Un innato senso dell’ospitalità e una storia che si perde nel tempo fanno dell’Emilia Romagna una delle regioni più naturalmente disposte ad accogliere i segnali di un turismo nuovo e più partecipativo. Una millenaria e gloriosa tradizione contadina e culinaria ha saputo sfruttare sapientemente le ricchezze naturali con interventi di tipo industriale che oltre a mantenere e garantire la qualità, ne hanno esaltato il già grandioso potenziale con l'immediata fruizione e la diffusione su larga scala dei prodotti regionali, prodotti che a volte solamente nel nome, ma sesso anche di fatto, trovano la collocazione sugli scaffali dei supermercati di mezzo mondo.

Da Forlì a Piacenza, passando per Bologna, Modena, Parma, la mappa geografica della regione è un susseguirsi di variegati itinerari che intrecciano la storia con l'arte e la gastronomia; e se simpaticamente si definisce l’Emilia Romagna una fra le più “golose” regioni d’Italia, sin dall’antichità arriva una eco di conferma; da sempre, infatti, terra fertile e rigogliosa, stretta fra il corso del Po’ e il crinale appenninico, la regione manifesta attraverso la diversità dei suoi prodotti e dei piatti tipici, la vivacità e la semplicità dei suoi abitanti, che hanno sempre ritenuto importante l'arte culinaria, sia che nasca dalle evoluzioni di gusto d’alta cucina sia che provenga da semplici dettami di tradizione.

Decantata dal poeta Marziale e apprezzata dall’invasore Annibale e dalle truppe al seguito, la gastronomia emiliano-romagnola vanta un considerevole numero di prodotti “doc” sia tra i vini che tra i formaggi e i salumi, e se Modena e Parma sono notissime per la produzione dei prosciutti, Bologna, tra le sue artistiche bellezze comprende una squisita mortadella, e Busseto, orgogliosa per aver dato i natali al famosissimo Giuseppe Verdi non lo è da meno per il suo delizioso culatello. Non uno ma diversi possono quindi essere gli itinerari da percorrere seguendo i vivaci “sapori” regionali, tutti comunque garantiti da un consorzio di aziende agrituristiche che consentono la prosecuzione di certe tradizioni con l’esclusività qualitativa del prodotto.

Non c’è modo migliore per iniziare a visitare queste terre che partire dalle suggestive campagne del ravennate: un “mare” vasto e spumeggiante di prati odorosi di lavanda e di mille altre erbe aromatiche e officinali.

Casola Valsenio, piccolo borgo in provincia di Ravenna, è il culmine dl una serie di poggi e valli fiorite, irrigate dalle acque del Serio e del Cestina (noti per la pesca di trote). Tra fortificazioni medioevali e alberi secolari, rigidamente protetti e tutelati per la loro rarità, si estende il più vasto giardino officinale, ricco di 350 specie di piante che si possono anche gustare e acquistare. Tipico della zona il mercatino più odoroso di tutta la Romagna che si svolge nella stagione estiva e che attira semplici curiosi ed estimatori delle più raffinate e delicate ricette alle erbe o coloro che, affidandosi ai buoni e sani consigli popolari, si rivolgono alla medicina alternativa fatta di tisane, decotti e unguenti. L’Abbazia di Valsenio, austera costruzione romanica del X secolo è la custode silenziosa dell’arte antica di curarsi e nutrirsi con le erbe: antico e indivisibile vincolo dell’uomo alla propria terra, trascritto con meticolosa precisione negli “erbari” dei monaci benedettini che nell’Abbazia vissero e operarono per lungo tempo.

Successiva tappa piacevolmente obbligata è Forlimpopoli, che nell’Ottocento diede i natali all’Artusi, possiamo dire uno chef del passato, raffinato cultore del mangiare e bere, e divulgatore già molto tempo prima dell’attuale diffusione mediatica della cucina emiliano-romagnola e italiana in generale. Grazie a lui, tra gli altri prodotti tipici della regione, ebbero particolare diffusione e uso il radicchio amaro e i famosi “cappelletti” che, con una variante alla ricetta classica che li vuole “di magro” (è usanza farli in questo modo a Forlì ai nostri giorni), vennero da Pellegrino Artusi proposti con carne di cappone: nell’uno o nell’altro modo, oppure in “pasticcio” (conditi con un forte e saporito sugo di funghi e fegatini di pollo, spolverati di formaggio grattugiato e avvolti in un guanto di soffice pastafrolla): sono una prelibatezza da non perdere, della quale le aziende agricole e i ristoranti della zona vanno altamente fieri.

Un salto in avanti e si giunge a Bertinoro, dove l’amore per la buona tavola, l’allegria e l’ospitalità sono riassunte nella trecentesca “Colonna dell’Ospitalità”; gli anelli alla base rappresentavano le famiglie patrizie del tempo che si impegnavano ad accogliere i forestieri che avessero legato i loro cavalli alla colonna e da allora, ogni anno nel mese di settembre, questa nobile usanza rivive nella Festa dell'ospitalità: di nuovo un ideale palcoscenico per una vera e propria rappresentazione agroalimentare. Una buona terra, calda e generosa e una perfetta gradazione di umidità, fanno di Bertinoro la patria del vino, esaltato da una continuità tradizionale che conduzioni "familiari" si impegnano a mantenere. L'Albana è un vero trionfo enologico, possiede meritatamente la denominazione “docg”, ed è la chicca del Museo del vino che, insieme al monumento al vignaiuolo, rende questa zona più curiosa delle altre. A pochi chilometri, Meldola e Predappio offrono al turista, amante del buon gusto, due prodotti delicati e raffinati: lo squaquarone (formaggio molle e leggero) e il Sangiovese, notissimo vino da pasto, adatto al gusto corposo e fiero di tortellini, passatelli e lasagne.

Curiosa e interessante, una visita alla Cà de Sanzvès, antica cantina sociale e orgoglio del piccolo borgo medioevale, nella quale è possibile seguire le varie fasi di lavorazione delle uve sino alla produzione dello squisito nettare. Non possiamo dimenticare Dovadola, celebre per i tartufi ai quali è giustamente dedicata una vivacissima sagra paesana che culmina in una gara gastronomica e in una mostra del pregiatissimo tubero.

Merita una sosta Sogliano al Rubicone, un'area appenninica particolarmente legata all’origine agricola di questa regione e che ha saputo, pur mantenendo la tradizionale gestione familiare delle aziende, evolversi professionalmente garantendo la sopravvivenza e l‘incremento economico (soprattutto nel settore lattiero-caseario) di un territorio particolarmente fruttuoso. Da gustare il tipico “pecorino di Fossa” che ancora oggi rispecchia nella produzione l’uso antico, probabilmente tramandato dal popolo dei Solonati, dedito alla pastorizia; presso le aziende cooperative che operano nella zona è possibile seguire il procedimento di “creazione” e stagionatura di queste odorosissime forme letteralmente sepolte in fosse secolari scavate nel tufo: rimangono a fermentare per tutta l’estate sino a fine autunno quando, durante una grande festa popolare che riprende cerimoniali quasi magici, le fosse vengono liberate dal gesso e dal legno che le chiude e le forme portate alla luce per essere gustate e apprezzate come rare prelibatezze.

Non possiamo far altro che fermarci e perderci in queste prelibatezze che provate sul posto sono molto meglio che per sentito dire.