18 novembre 2017
Sabato mattina. Colazione nella piazza di Ploaghe. La piazza scende dolcemente verso una grande veduta sulla valle e sui monti lontani. Questo paesaggio dai toni azzurri, sfumati, suggerisce all'orizzonte, il mare. Siamo all'interno della Sardegna e continuo ostinatamente ad avvertire aria di mare. La piazza è stupenda. Alla mia sinistra tre chiese di epoche diverse: al centro la cattedrale del '500 a lato le altre due, più piccole, dai caratteri primitivi. Un nucleo architettonico armonico che non viene disturbato da altri edifici. C'è silenzio, pace e lo sguardo si allena alla visione di grandi spazi. Ma dobbiamo andare perché questa mattina ragazzi e ragazze della scuola media ci attendono nell'ex Convento dei Cappuccini e Chiesa di S. Antonio da Padova per una lezione che ha per tema il mosaico ravennate.

Quando arriviamo gli studenti sono già irrequieti. Marcello mi stupisce sempre e anche in questa sua lezione elabora un aspetto del mosaico al quale non avevo mai pensato. Prende gli allievi come soggetti e dice che quotidianamente anche loro quando formano gruppi, quando si allontanano per antipatia o si avvicinano per il sentimento opposto e anche ora, seduti, con i loro movimenti creano mosaici viventi. Il mosaico emotivamente, fa parte delle nostre vite. Elena ha portato un chiavetta con immagini del mosaico antico e del mosaico contemporaneo. Momenti di panico; sindaco, vice sindaco, tecnici, non riescono a far funzionare il video. Chiedo a uno studente se è in grado di mettere in funzione la chiavetta. Guarda il computer, chiede di poter andare a scuola; in cinque minuti il problema viene risolto e Elena può fare la sua lezione.

Non siamo qui solo per il mosaico, no, c'è Paolo Fresu nelle sembianze di Catia. Qui, e non solo qui, il mosaico viaggia in compagnia del jazz. E Catia compie il miracolo. Fino ad ora è stata una impresa ardua ottenere l'attenzione degli studenti. Le insegnanti si scusano, li giustificano. Noi sappiamo bene che la loro è l'età ingrata e ci pensa Catia con un colpo di genio fuori dagli schemi come tutti i colpi di genio, a riprendere la loro attenzione. "Su ragazzi, adesso seguitemi e insieme canteremo, non una canzone sarda, no, canteremo Romagna mia" È fatta. Ancora e ancora. La conquista è fatta. Saluti, ringraziamenti e visita alle aule del convento allestite con i mosaici realizzati nel corso del festival internazionale del mosaico. Il luogo, il convento, è un altro complesso molto interessante con un bel chiostro.

Siamo a pranzo da Antonia e ritorna l'abbandono, lo stato di grazia. Ci vergogniamo un po' perché la loro ospitalità viaggia tra arte e scienza e quando sono venuti a Ravenna non hanno ricevuto le attenzioni che ora rivolgono a noi. È una giornata di sole e in compagnia del buon vino prendiamo conoscenza della bellezza del territorio. Silenzio, garbo. Inizio ad avvertire il desiderio di fermarmi. Questa mattina sarei rimasta seduta al bar, ora che Catia ci richiama a un altro andare io rimarrei qui. Dove si va? Si va a Berchidda il paese di Paolo Fresu a salutare la sua mamma: una signora novantenne piena di energia. Ed è l'unica persona che, in questo viaggio, è riuscita a sfuggire a Catia. Ad attenderci, nella piazza, c'è il cugino di Fresu. Insieme a un amico ci fa visitare il paese e parla del Festival internazionale di musica Jazz che Fresu organizza in questi piccoli paesi dell'entroterra sardo. Il suo è un ritorno alle origini e questo ritorno riesce a condividerlo con artisti di tutto il mondo e un numerosissimo pubblico. Lo fa lungo il fiume, sul grande albero della sua infanzia, nei boschi, nel suo territorio, lontano dai percorsi turistici. Si fa, così, testimone e contemporaneamente onora persone, luoghi di una magia possente e tempi che hanno segnato profondamente la sua e le nostre vite.

Viene offerta, anche a noi del Dis/Ordine la possibilità di realizzare un mosaico all'interno di questo festival meraviglioso. E cosi, ridendo e scherzando, in una terra che mi annichilisce, questa estate, possiamo creare nuovi lavori. Intanto il mio sguardo divora vasti orizzonti, pianure, montagne, boschi, bianche nuvole veloci che solcano il cielo azzurro, intenso. Per forza, in questa terra, molta gente campa cent'anni e a volte senza neanche quei piccoli rincoglionimenti che io ho già da tempo. La scienza ricerca la loro longevità nel DNA, ma venendo qui si capiscono al volo le ragioni di tanto benessere diffuso. Non ho ancora visto i fumi delle fabbriche, non respirano le polveri sottili, i ritmi sono rallentati, ci si abbandona alla natura ancora incontaminata. E il silenzio.

