Un serpente antagonista. Una ninfa, anima gentile. Un gigante, figlio di tempi primitivi e disordinati. Un secondo serpente maestro di iniziazione. Un’erba magica, talismano di vita e trasformazione. Sono gli ingredienti di una pozione di provata efficacia, quella di un’antica fiaba, enigmatica e ricca di simboli, dono prezioso di un autore greco di epoca ellenistica. Nata chissà quando, lungo la linea del tempo del mito; in seguito consegnata alle ere liquide della fiaba.

Un giovane di nome Tilo passeggiava lungo le sponde di un fiume, quando per avventura si imbatté in un serpente smisurato, che spalancando le fauci si avventò su di lui. Lo avvolse fra le sue spire, ne marchiò il tenero collo con i denti acuminati, sputando dalle mascelle i suoi succhi venefici; infine lo fasciò in una serpentina collana di morte. Il ragazzo non ebbe il tempo di opporsi alla rapidità dell’assalto e cadde a terra privo di vita.

Tilo aveva una sorella di nome Moria, una ninfa, che trovandosi da quelle parti fu involontaria testimone dell’omicidio. Si gettò in lacrime sul corpo inerme del fratello, ma mentre ne piangeva la sorte sventurata le si avvicinò uno smisurato gigante, Damaseno. Moria, per nulla intimorita da quell’apparizione, lo supplicò di aiutarla, indicandogli il rettile orrendo che ancora si contorceva nella polvere. Il gigante si mostrò sensibile alla preghiera della fanciulla: con gesto titanico impugnò un albero e lo strappò con le radici dal suolo, poi affrontò il drago. Vibrò quella lancia fronzuta saettando la quercia come fosse un dardo e conficcò il tronco nella testa del nemico, nel punto in cui il dorso squamoso si univa alla base del collo.

Il serpente crollò al suolo. All’improvviso, una femmina della stessa specie, sfiorando il terreno con le spire ondeggianti avanzò in cerca del compagno: dopo aver osservato cauta la scena, srotolando rapida il lunghissimo dorso si diresse verso una collina ricoperta di un manto di erbe odorose; nella macchia individuò e staccò con la mascella quello che chiamavano il “fiore di Zeus”, e in punta di labbra lo accostò alle narici del compagno inerme. Con un sussulto, il corpo immobile riprese vitalità. Il cadavere si scosse, torcendosi: e mentre una parte sembrava ancora senza vita, l’altra si muoveva. Producendo scosse improvvise, come animata da una segreta energia, la coda prese ad agitarsi e il serpente, emettendo un nuovo soffio vitale, a poco a poco aprì la gola ed emise un sibilo intenso. Infine si allontanò, tornando a immergersi nei recessi della sua vecchia tana.

Moria allora raccolse il fiore di Zeus e accostò quell’erba divina alle narici del fratello inerme. La pianta vivificante produsse nuovamente il miracolo: l’anima entrò una seconda volta nel corpo di Tilo e le fredde membra si riscaldarono di un calore interno. Il giovane mosse dapprima il piede destro, poi si drizzò appoggiandosi saldo sul sinistro. Il sangue recuperava il tepore; alle membra tornò l’armonia, alle gambe l’andatura, agli occhi la luce, alle labbra la voce.

Questo mito è una preziosa perla narrativa salvata dai versi di un poema del greco Nonno di Panopoli: uno scrigno di simboli ed enigmi da decifrare, all’interno del quale ogni personaggio possiede grande forza archetipica. La fiaba moderna avrebbe fatto in seguito tesoro di miti come questo. Qui, la presenza del gigante determina l’evento risolutivo della narrazione: grandi frequentatori delle storie mitiche, epiche e fiabesche, i giganti sono i testimoni di un mondo fuori misura per l’occhio limitato dell’uomo.

Nell’immaginario più remoto, hanno abitato una dimensione arcaica ancora pervasa da forze in cerca di equilibrio; hanno permesso con le loro ribellioni il sovvertimento di poteri antichi. Rappresentano quel caos primigenio contro il quale i nuovi numi hanno lottato per affermare un ordine più razionale. I giganti possiedono una natura fortemente connaturata all’elemento tellurico: ne sono quasi degli spiriti, o dei demoni, e lo dimostrano le code serpentine che in molte raffigurazioni sostituiscono gli arti inferiori, relitti di un’ibridazione malcelata. Spesso le loro vicende sono legate alla scoperta di erbe magiche: ed ecco, forse, perché proprio a questa creatura è qui affidato il compito di annientare l’antagonista e consentire l’epifania del farmaco miracoloso.

La memoria mitica dell’esistenza di erbe di immortalità e la valenza magica che esse racchiudono è patrimonio comune a numerose tradizioni e ha goduto di molteplici rivisitazioni nella cultura folclorica, catturando per secoli l’ammirazione dei nostri antenati. Spesso l’esistenza di questi prodigi botanici viene rivelata da serpenti iniziatori; qualche volta questi si oppongono all’uomo, al quale li contendono o li sottraggono. L’anelito a una vita immortale è la grande chimera della ricerca spirituale, e il serpente archetipicamente stimola l’uomo a tentare questa ricerca, alla lotta dello spirito e per lo spirito. Aiutante e antagonista allo stesso tempo, qualche volta, nelle fiabe, concede la rivelazione di qualche segreto.