Il concetto di “storia”, finalizzato alla professione di “esperto di quadri”, nella visione zeriana, ebbe come principio base quello di avere una conoscenza minuziosa degli eventi che contrassegnarono il progressivo svilupparsi delle vicende umane nella miriade delle sue sfaccettature e nello studio degli usi, costumi e prodotti dell’arte dei tanti popoli; questi infatti, millennio dopo millennio, si alternarono nel dominio della terra ferma con il consolidarsi delle conquiste: ogni epoca storica nel suo percorso evolutivo, nelle arti figurative in particolare, venne – e continua a essere - fedelmente rispecchiata con i suoi pregi e i suoi difetti [1].

Zeri mi disse che esaminando un quadro d’ambiente, dalla sola foggia degli abiti indossati dai personaggi rappresentati, avrebbe potuto datarli con un margine di errore di un lustro. Già il solo modo di leggere gli avvenimenti offriva al suo attento osservare un’ottica particolare. Gli bastava solo un’allegoria per calarlo nella storia di un popolo: “L’allegoria sta all’arte figurativa come la parabola alle sacre scritture”.

La sua visione della “storia” era onnicomprensiva, dal succedersi delle civiltà e delle nazioni nei singoli continenti alle manifestazioni, pure le più umili, della vita collettiva: anche quella di confezionare il pane è un’arte, diceva. Era edificante ascoltarlo sia negli incontri privati che nelle non frequenti occasioni in cui, in Italia, parlava in pubblico: conferenze o rare “conversazioni” (come amava chiamarle) in occasione di manifestazioni in atenei (pochi), o leggerlo sulla stampa, o ascoltarlo (sempre comprensibile pure ai non addetti ai lavori) negli interventi alla radio o alla tv.

Avviato il discorso con uno spunto, gli avvenimenti venivano presentati subito e con estrema chiarezza e, un periodo dopo l’altro, arricchiti con notizie collaterali, spesso lunghe, e tuttavia mai perdendo di vista il punto di partenza. Un esempio magistrale è rappresentato dalle “conversazioni” presso l’Università Cattolica di Milano [2], nelle quali questa oratoria raggiunse l’espressione massima. Ricordo, a proposito, che quando Zeri nel 1985 rientrò da Milano, al termine del ciclo, mi disse che era rimasto particolarmente soddisfatto della frequenza di pubblico ma, soprattutto, che lo aveva potuto portare a termine senza intoppi: aveva posto, infatti, come impegno all’uditorio, che nessuno avrebbe dovuto registrare le sue parole; se si fosse accorto del contrario, sarebbe rientrato subito a Mentana, senza completare le cinque giornate programmate. E ricordo pure il suo furore quando, dopo alcuni mesi, seppe che invece - puntualmente e fortunatamente! - quelle parole erano state registrate.

L’ira sbollì e il tempo gli fece comprendere la perdita che sarebbe stata per la conoscenza se quella piccola violenza non fosse stata compiuta: quelle lezioni furono raccolte, pubblicate e costituirono evento editoriale mondiale; l’opera fu tradotta nelle più importanti lingue e, buona ultima e in bella edizione, quella in lingua slovena [3].

Successivamente, dal 20 al 24 novembre 1989, tenne altre cinque lezioni presso la stessa Università, per le quali, vista la precedente esperienza, non pose veti; pure queste vennero registrate, ma rimasero inedite. L’argomento dell’intero seminario fu L’arco di Costantino a Roma, ma quello fu solo il tema che, poi, svolse alla sua maniera; in realtà spaziò su ‘Roma antica’, un argomento che gli era molto caro: pure in questo ciclo diede una ennesima prova del funambolismo culturale del quale solo lui conosceva la tecnica. Questo però non ebbe subito un editore, anche se la dott.ssa Anna Cesati, di sua iniziativa, aveva provveduto alla trascrizione. Da tempo avevo rapporto culturale con lei: fu così che all’inizio del 2002, graziosamente, inviò a me l’intero testo, con l’impegno di pubblicare le lezioni, una per ogni anno, negli Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia onlus (in seguito ANSA onlus) da me presieduta [4]: così due furono stampate con il consenso della signora Cesati e del nipote, dott. Eugenio Malgeri [5].

