C’è un Family Hotel in Alta Valsesia, Piemonte, dove è Natale 12 volte l’anno, ha il nome di un frutto (Mirtillo rosso) che è anche il soprannome della renna di Babbo Natale. Al ristorante servono menu per neonati, bambini, ragazzi e adulti pensati da una cuoca che potrebbe essere la principessa Tiana. È nera come lei, viene da un'altra cultura e della nostra la disturba la morbosità delle madri per i figli maschi «che vengono su come pappe molli, io a mio figlio ripeto che la vita è un dono ma non è regalata, devi lottare ogni istante».

Aveva un sogno occidentale con il quale ha fatto i conti e dopo 17 anni ritiene che a queste latitudini non ci sia un grande futuro «ma ormai qui è casa mia; servirebbe solo redistribuire il benessere altrimenti succederà quel che è accaduto da noi: quelli che hanno meno avranno sempre meno… e qualcuno ne approfitterà per scatenare la guerra». E sui migranti come lei ha un’idea precisa: «oggi sono merce di scambio tra i mercanti di là e di qua e in quelle maglie s’infilano i delinquenti. Diamo i visti a chi vuole studiare, formarsi, specializzarsi. Ai rifugiati invece servirebbe una protezione delle grandi istituzioni internazionali, e non imbarcarsi in viaggi della morte». Dei bianchi odia solo una cosa: quando le dicono che è di colore perché «non sono di colore, sono nera. Il nero non è colore, lo è il bianco, lo dice la scienza; oppure facciamo che siamo tutti di colore».

Le principesse moderne le cose non le mandano a dire e si è visto anche in Tv, durante la partecipazione a Top chef: ha sempre detto la sua e anche se è arrivata seconda, la grinta e l’originalità delle sue creazioni non sono passate inosservate. Da sempre coltiva il desiderio di lasciare un segno e si batte per vincere. Sarà per via del nome: Victoire. E anche il cognome dalle sue parti ha un peso: i Gouloubi discendono dall’antica tribù del re del Congo considerata intoccabile e protettrice della terra congolese. Sono le dinastie con i volti marchiati dai balafre, lunghe cicatrici. Nata nel 1981 Victoire Gouloubi è l’ottava di diciannove figli: «non tutti della stessa madre! Da noi gli uomini si sposano più volte anche nelle famiglie cattoliche come la mia. Accade anche da voi, no? – dice scherzando - Mio padre era espatriato in America prima come studente e poi come docente universitario, tornava in Africa e metteva incinta le sue donne, ma al decimo pargolo la famiglia l’ha obbligato a tornare a Brazzaville, la capitale dove sono nata e cresciuta. Intanto mamma allattava i miei fratelli e andava a lavorare alle Poste e Telecomunicazioni: era ispettrice, con i tacchi a spillo. Libera, determinata, emancipata, con due lauree. Mio padre ha provato a tenerla in casa, ma non c’è mai riuscito nonostante il suo carattere autoritario. E nonostante negli anni Ottanta e Novanta in Congo la donna potesse solo procreare, parlare poco, essere bella, fare l’abatjour».

La famiglia di Victoire è agiata e lei, studiosa con un’intelligenza brillante, fin da piccola è incoraggiata a incanalare in tante attività la sua energia creativa. Tra gli hobby la cucina, non particolarmente considerata dal padre che ha per lei progetti diversi: giurisprudenza e presidenza della corte d’appello. Tutto intorno gioca però contro: la situazione politica del Paese è instabile e dal 1994, dopo il genocidio in Ruanda che ha conseguenze anche in Congo, la vita quotidiana diventa una scommessa tra coprifuoco, omicidi, sparizioni.

Nel 1997 quando il colpo di Stato porta al potere Kabila, attuale presidente, Victoire ha 16 anni. È tregua, ma per quanto non si sa, così papà Gouloubi decide che «io e mio fratello avremmo continuato gli studi all’estero. Pensò all’Italia perché lì c’era un parente di mamma, prete cattolico che ci avrebbe aiutato; l’Italia poi per lo studio era uno dei migliori Paesi al mondo, ma dava pochissimi visti. A noi arrivò nel ’99 allo scoppio della seconda guerra, la più sanguinosa». A quel punto molti congolesi fuggono: Gabon, Camerun, Europa, America. Victoire e suo fratello studiano italiano all’ambasciata, ripetono i test di entrata due volte: «chiedevano cose strane tipo perché gli italiani dicono “magari”? Oppure bisognava elencare le specialità gastronomiche regionali». I fratelli Gouloubi partono decisi a studiare, lavorare, integrarsi e aiutare i loro cari da là. «I miei avevano venduto tre proprietà per comprarci i biglietti del viaggio: dovevamo onorarli».

