Dopo aver analizzato Twin Peaks 3 rimaniamo in tema di postmoderno con la visione di Okja, il nuovo film di Bong Joon-ho prodotto e trasmesso da Netflix, in concorso a Cannes.

Okja è un maiale come Babe (il Maialino Coraggioso) ma non è una pellicola per bambini. Il tema scottante e scomodo dello sfruttamento degli animali viene affrontato con coraggio dal regista sud coreano sotto una lente d’ingrandimento sufficientemente grande da includere sia i dettagli che i contorni della questione con diversi registri, consentendo a tratti una certa leggerezza nonostante la storia sia dura da digerire. Inoltre, Bong Joon-ho esprime sempre molta stima per le generazioni più giovani e questo è particolarmente evidente nell’inquadratura finale di Snowpiercer, uno dei suoi ultimi film: due dei personaggi della storia in piedi, rimasti soli in un mondo da ricostruire, una giovane donna orientale e un bambino africano: esponenti delle aree geografiche più giovani dal punto di vista sociopolitico dal '900 ad oggi.

Anche in Okja i giovani sono costretti a farsi largo in un mondo inospitale e abitato da individui negativi come il veterinario interpretato da un insolente Jake Gyllenhaal: anche quando è ospite della protagonista Mija e di suo nonno, è incurante di ciò che gli sta intorno e dell’intimità del prossimo in particolare di Okja – il super maiale femmina agognata dalla multinazionale Miranda – la quale si allontana appena vede il veterinario avvicinarsi con la foga di chi ha visto non un essere vivente ma una cavia. Poi ancora la protagonista che viene trattata come una poppante non degna di alcuna attenzione o quando Mundo, ricercatore della multinazionale dice a un giovane autista che per avere l’assicurazione bisogna prima servire fedelmente l’azienda, aspetto tipicamente orientale ma non solo.

La piccola contadinella Mija, la più giovane del film, è succube degli eventi e di tutti quelli che la circondano giovani o vecchi che siano. E secondo suo nonno il suo destino è solo uno: sposarsi. Questa cultura è ancora tipica di alcune realtà del mondo, dove esiste il matrimonio combinato, qui nel film ritratto simbolicamente dal rapporto forzato tra la maiala Okja e il maiale Alfonso.

Sembrano tutti quanti vittime del sistema, dal veterinario alla rappresentante della Miranda che tutto sommato si rendono conto del marcio di ciò che costruiscono ma credono sinceramente che non sia possibile nessun’altra strada e questo li porta a una tale frustrazione da creare in loro desideri sadici e violenti sul più debole. In realtà è tutta una catena dove il forte schiaccia il debole attraverso non solo la violenza ma l’inganno e il potere di persuasione, rendendo così i ruoli non sempre chiari, come ad esempio Nancy, che in realtà coordina le azioni della multinazionale, decidendo sia per il marketing sia per la produzione industriale, schiacciando la sorella Lucy. Oppure il capo dell’ALF – Fronte di Liberazione Animali – che si dimostra umile e pacifista quando in realtà è il perfetto comandante violento sia nel punire il suo soldato perché non ha seguito la tradizione o nel mostrare in pubblico delle immagini che traumatizzerebbero chiunque.

Chiaramente tra questi due leader c’è una differenza di fondo: i valori. Nancy desidera solo guadagnare di più mentre il capo dell’ALF crede fermamente si possa costruire un mondo migliore. Generazioni contro, dove le più giovani vengono schiacciate dalle guardie comandate dai vertici del potere, che non si preoccupano di rovinare giovani vite che tutto sommato non hanno fatto nulla di male se non contestare un sistema che crede solo nel profitto incurante dell’aspetto più importante della vita: il rispetto. Come in tutte le piramidi trofiche troviamo anche la base dove ci siamo noi spettatori che desideriamo ardentemente la nostra carne di super maiale e che nonostante gli scandali e la consapevolezza di ciò che si annida dietro a queste industrie continuiamo a mangiare come appunto dei super maiali.

Due sono le metafore più rilevanti nel film: le scarpe d’oro marcate Shine che ci stanno comunicando “calpestare è un piacere” e il maialino d’oro che indica un concetto fondamentale cioè vivere e amare non sono un diritto ma come tutte le “cose” vanno comprate. Insomma un film denso e pieno, non solo di carne succulenta ma anche di ciò di cui è fatta la vita: amore, riappacificazione e comprensione. Perché nonostante l’esistenza sia costellata di eventi terribili e apparentemente ingiustificabili, nonostante ci siano individui davvero spregevoli senza angoli di luce, c’è sempre la speranza che i giovani possano redimere il mondo e rendere il nostro pianeta un posto migliore.