Oltre alla sua dimensione di armonia e bellezza, facilmente percepibile da chiunque, la Natura nasconde dei delicati equilibri, delle “aperture” discrete, dei momenti di stupore e piacevole smarrimento, che la rendono un dono prezioso e insostituibile.

Antoni Gaudí diceva: che “ogni cosa proviene dal grande libro della Natura”. E il filosofo-zen Alan Watts, esponente di spicco della controcultura americana degli anni ’60, ha definito il legame indissolubile che ci lega all’ambiente originario, alla prima “culla” che ha modellato la biologia e la socialità della nostra specie, con queste semplici ma efficaci parole: “(...) come istintivamente amiamo nostra madre, siamo legati alla Natura fisicamente, cognitivamente ed emotivamente. Non siamo venuti in questo mondo. Ne siamo usciti, come un’onda dall’oceano”.

Siamo protagonisti di una lenta coevoluzione con la biosfera e partecipi di un incredibile patrimonio di biodiversità: da milioni di anni intratteniamo una relazione stretta con gli ecosistemi, i microrganismi, le piante e gli animali. L’uomo, nei panni di cacciatore-raccoglitore, ha trascorso il 95% della sua storia a stretto contatto con la Natura; poi, circa 10.000 anni fa, con l’avvento dell’agricoltura e dell’addomesticamento degli animali, è iniziato un lento processo di adattamento che ha accompagnato e caratterizzato lo sviluppo della civiltà moderna.

L’abbondanza di cibo, la crescita demografica e l’urbanizzazione diffusa, basata sullo sfruttamento incondizionato del territorio, hanno rappresentato gli elementi chiave per promuovere una grande trasformazione ambientale e sociale, che ha spinto ampie fasce della popolazione ad allontanarsi progressivamente dalla campagna verso le città. Il continuo consumo di suolo, al fine di ampliare le aree urbane e industriali, ha portato a una modifica radicale del paesaggio; una tendenza, questa, destinata a proseguire di pari passo con il progresso economico.

Nella società moderna, la Natura, delegittimata dal punto di vista emozionale, simbolico e spirituale, è stata ridotta a una semplice dimensione estetica, relegata sullo sfondo oppure considerata un accessorio di una realtà ordinaria e ripetitiva. Non è un caso che nel mondo il numero degli abitanti che vivono nelle città ha superato quello che risiede per necessità o per scelta negli ambienti rurali. Attualmente sono tanti gli insediamenti urbani che contano milioni di persone (alcune metropoli, come Shangai, Pechino, Karachi e Lagos hanno superato i 20 milioni di abitanti), senza tenere conto il futuro impatto ambientale di Paesi emergenti, come l’India e la Cina, la cui rapida corsa allo sviluppo economico sta comportando massicci investimenti nell’industria chimica e metallurgica, nell’agricoltura e negli allevamenti intensivi.

Il divario tra biologia e cultura ha spezzato il legame che da sempre avvicina l’uomo alla Natura, creando una frattura insanabile che coinvolge la dimensione interiore di ogni individuo. Nel 1984 Edward Wilson, biologo dell’Università di Harvard, ha utilizzato il termine “biofilia” (dal greco bios, vita e filos, amore, amicizia) per descrivere l’attrazione istintiva che il genere umano ancora prova nei confronti degli ambienti naturali. Partendo da queste considerazioni, nel corso degli ultimi anni stanno assumendo sempre più ampia rilevanza gli studi e le ricerche scientifiche che dimostrano come una frequentazione costante degli spazi verdi possa agire positivamente sul benessere del corpo e della mente. Shinrin Yoku (in giapponese significa “foresta di balneazione”), Forest bathing (“bagno nella foresta”) e Forest therapy (“terapia forestale”) sono alcune delle tecniche più in voga per ripristinare una sana connessione con la Natura.

Esistono prove sperimentali a sostegno del fatto che la semplice contemplazione di un paesaggio naturale, la permanenza in un bosco, in un prato o in un parco cittadino, possono contribuire a ridurre i livelli di ansia e di stress; gli effetti si materializzano con una diminuzione della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna e di vari ormoni, tra cui adrenalina, noradrenalina e cortisolo (i cosiddetti ormoni dello stress). Ricerche effettuate in alcuni ospedali hanno dimostrato che molti pazienti, soggiornando in camere con una migliore vista sull’esterno, in presenza di paesaggi ricchi di piante e alberi, sperimentano un rapido recupero post-operatorio e una facile riabilitazione. Al contrario, molti ambienti artificiali, come le aree degradate e densamente popolate delle periferie urbane, sono associati a sentimenti di insicurezza, disagio e rassegnazione, che con il passare del tempo innescano delle risposte psicosomatiche negative.

Un altro importante aspetto che ha catalizzato l’interesse degli studiosi riguarda la capacità da parte delle piante di sintetizzare e liberare nell’aria molecole appartenenti alla classe dei terpeni (in particolare monoterpeni); queste sostanze rappresentano i principali costituenti di resine, oli essenziali e varie sostanze aromatiche, rintracciabili in numerose Famiglie, tra cui Labiatae, Rutaceae, Umbelliferae, Pinaceae, Cupressaceae, Corylaceae, Fagaceae, ecc.

L’abituale frequentazione di ambienti naturali permette di inalare questi composti volatili e di beneficiare delle loro proprietà balsamiche, antisettiche, sedative, calmanti e antidepressive, con riflessi positivi sull’umore e sulle capacità cognitive e creative. Infatti, attraverso la via olfattiva è possibile stimolare l’attività di alcune aree del cervello, tra cui, indirettamente, anche il sistema limbico, responsabile della gestione delle risposte emotive.

Anche la percezione dei colori influenza il comportamento e le reazioni dell’organismo nei confronti dell’ambiente. Le diverse tonalità percepite attraverso la vista, modificano l’attività cerebrale e le risposte mediate dal sistema nervoso parasimpatico e dall’apparato endocrino (ormoni), con ripercussioni dirette sull’umore e gli stati psicofisici. Non a caso, il colore più diffuso in natura è il verde, che esercita un’azione calmante, rigenerante e riequilibratrice dei processi naturali del corpo.

A queste influenze positive, si aggiungono altri vantaggi legati all’attività fisica che normalmente accompagna la frequentazione degli spazi verdi. Ad esempio, l’atto del camminare, implica una volontà e un desiderio di apertura verso il mondo che si manifesta con la piena partecipazione del corpo e di tutti sensi. Tale attività, praticata con moderazione e costanza, oltre ad apportare effetti benefici sulla funzionalità dell’apparato scheletrico, muscolare e respiratorio, agisce sull’organizzazione cerebrale, attraverso la stimolazione e un percettibile aumento volumetrico di alcune aree del cervello, soprattutto dell’ippocampo, coinvolto nei processi riguardanti la memoria, e della corteccia prefrontale che presiede alle principali attività cognitive, comportamentali e motorie.