Non so come fosse venuto a conoscenza Nino Criscenti [6] di queste registrazioni, ma fu lui a interessare Skira editore di Milano su quanto stesse accadendo a quell’inedito. Non feci ovviamente difficoltà alcuna a fermare la pubblicazione sugli Annali e a consentire l’edizione in volume [7]: quel monumento alla cultura, anche se dovette aspettare quindici anni, ho ritenuto giusto che avesse avuto una più degna presentazione. Pure le lezioni sull’Arco di Costantino e le varie “divagazioni” riscossero un notevole favore; scrisse infatti Marco Bona Castellotti [8] che al termine di quell’impegno Zeri si fosse reso conto di quel “favore” popolare,

specialmente perché aveva avuto la possibilità di sconfinare verso territori e tematiche che gli erano particolarmente congeniali, come l'archeologia e l'epoca tardoantica, e di puntare su un monumento "crocevia" di problemi così vari da consentirgli di dar libero sfogo alla sua sfaccettata erudizione. Ma Costantino rappresentava anche il simbolo di grandi contraddizioni, tanto sul piano storico quanto su quello culturale, essendo incastonato in un momento di passaggio tra culture fondamentalmente in contrasto fra loro, ponendosi in cima alla cresta sottilissima di una decadenza di Roma antica che ebbe la forza di fermare momentaneamente. Il grande imperatore, fatto santo dalla Chiesa ortodossa, era anche il simbolo del convergere di Occidente e di Oriente, di paganesimo e di cristianesimo; ciò doveva sommamente incuriosire Zeri, per tutto quello che tali eccezionali convergenze portavano con sé.

Altro esempio poco citato dell’approccio che Zeri dava ai messaggi che la ‘storia antica’ tramandava dai monumenti è la “prefazione” alle fotografie di Antonia Mulas eseguite nella basilica di San Pietro a Roma [9]; scrisse il Maestro infatti:
Sarebbe vano cercare in questa serie di tavole una raccolta di immagini […] sulla falsariga della guida turistica o dell’itinerario indispensabile per conoscere, anche sommariamente, l’immenso edificio. Al contrario la trama in questo libro ignora qualsiasi criterio di scelta antologica; […] costituisce invece il resoconto di una visita al Tempio effettuata da un occhio immune da pregiudizi estetizzanti e da schematizzazioni storico-artistiche. Sorretto da una attenta curiosità, vivace e sempre desta, quest'occhio per fissare le proprie impressioni si serve dell'obbiettivo fotografico con estrema disinvoltura, con abilità eccezionale.

Il percorso che la Mulas seguì non fu quello previsto dai maestri della storia dell'arte; l'attenzione non conosce ordine, compiutezza e gerarchie prefissate.

Si potrebbe obiettare, che seguendo l'estro del momento anziché le ragioni della cultura e dei suoi valori accertati e indiscussi, c'è il grosso rischio di incorrere in equivoci, di cedere al sensazionale, di prendere per buoni taluni aspetti più suggestivi. C'è da ribattere che per essere autentica, cioè viva, l'esperienza culturale deve essere vissuta in modo autonomo e personale, secondo ragioni e motivazioni intrinseche che si giustificano in se stesse.

Prendendo lo spunto da un centinaio di fotografie, Zeri ci offrì una panoramica storica originale e disincantata, dall’inizio della Cristianità e sino al pontificato di Pio XII.

