Ho sempre pensato che uno dei lavori più difficili in assoluto sia quello di essere dei buoni genitori. Pur non avendo figli, ho comunque interpretato il ruolo di figlio e, nel corso del tempo, mi sono accorto degli effetti deleteri che può avere un’educazione familiare scorretta sulla crescita di un individuo. L’influenza devastante del pensiero dominante di un padre o di una madre sulle scelte di vita dei propri figli, la paura del loro giudizio, l’assenza di dialogo e quindi il disagio di non sentirsi mai capiti o ascoltati, la pulsione ad essere a qualunque costo diversi da loro. Questi sono solamente alcuni tra i tanti punti che sottendono al grande ruolo di responsabilità che mamma e papà hanno sulla personalità, il carattere e il mondo emotivo dei propri figli.

Oltrepassata la sfera familiare, si entra nel meraviglioso mondo della scuola dove altri educatori sono pronti a dare i loro input utilizzando i propri strumenti per perfezionare la crescita di questi bambini. Professione nobile, ma di grande complessità quella del formatore, che avrà inevitabilmente un’influenza sulle persone non meno importante di quella della famiglia. A quel punto mi pongo una domanda fondamentale: Gli educatori sono preparati a formare le nuove generazioni?

Di recente sono stato invitato al XXXV congresso C.N.I.S. nazionale di Assisi dove il tema era proprio: Quando educare è più difficile: l’intelligenza nelle nostre mani. Il CNIS è l’Associazione per il Coordinamento Nazionale degli Insegnanti Specializzati e la ricerca sulle situazioni di Handicap.

È stato emozionante scoprire questa rete di bellissime persone motivate ad avere una scuola migliore e tutte legate da un obiettivo comune: trovare la formula e gli strumenti giusti per insegnare nel miglior modo possibile a tutti i bambini con e senza disabilità. Ritrovarmi in una cattedra di fronte a centinaia di insegnanti e mamme, perlopiù di sesso femminile, provenienti da tutta Italia che aspettavano di sentire i miei suggerimenti da artista mi ha fatto emozionare e sentivo crescere il senso di responsabilità. In fondo non essendo un vero e proprio accademico, né tantomeno uno scienziato, portavo esclusivamente la mia testimonianza di quanto importante fosse connettersi con i bambini (e successivamente i ragazzi) oltre che con la mente anche con il corpo e quindi la comunicazione non verbale.

Con il mio workshop divertente e interattivo ho esposto i punti cardine necessari per usare una comunicazione adeguata e accattivante per entrare in contatto con le nuove generazioni. Piccoli accorgimenti sul modo di interagire con loro per attirare concretamente l’attenzione ed entrare in pura empatia evitando frustrazioni e stress da entrambe le parti. Credo non sia possibile pensare ancora oggi di utilizzare metodologie didattiche del passato con bambini nati nell’era moderna che inevitabilmente hanno nuovi codici linguistici e diverse attitudini comportamentali. Spesso mi ritrovo però in alcuni istituti dove vedo insegnanti sgolarsi per diverse ore senza ottenere un minimo di ascolto dagli studenti. Non essendoci mancanza di connessione diretta con loro le parole si trasformano in foglie autunnali prive di vita spazzate dal vento.

Credo che si tratti di una doppia sconfitta per la scuola e la società, perché perdere del tempo prezioso da entrambe le parti non è vantaggioso per nessuno. Da un lato viene a mancare del tutto il rispetto per il ruolo di educatore che perde efficacia, mentre dall’altro, negli studenti, diminuisce la fiducia per l’istituzione e muore lentamente il loro desiderio di studiare. Risulta fondamentale quindi trovare un approccio umano e sincero con loro che segua la maieutica per lavorare insieme, che ci permetta di entrare fisicamente in contatto con loro e ci spinga a dedicare diverso tempo allo studio in classe dell’Intelligenza Emotiva, con particolare attenzione al riconoscimento delle proprie emozioni e quelle degli altri.

Lo so benissimo che non ho inventato l’acqua calda e so anche di non essere il primo a pensarla in questa maniera. Basti ricordare i grandi esempi del passato come Maria Montessori e Danilo Dolci, che è proprio il caso di dirlo, hanno fatto scuola, per mostrarci che non stiamo parlando di eresie, ma di un modo possibile di fare scuola. Il calore umano e la gratitudine ricevuta alla fine del mio intervento da tantissime mamme ed educatrici presenti mi ha fatto capire che c’è ancora speranza e che possiamo e dobbiamo fare tanto per creare una società migliore. Non è casuale che mi siano stati proposti diversi progetti di collaborazione con le scuole e le CNIS di tutta Italia per utilizzare il mio approccio teatrale e divertente come strumento straordinario di educazione, ma anche come lingua di comunicazione per veicolare messaggi importanti.

Sono convinto che sarà necessario fare a monte una mirata strategia governativa di formazione per gli educatori che hanno una delle responsabilità più importanti: quella di fare crescere, nel modo più adeguato possibile, una nuova generazione acuta e pensante ma con una buona conoscenza dell’Intelligenza Emotiva.