Era stata prevista per il 26 novembre scorso l'inaugurazione della mostra Bertozzi & Casoni. Minimi avanzi presso la Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, la prima mostra del celebre duo in terra marchigiana. Ma gli eventi sismici che colpirono le Marche e in particolar modo le province di Ascoli Piceno e Macerata, tenendo con il fiato sospeso l'Italia intera ne determinarono inevitabilmente la procrastinazione. A quattro mesi di distanza da quei terribili eventi la mostra è stata inaugurata con lo stesso progetto espositivo curato da Stefano Papetti, Elisa Mori, Giorgia Berardinelli e Silvia Bartolini negli spazi della Pinacoteca Civica, un suggestivo palazzo aristocratico custode di preziosi capolavori come per esempio San Francesco riceve le stigmate di Tiziano, Annunciazione di Guido Reni, Passeggiata amorosa di Pellizza da Volpedo.

Un dialogo originale e inedito è stato così ricreato tra la collezione storica della Pinacoteca e le 24 opere realizzate da Bertozzi & Casoni che per l'occasione hanno creato anche un'installazione inedita di grandi dimensioni pensata proprio per gli spazi del museo. Bertozzi & Casoni. Minimi Avanzi ripercorre alcuni temi cari alla poetica degli artisti come per esempio il cibo (avanzi di banchetti, rifiuti, pattumiere, lattine, ecc.) oltre a fiori, farfalle, animali, giornali e altri elementi della vita quotidiana ingegnosamente assemblati in insolite nature morte realizzate in ceramica policroma, dove la ceramica rappresenta anche un collegamento con il territorio marchigiano che vanta in questo ambito una lunga e importante tradizione. Una società dei consumi e in particolar modo dell'usa e getta è inevitabilmente una società che crea rifiuti, rifiuti di qualsiasi tipo, non solo rifiuti di beni di consumo ma anche rifiuti culturali e artistici, e Bertozzi & Casoni ne sono pienamente consapevoli nelle loro celebri sculture dove sono presenti per esempio le Brillo box tanto care alla Pop Art o le celebri “merda d'artista” di Piero Manzoni.

Con sapiente maestria Bertozzi & Casoni creano sculture costantemente in bilico tra iperrealismo formale e surrealismo compositivo riscattando quegli “avanzi” dal loro caduco destino e innalzandoli a vere e proprie opere d'arte, rigenerando e purificando quel processo di consumo e usura, stimolando l'osservatore, che si avvicina per la bellezza e la precisione della composizione, e a volte invece se ne disgusta per i soggetti rappresentati, a una riflessione più approfondita e di certo non noiosa sui risvolti dei processi in atto nella nostra società come per esempio il consumismo ma anche la riflessione sulla fragilità della condizione umana (l'uso della porcellana) e quell'aspirazione all'eternità, a superare la morte, la fine (l'uso di rifiuti che diventano opere d'arte).

Una mostra bella, interessante, capace di offrire diversi punti di riflessione dove l'alto e il basso, il contemporaneo e lo storicizzato, il finito e l'infinito trovano una comune dimensione e armonia accompagnandoci in un percorso che è anche un cammino catartico e purificatorio. Un recupero della consapevolezza della nostra finitezza e fragilità che ci permette di dire come ne L'uomo di vetro di Vittorino Andreoli: “Sento forte il desiderio di svelare la mia fragilità, di mostrarla a tutti coloro che mi incontrano, che mi vedono, come fosse la mia principale identificazione di uomo, di uomo in questo mondo. Un tempo mi insegnavano a nascondere le debolezze, a non far emergere i difetti, che avrebbero impedito di far risaltare i miei pregi e di farmi stimare. Adesso voglio parlare della mia fragilità, non mascherarla, convinto che sia una forza che aiuta a vivere”.