Ritorniamo a Ploaghe. Abbiamo evitato l'aperitivo, ma questa sera siamo a cena a Sassari, ospiti del cugino di Antonia. Sassari è una bella città molto vivace e piena di macchine ma io preferisco i grandi spazi e i silenzi di Ploaghe. Altra cena inimmaginabile per quantità e varietà di cibo, di vino e di digestivi. Avrà pure un'origine tanta generosità! Ci sarà pure un mito che ha indicato ai Sardi la strada per una civiltà del dono che trova la sua massima espressione nella condivisione del cibo? Se non c'è me lo invento io.

Arriviamo al numero 17 di Ploaghe incapaci d'intendere e di volere. Catia e Elena, tanto per tenersi allenate scrivono un comunicato stampa. Marcello tenta di riconquistare una sua abitudine, almeno una, quella di guardare la TV, ma non ci riesce. Anche questa sera i nostri movimenti sono super coordinati e neanche ci sfioriamo. Non lo so. Ci sono amicizie che nei viaggi sono precipitate in litigi orrendi. In due giornate molto intense, tra di noi non c'è stato neanche un attimo di nervosismo, il tempo è volato tra le battute divertenti di Marcello e Renzo, tra la gentilezza, la sensibilità e il cibo di Antonia e Fabiano e quella certa aria di agio e benessere che circola tra noi cinque e fa fiorire nuovi progetti. Credo sia una questione alchemica: i vuoti dell'assenza vengono riempiti con i pieni del fare. Catia ed Elena, sono, ad esempio, la testimonianza e contemporaneamente il risultato dell'esperienza di quella genia di donne romagnole, le "azdore", che prima in famiglia nella cura delle persone e delle cose e più tardi nella conquista della propria autonomia, con il lavoro "fuori casa", risultano le più grandi lavoratrici del mondo. La mia invece è un'indole pigra, melanconica, contemplativa; ecco quindi la ragione per la quale queste amiche ricreano la mia parte mancante e mi sono indispensabili.

19 novembre
Carichiamo le valigie in macchina ma il viaggio non è terminato. A San Teodoro ci attendono Agostino e sua moglie Margherita. Dopo aver fatto colazione, con lo stesso desiderio di rimanere a contemplare il ritmo lento delle persone e delle cose di questa piazza, ripartiamo. Scendiamo al mare. Sbagliamo traversa, siamo vicinissimi, risaliamo, Agostino ci viene incontro e con lui, Margherita e la loro casa meravigliosa ritorno alla mia passione marina. Ecco la visione del mare che immaginavo all'orizzonte nella veduta della piazza di Ploaghe. In questo momento il meglio - per me - e il meglio - sulla terra - coincidono.

Dall'alto vedo il profilo della costa che abbraccia l'acqua marina e dentro e fuori di me scende l'annichilimento di antiche appartenenze. Me ne vado in quell'altro tempo, dove nell'estremo promontorio dell'anima mi trasformo nell'aria che respiro e seguo le vicende mutevoli delle nuvole e degli altri elementi.
Agostino mi offre un bicchiere di vino e così ritorno. La tavola è imbandita. E anche oggi gli amici sardi rimangono fedeli alla loro vocazione del dono e oltre la bellezza del luogo, ci offrono cibo. La loro casa mi ricorda quella di Marta Lonzi, (una carissima amica e una grande rivoluzionaria anche nel campo dell'architettura), all'Isola d'Elba. Anche qui gli spazi si aprono al mare. Piccoli, grandi spazi ben disegnati dove razionalità e intelligenza sono coniugate ai segni quotidiani di un vivere scandito dalle metamorfosi delle stagioni. Alle pareti e appoggiate sui mobili le opere di Agostino e due quadri di Marcello. Ancora una volta vorrei rimanere, invece spronati da Renzo si parte alla volta dell'aeroporto. Renzo per tutto il viaggio ha tentato di farci rispettare gli orari degli appuntamenti e ora ci conduce all'imbarco n. 14 - quello giusto - ma lo seguo solo io, gli altri si siedono all'imbarco n.13 perché non c'è nessuno.

14 dicembre 2017
Sapevo che non è necessario andare all'inferno per essere colpita dalla scure del contrappasso. Infatti quando, nel viaggio, provavo un benessere diffuso creato dalle amiche e dagli amici e dalla bellezza dei luoghi, s'incuneava la sua un'ombra, subito rimossa. Quest'ombra ha la sua origine nell'educazione cattolica ricevuta e appare quando, mi sto divertendo troppo. Qualche giorno dopo il rientro, una tosse esagerata e un gran raffreddore mi hanno segregata in casa. È quasi un mese che non esco. Ieri sono andata dall'ortopedico per decidere la data dell'intervento e mentre, sul lettino, mi visitava mi è venuto un tremendo "colpo della strega".

Sono fastidiosi ma giustificati, tosse e raffreddore - acciacchi di stagione. L'intervento all'anca, che dovevo fare all'incirca otto anni fa, per la ragazza ribelle che continua testardamente a condividere un corpo solo, il mio, è insopportabile: cercherò di convincerla, ma quello che per tutte e due risulta veramente una iattura è "il colpo della strega".