Pirati, bucanieri, corsari, filibustieri e barbareschi.

Tutti noi siamo stati affascinati quando eravamo piccoli dalle storie di Emilio Salgari e di Robert Louis Stevenson, quanti si sono voluti mascherare da pirata, con una toppa sull'occhio, un spada e un cappellaccio con ben esposto il simbolo della Jolly Rogers in fronte, un gran teschio con tibie incrociate che campeggia su fondo nero. Direi tantissimi, ma come mai uno stile di vita così sanguinario e illecito e divenuto un simbolo tanto amato o idealizzato? Che dire, cerchiamo spiegazione nella storia della marineria per capirci qualcosa.

Innanzitutto sicuramente rappresenta avventura, è audacia, è impresa ardita nei mari, è, e questo potremo affermarlo, consuetudine “commerciale” della storia degli uomini. Ma come si distinguono queste categorie di avventurieri dei mari?

I bucanieri erano i pirati dei Caraibi, dal francese boucanier; i filibustieri invece erano persone di diversa nazionalità (francesi, inglesi, olandesi) che predavano per mare e facevano colonia nell'isola di Tortuga; i barbareschi erano diretti contro le imbarcazioni dell'Europa cristiana ed erano stanziati a Tunisi, Tripoli, Algeri e altri porti del Marocco. Ma sostanziale è la differenza tra tutti questi tipi di pirati e i corsari, che invece rappresentano una categoria di lavoro riconosciuto.

Se diamo un occhiata alla città di Livorno, ormai modello consolidato di politica illuminata medicea innanzitutto ma anche lorenese poi, ricordiamo che le immunità concesse tra il 1591 e il 1593 avevano richiamato masse di filibustieri dentro le mura cittadine. L'ambasciatore Morosini riferisce al Senato Veneto: "Qui hanno salvacondotto tutti i marioli che vi capitano per gli eccessi commessi in altri stati..." per questa ragione molti corsari giunsero a Livorno e con questa franchigia furono chiamati non più corsari ma mercanti.

Cosimo I prima e Ferdinando I dopo, costituirono con questi avventurieri delle forme di contratto di collaborazione, questi “mercanti” furono finanziati, gli vennero date navi del granducato e gli fu richiesto di issare bandiera toscana seguendo altri esempi consolidati come quello inglese. L'impresa veniva sancita attraverso la stipula di un contratto di compartecipazione agli utili, cioè il bottino veniva diviso in parti uguali tra l'armatore, il capitano e l'equipaggio.

La guerra di corsa, così veniva chiamata l'attività dei corsari, ha avuto implicazioni politiche, religiose, culturali e militari molto importanti nella storia del Mediterraneo che ha visto contrapporsi oltre agli interessi economici anche quelli di supremazia e di religione, tra islam e cristianità.

Nel XVI secolo, Solimano I il più grande leader dell'Impero Ottomano e dell'Islam da Algeri e Tunisi sfidò il papa, i re d'Europa ma anche Genova e Pisa con centinaia di galee corsare. Va specificato che i corsari erano diversi dai pirati, essere corsaro era un vero e proprio mestiere, veniva deciso dal sovrano che gli concedeva la patente e il grado di ammiraglio e insieme stabilivano la strategia di offesa e cosa molto importante, in caso di cattura, i corsari a differenza dei pirati, venivano messi a remare sulle navi dei vincitori mentre per i pirati c'era immediata la morte.

Per tornare alla città di Livorno, Cosimo I fonda l'Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano per combattere i corsari turchi. Pare che la fine della guerra dei corsari si sia conclusa nel 1830 tra le isole e la costa della Toscana grazie all'aiuto degli Stati Uniti d'America che inviarono nel Mediterraneo, prima negli anni che vanno dal 1801 al 1805 e poi nel 1815 la fanteria di marina per combattere le “barbary wars”. Il loro assalto a Tripoli nel 1804 fu determinante per far sì che si potessero riprendere i commerci navali con più tranquillità. Livorno ringraziò gli Stati Uniti inviando il Tripoli Naval Monument scolpito da Giovanni Micali nel 1806 in marmo di Carrara, che oggi è nel cortile dell'Accademia Navale Usa di Annapolis. Altra azione di stabilizzazione si dovette anche alla azione della Francia che conquistò Algeri e Tunisi.

Ma esistono ancora i corsari oggigiorno? È veramente conclusa la guerra sui mari per l'affermazione della propria territorialità magari mascherata da abbordaggi per saccheggi di merci di navi straniere? Mi viene in mente il recente caso dei due motopescherecci italiani che a 29 miglia circa dalla costa libica, quindi in acque internazionali, dichiarate libiche solo in modo unilaterale, sono stati abbordati a colpi di mitragliatrice e fatti entrare nel porto di Ras Al Hilal e qui depredati di 100.000 euro frutto del loro pescato e successivamente liberati tramite accordi tra ministeri italiani e locali. Anche in questo caso, come circa 400 anni fa, gli aggressori erano su imbarcazioni battenti la loro bandiera di provenienza e alle direttive di un uomo forte, nella figura del capo politico e militare della Cirenaica Khalifa Haftar in questo caso, per appropriarsi di qualche tonnellata di merce, nella fattispecie, pesce.

Per similitudine mi viene da pensare che la storia ha i suoi corsi e ricorsi. Così come nell'800 gli Stati Uniti si stanziarono di fronte alla Libia per porre fine agli assalti di mare, nuovamente si posizionarono dietro la “linea della morte” tracciata dalla decisione ancora unilaterale dei libici del 1973 di appropriarsi del Golfo della Sirte e di estendere di altre 12 miglia il limite delle acque territoriali. Il 19 agosto del 1981 gli Americani ebbero un confronto armato terminato con l'abbattimento di due MIG-25 libici per rivendicare l'internazionalità di quelle acque.

Queste acque ancora adesso rivendicate, continuano a creare problemi non solo ai pescatori italiani ma anche e direi sopratutto di tipo politico. Nel frattempo che le parti in causa che hanno interessi comuni nel Mediterraneo riescano a mettersi d'accordo, è necessario che i nostri mezzi navali da pesca siano tutelati direttamente in mare, con un servizio di pattugliamento costante e non lasciati soli, alla mercè di aggressioni armate. Le operazioni di pattugliamento da parte della Marina Militare Italiana, relative alla Vigilanza pesca, sono una attività con la quale la Marina Militare assicura dal 1959 la presenza navale continua nelle acque internazionali dello Stretto di Sicilia, per assicurare il libero esercizio dell’attività di pesca dei pescherecci nazionali nel pieno rispetto delle leggi nazionali vigenti. Non solo la MM agisce su questo fronte ma assicura anche sorveglianza per la prevenzione degli inquinamenti delle acque marine e nel pattugliamento delle porzioni di mediterraneo aperte alle attività di esplorazione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, al fine di prevenire e rilevare attività non autorizzate o potenzialmente pericolose per l’ambiente marino.

Se i nostri mezzi di sicurezza fossero stati vicini ai motopescherecci, alla prima richiesta radio di soccorso sarebbero giunti in aiuto, direttamente o indirettamente con l'invio di un elicottero dal ponte nave che in un ora avrebbe coperto una distanza di 90 miglia, come il modello Augusta-Bell 212 in dotazione alla MM, ma evidentemente erano troppo lontane, posizionate su linee molto arretrate. Perché viene da chiedersi erano così arretrate? Chissà se forse il problema dei migranti diventerà anche il problema dei nostri pescatori?