Le fotografie appaiono come vollero che apparissero gli architetti e gli scultori, che tennero nel debito conto le luci, le distanze, le prospettive obbligate che condizionavano le loro opere nel contesto dell’architettura; mentre le luci, le dimensioni, le intuizioni pervengono a individuare ed estrarre l’essenza intima di molti degli aspetti e significati (e anche tra i più basilari) della Chiesa Cattolica e della sua ideologia.

Qui Zeri si sarebbe potuto fermare, ma ecco che iniziò la divagazione; lo attrasse l’iscrizione a mosaico che corre lungo l’architrave della navata centrale e ne spiegò significato e messaggi, secondo la sua visione storica:

Il tipo delle lettere capitali romane, la loro spaziatura, il fortissimo risalto del nero sulle tessere musive d'oro, tutto concorda nell'esprimere il portato di un'autorità rigidamente gerarchizzata, una legge consacrata dalla tradizione, una sottomissione dell'individuo alle strutture di una verità ferma e non discutibile. Una scrittura, cioè, di maestà imperiale, che è all'opposto di quanto esprimerebbe l'interpretazione autonoma, individuale dell'esperienza religiosa. Una solennità di dettato, che è quella, inequivocabile, del potere, quel potere che, sempre e ovunque, intrecciandosi con l'ideologia ha prodotto un solo frutto, il dogmatismo [10].

Qui i messaggi monumentali dell’arco di Costantino e l’iscrizione a mosaico (della basilica di San Pietro) che corre lungo l’architrave della navata centrale, e che è fissata nel tratto sovrastante il peduccio con l’Allegoria della intrepidezza si fanno omogenei. Zeri riuscì a sintetizzare il concetto in poche righe:

passaggio dalla fase autoritaria a quella totalitaria con Costantino, Valentiniano III e Teodosio, [e del] Cristianesimo, ormai irriconoscibile rispetto all’epoca delle Catacombe, [con l’acquisizione del] ruolo di infrastruttura religiosa [11].

Continua il 12 Agosto.

Note
[1] Il 18 luglio era il giorno onomastico e il 12 agosto il compleanno del Maestro; mi piace così ricordarlo.
[2] Federico Zeri, Dietro l’immagine, Longanesi &C. ed, Milano 1987: l’opera è stata tradotta in molte lingue, buona ultima in lingua slovena, presentata a Lubiana il 29 novembre 1994.
[3] Id., Za podobo, Pogovori o umetnosti branja umetnosti, Norodna Galerija, Ljubljana 1994.
[4] L’ANSA onlus, nel Consiglio Direttivo del 28 agosto u.s., mi incaricò di esprimere la più viva gratitudine alla dott.ssa Cesati per avere preferito la nostra rivista per far conoscere questo inedito del Professore.
[5] Salvatore G. Vicario, Federico Zeri a Milano, “Annali (2002 e 2003) ” dell’ANSA onlus, pp. 159-168 e 131-138.
[6] Nino Criscenti era stato molto vicino al Maestro: lo rividi in casa Zeri il 4 ottobre 1998, il giorno precedente la sua morte. Quel giorno il Professore lo aveva incontrato a Casali di Mentana, me presente, e aveva concordato per il venerdì successivo la presentazione su Raitre della Dama con l’ermellino, in quel momento esposta al Quirinale e, per i mesi successivi, un ciclo di trasmissioni sul tema Agonia e morte di Roma antica.
[7] L’editore ringraziò Anna Cesati per la preziosa trascrizione delle conferenze e Vera Giulini e Salvatore G. Vicario per l’amicizia e la disponibilità dimostrate.
[8] Nino Criscenti (a cura), Federico Zeri. L’Arco di Costantino, Divagazioni sull’antico, Skira ed., Milano 2004, “Introduzione” di Marco Bona Castellotti, pp. 5-6.
[9] Antonia Mulas, San Pietro, Einaudi ed., Torino 1979.
[10] Ivi, p. XIV.
[11] Qui però mi fermo: entrerei nel tema che tratterò in un articolo ad hoc.