In questo periodo di profondi mutamenti sociali e consequenzialmente territoriali, dove globali trasformazioni dettano una fase nuova di interpretazione e riflessione, appare molto importante che l’Associazione culturale Aloa, incardinata presso l’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Roma e provincia, abbia voluto offrire un tangibile segno dell’estensione del suo impegno curando una mostra collettiva di Architetti-Artisti iscritti all’Ordine professionale citato che verrà inaugurata il 24 novembre 2017 all’Acquario Romano, sede della Casa dell’Architettura.

La terza edizione dell’esposizione Architetti-Artisti Aloa si inserisce nel più vasto evento Aloa Day, offrendo ancora una volta l’occasione per conoscere e apprezzare la vitalità creativa di ventiquattro autori che nell’Urbe si dedicano con coerenza, capacità e passione ad arricchire il patrimonio culturale della città grazie al loro impegno di architetti professionisti e alla qualità della loro espressione artistica.

Vengono esposte ventiquattro opere realizzate in piena libertà di stile e tecnica, coniugando linguaggi contemporanei e “classici”, mediante infiniti stimoli visivi provenienti dal mondo moderno e in particolare dalla città di Roma, dove gli artisti vivono e lavorano.

La loro ricerca si estrinseca attraverso un lessico mentale che fonda le radici nella coscienza di un lavoro che non vuole possedere esiti esclusivamente narrativi, ma che si prefigge di sviluppare una capacità di riflessione inflessibile, in grado di parlarci del presente ma anche del futuro, spesso con una elevata capacità metaforica di anticipazione che soltanto un Architetto-Artista riesce ad esprimere. Si tratta di una polifonia di immagini, ricavata dall’esperienza e dall’analisi approfondita di un modo personale di vedere e l’essenza delle cose. Quindi, in questa collettiva, senza pregiudizi ideologici e critici ma con un principio di spontanea libertà e originalità espressiva, espongono giovani e meno giovani, artisti già affermati e altri alla ricerca di una giusta considerazione, tutti comunque legati con quel fil rouge che evidenzia l’essenza dell’essere artisti e che contestualmente pone l’accento sul valore aggiunto di essere architetti.

È il pregio di una collettiva come questa, in cui tutti partecipano nel desiderio di mettere in risalto il prodotto di quanto realizzato con l’esercizio della fantasia e della tecnica nel chiuso del loro studio. Le opere esposte sono essenzialmente pittoriche realizzate con molteplici tecniche – a olio, tempera, acquerello, acrilico, vernice industriale, e altro – a cui si alternano oggetti di design e sculture in cemento, legno e argilla, o composizioni che fanno ricorso a tecniche diverse, dalla computer grafica ai collage, dalla fotografia alle applicazioni polimateriche. Ma la pregevolezza tecnica otterrebbe modesti risultati se non fosse supportata e rinvigorita dalle qualità poetiche di chi le manipola, le utilizza e le rielabora con creatività, offrendo uno spettacolo inedito e originale agli occhi e al consenso del pubblico e della critica.

La mostra odierna, pur se nata con spirito promozionale, ha l’ambizione di mostrare con quanta professionalità alcuni architetti si dedichino alle arti visive ben oltre le ragioni del mercato, per il puro desiderio di trovare riscontro in autentiche vocazioni artistiche e con il merito di rinnovare di continuo il lessico della loro espressività. Nell’esposizione, incontriamo autori con differenti inclinazioni artistiche, ma con alcuni interessi comuni, come accade ad esempio nell’attenzione, e non potrebbe essere diversamente, rivolta all’architettura. È il caso di Fabio Barilari con Chicago-Controluce, di Marco Fratianni con Palazzo Isnardi di Caraglio, ma anche di Joollook con The puppet show, memoria della città ideale rinascimentale, o di Leonardo Busiri Vici con la città verticale immaginaria Vertical City, o di Stefano Rogo con architetture disposte in circolo in un paesaggio e una luce irreale in Rotazione e Rivoluzione. Particolare attenzione alla città di Roma la dedica Fabrizio Asselta che pone al centro della sua opera un nero sky-line dei monumenti antichi e più significati dell’Urbe millenaria (Colosseo, Vittoriano, San Pietro, ecc) e Bruno Ursella nella deformata, quasi metafisica veduta di un popolare quartiere periferico, Torpignattara.

