vite pregresse? Anche le nuvole comunque cambiano; cambiano insieme a me, a partire dalla mia visione del mondo, dal mio sentire ed esperire le cose. Affronto ogni quadro spesso in modo diverso anche tecnicamente. Seppur vi sia una modalità prevalente, ci sono anche ampie divagazioni e cambiamenti che si consolidano, oppure svaniscono. Come le nuvole stesse.