Il 28 agosto 2000 arrivano a Roma Fiumicino e da lì vanno a Verona dallo zio che li porta in un convitto dell’università. Victoire avrebbe proseguito gli studi in giurisprudenza, suo fratello si sarebbe iscritto a economia. «Avevamo pochissimi soldi, lo zio pure. Presto capimmo che per tirare avanti non bastava una borsa di studio. Nel frattempo lo zio fu richiamato per una missione in Africa. Restammo soli con un permesso di soggiorno rinnovabile solo superando gli esami o se si veniva assunti». Come accade per molti espatriati, anche Victoire colleziona quelli che, senza piagnistei, definisce incidenti di percorso: notti di pianti e temperature siberiane trascorse in stanze condivise; voglia di tornare indietro, cellulari senza credito che squillano e dall’altra parte la voce di un parente che dice “ non tornare qui c’é la guerra, devi mandare soldi, sei una guerriera non puoi mollare; giornate punteggiate di sguardi ostili, di negozianti che chiamano i carabinieri solo perché sei di colore; brutte azioni razziste e piccoli gesti di bontà; tante chiacchiere e pochi fatti, sogni che lasciano il posto alle necessità.

Victoire molla giurisprudenza, s’iscrive alla scuola alberghiera di Feltre. È la prima africana a frequentarla: «All’epoca a Belluno eravamo cinque neri, oggi c’è un’african town, grazie a Luxottica che ne ha assunti due mila». Trova vari lavori in piccoli ristoranti per permettere a suo fratello di proseguire gli studi: «da noi si dice che la donna deve portare a casa i soldi e aiutare la famiglia, perché se è brava e fortunata troverà un uomo ricco, lo sposerà e sarà risarcita per gli studi che non ha fatto», racconta ridendo, «non ci ho mai creduto e in fatto di uomini sapevo solo che non avrei mai sposato un africano brutos e cafone. Sognavo un bianco occidentale». Lo incontra nel 2006: Saverio Paffumi, giornalista gastronomico che crede nel suo talento, la spinge a trasferirsi a Milano, a diventare una vera professionista. La presenta al pluristellato Claudio Sadler «ho bisogno di qualcuno che pedali sodo e inizi domani» le dice lo chef. «Claudio era gentile, la brigata invece m’insultava, mi cantava canzoncine razziste ma io a testa bassa lavoravo.

Da lì ho iniziato il percorso: sono andata con altri chef usciti dalla scuola di Gualtiero Marchese e grazie al mio uomo bianco, anche quando eravamo in vacanza andavo a fare stage da altri stellati, perché così si fa se vuoi diventare grande. In questa corsa ci siamo sposati ed è nato Silvano. Il lavoro dello chef non permette riposi, distrazioni. Io non avevo più tempo per me figuriamoci per mio marito. E questo ci ha messo in crisi, soprattutto lui». Anche le storie d’amore delle principesse possono finire ed è successo. «Il nostro Silvano aveva tre anni e oggi è lui che ci lega in un affido congiunto. Nella separazione ho la mia parte di colpa: sono sempre stata troppo irruente, ma il mio nuovo compagno Simone, mi sta “educando”». Prima di Top chef che «mi ha portato più credibilità professionale, fiducia in me stessa, stima soprattutto da Colagreco e Feolde, due emigrati come me» Victoire, proprio come la disneyana principessa Tiana, ha provato ad aprire un suo ristorante a Milano ma «è stato il più grande insuccesso in termini economici, mi sono giocata tutto, anche per ingenuità».

Ora al Mirtillo rosso ha trovato casa e non solo professionale: vive proprio lì in una dependance dell’hotel. «Mia sorella che è venuta anni fa a Milano, ora che sono distante fa ancora di più la zia a tempo pieno con Silvano e vengono al Mirtillo rosso ogni momento libero. Qui c’è sempre un’ atmosfera serena, anche in cucina. Certo mi manca la famiglia e della mia terra vorrei i raduni per dividerci i chicchi di riso e ridere, andare a prendere l’acqua nei pozzi, raccogliere la canna da zucchero, le arachidi; mi manca il vero profumo dello zenzero e il verde delle foglie di mais. E allora metto tutto questo nei miei piatti, dove non mancano mai zenzero e burro di arachidi. Anche nella polenta concia perché adoro stupire e mescolare le differenze, illudendomi che anche questo contribuisca a creare un mondo migliore». Perché infondo è questo il sogno di ogni vera principessa.