Altri artisti sono interessati a un’idea sospesa tra mistero e ironia, tra passato e futuro, tra trasparenze antiche (le Carceri di Piranesi) e memoria infantile, come accade per Andrea Felice con Pionieri dell’infinito; altri raccontano di lievi e vibranti tensioni piene di sensualità come Giovanni Capuano, autore di No me esqueca, e Carlo Carones di Perfetta Sinfonia; altri, come Gian Luca Gentili con Il Jolli, esprimono estroflessioni dinamiche attraverso l’ironia raggelata dei segni, altri riscoprono il lato giocoso ed infantile come Raffaella Santoni nell’opera Interno5. Ancora, commistione tra design e arti visive si ritrova nella sedia pieghevole ispirata alle opere di Piet Mondrian, ubiubi, di Gaetano Callocchia; inquietanti paesaggi acquitrinosi si manifestano in Pentesilea, digital art di Andrea Brunetti; attenta ricerca grafica la evidenzia Cesario Pio Mondelli in La ragazza dai capelli arancioni.

Possiamo notare come altri artisti prediligano invece un versante analitico più o meno onirico, come accade nelle misteriose trasparenze piene di luce e colore di Angelica Fortuzzi, nell’acquerello Abbandono relief, nelle allusioni “monocrome” che elabora Antonio Luigi Stella Richter in Senza Titolo, nello slancio emozionale che ritrova Alessandro Narduzzi in Il bacio, nelle velature stratificate di Alessandra Piseddu in Diana, nell’inquietante manifesto murale strappato di Antonio Agresti, che dimostra di aver approfondito il décollage di Mimmo Rotella, Riquadro allusivo dei dolorosi “strappi” della vita.

Alcuni artisti preferiscono esprimersi attraverso opere tridimensionali: è il caso di Alessio Santucci che nella scultura in argilla dipinta in rame Intagli realizza commistioni di civiltà e culture; di Paola Maddalena che dai blocchi prefabbricati di cemento aerato ricava le sue Sorelle, trasferendo all’osservatore una delicata sospensione pulviscolare, una profondità metaforica; di Giorgia Cocchi che nella scultura in legno e legnocemento dipinto e intagliato Urban2.0 ricerca un’equilibrata e armoniosa giustapposizione di linee, volumi e spazi. In questa categoria possiamo inserire anche la lampada in acciaio Blue steel di Amerigo Lorini, strutturata come architettura dalle forti scansioni percettive.

Al di là delle singole posizioni ideologiche, i 24 Artisti Romani sono capaci di rinnovare giorno dopo giorno la loro ricerca esistenziale attraverso un gioco sublime di invenzioni formali e sostanziali, fino a sovrapporre sulle tele, sulla carta, sul cemento le loro certezze o meglio, i loro dubbi. Il loro “scavo interiore” è antico come la loro tecnica: macera l’anima dell’artista fino a trovare l’armonia desiderata. Il risultato della loro “visione interiore” è tutta in questa mostra, è in una varietà di forme che si omogeneizza in un unico amalgama affrancato dalla sua fisicità, cosicché l’immagine reale viene ricreata sui vari supporti con una serie di valori, rapporti ed armonie propri ma, al tempo stesso, pura espressione di creatività pittorica di un momento indefinito e indefinibile. Se è vero che la rappresentazione delle opere è, prima di tutto, il riflesso dell’interiorità degli artisti, possiamo affermare che quelle dei nostri architetti artisti, in una sorta di onirico percorso immoto e temporalmente sincronico, sono una rievocazione interiore in cui l’immagine reale si sovrappone all’esperienza e ai ricordi.

Tutte le opere in mostra, pubblicate in un raffinato catalogo curato da Emanuela Petrone e editato da “dei Merangoli” di Roma, esprimono la ricerca di quello che c’è oltre ciò che si può toccare, aprendo una finestra al di là del tempo che scorre, oltre la carta che possiamo disegnare, oltre le forme che possiamo assumere, collegando la caducità dell’uomo con l’incorruttibilità di Dio, in un movimento corale in cui l’immagine diventa domanda a cui può rispondere solo lo sguardo dell’osservatore. Questo importante evento è un riconoscimento doveroso ai ventiquattro Maestri, il cui discorso è diventato comprensibile a Roma e in varie parti del mondo, continuando a essere la trama di un tessuto pittorico tra i più lirici e personali che appartengono alla più antica tradizione italiana.