In pochi saprebbero collocare il Tagikistan sulla mappa del mondo e forse anche loro non sanno che è coperto per il 93% di monti è per più del 50% si trova a un’altitudine superiore ai 3000 metri. Nel sud della repubblica, ai confini con l’Afghanistan si alzano le vette del Pamir, che toccano i 7500 metri d’altezza, mentre nella parte centrale del paese si estendono i monti Gissar. Nell’omonima valle, a un’altitudine di 900 metri, sorge la capitale Dushanbe, da cui partiamo alla scoperta di Safed Dara, la capitale degli sport invernali in Tagikistan.

Poco conosciuta al di fuori dei patri confini, la stazione sciistica compie quest’anno 40 anni. La storia narra che all’inizio degli anni ’70 l’aria pulita di questa valle piacesse particolarmente all’allora segretario del partito comunista tagiko, Gennadiy Zubarev, che dalle autorità di Mosca ottenne l’autorizzazione a costruire un albergo di quattro piani nel villaggio di Takob.

La stazione sciistica aprì nel 1976 e ben presto diventò una delle basi preferite per l’allenamento degli sciatori sovietici in Asia Centrale. Erano tempi in cui in anche loro vincevano e la popolarità dell’ “altro sci”, non quello di fondo, si diffondeva in tutto l’enorme paese. Anno di grazia 1981, mese di marzo: il 5 Valerij Zjuganov vince la discesa libera di Aspen e poi l 14, 25 e 28 dello stesso mese Aleksandr Zhirov fa suoi ben tre giganti e uno slalom di coppa del mondo, prima di perdere la vita in un incidente stradale sulla Volvo 244 che gli regalò lo sponsor per i suoi successi.

Ora, alla dimensione sportiva, Safed Dara affianca anche quella turistica. Nell’inverno 2015 il comprensorio è stato oggetto di un enorme lavoro di ristrutturazione costato circa 15 milioni di dollari e ora il vecchio albergo sovietico è diventato un hotel a 5 stelle con spa, cinema e sale giochi. Oltre alle piste è stata costruita anche una pista di pattinaggio e una piazza che ospita concerti e festival. L’unica cosa che resta da fare, ma ci assicurano che stanno prendendo provvedimenti, resta la strada.

Per raggiungere Safet Dara ci accordiamo con la direzione del comprensorio, che organizza servizi di navetta da e per Dushanbe ogni giorno, al costo di 30 somoni (4 euro a/r). La partenza è alle nove, ma l’autista è in ritardo di mezz’ora. Il tempo giusto per apprezzare l’aria frizzante di Dushanbe (siamo pur sempre a quasi 1000 metri d’altezza) e il caotico movimento della porta d’accesso nord della città all’ora di punta mattutina, anche se non manca chi non si cura né dell’una né dell’altra cosa e beve il thè sdraiato sui tradizionali topchan. Sul minivan insieme a noi viaggiano tre bambini accompagnati dalla mamma e un abitante del villaggio montano sceso in città per affari.

All’uscita della città, lungo il prospekt Rudaki, la via centrale di Dushanbe, mosaici disegnati sui muri raffigurano personalità eminenti della scienza e dalla storia tagika, da mille anni fa ad oggi. Poi, dopo il casello - la strada è a pagamento ed è stata costruita con fondi cinesi – inizia la montagna vera e propria. Attraversiamo villaggi dove il tempo sembra essersi fermato, con bambini che vanno e su e giù sugli asini e salutano come un evento il passaggio di ogni automobile. Anche della sgangherata Zhiguli che ci precede per molti km, ma non perde un colpo nonostante i tornanti che in un’ora e mezza scarsa di viaggio ci portano fino ai 2300 metri di Safed Dara, che in lingua farsì significa proprio “Valle Bianca”. Di solito, ci dicono e non fatichiamo a credergli, il cielo qui è limpido e c’è poco vento, ma molta neve: lo spessore del manto, al 5 gennaio, era di 2,5 metri, roba che sulle Alpi molte stazioni farebbero un patto col diavolo per vederlo.

Alla partenza della cabinovia la coda è poca, è un giorno feriale nonostante sia il periodo di capodanno, e non di soli sciatori. Sono in molte le famiglie e i gruppi di amici che vengono fin quassù per il solo gusto di vedere e fotografare lo stupendo panorama che si apre a 2600 metri d’altezza, dopo 7 minuti di viaggio nelle comode cabine ancora fresche d’inaugurazione. I tagiki le riempiono a modo loro, in una ad esempio viaggia qualcuno di importante con famiglia e amici, che non vuole ospiti sciatori a rovinare le foto ricordo, perciò gli sci ci vengono restituiti mentre con ampi gesti ci viene fatto segno di entrare in quella dopo, dove però è già seduta una coppia di giovani innamorati, quindi ci tocca aspettare l’arrivo di una terza cabina.

In compenso qui, siamo in buona compagnia: insieme a noi salgono Said, Bekruz e Zokir, adolescenti che vivono in uno dei villaggi vicini alla stazione. Sciatori provetti, a vederli con i guanti da neve sgualciti e i pantaloni tipo tuta, di qualche taglia più grande, non sembrano in grado di fare altro che uno spazzaneve, invece appena scesi dalla cabinovia montano subito gli sci e con l’incoscienza della loro età che per ora supera ancora, ma di poco, la tecnica, si lanciano in una discesa da brividi, domando alla perfezione i cambi di pendenza di questa pista, che in 2000 metri di lunghezza ne fa quasi 500 di dislivello.

Per loro la scuola di sci è gratuita e finanziata dalla Federazione Sport Invernali tagika, che ha sede proprio a Safed Dara. Ogni giorno una trentina di giovani dagli 8 ai 16 anni arrivano sui campi dopo aver lasciato i banchi di scuola per affinare la tecnica sotto la guida di Alisher Qudratov, ex sciatore e olimpionico a Vancouver e Sochi. Quando arriviamo a metà pista lo troviamo impegnato con i ragazzi più grandi a “fare qualche palo” di slalom, anche se i pali sono dei rami piantati nella neve, che a giudicare dai solchi scavati alla base danno l’idea di essere lì da sempre.

A valle la pista principale si allarga e diventa nella parte finale una vera e propria autostrada, unendosi al pendio, quasi del tutto in piano, dove scendono i principianti che per ora fanno su e giù con uno skilift, in attesa di ambire alle vette più alte. Il loro stile è rudimentale e quasi nessuno si affida agli istruttori, preferendo la modalità autodidatta, con tutti gli imprevisti del caso, che non tardano a venir fuori. Nella salita successiva infatti dividono con noi la cabinovia tre uomini di mezza età che in tutta tranquillità sciano in jeans e giacca a vento, ma man mano che l’altitudine aumenta, tradiscono una certa inquietudine. “Ma la pista media non c’è?” – si chiedono a turno, senza ottenere la risposta desiderata. Purtroppo no, e appena capiscono di aver sbagliato un po’ la quota e che probabilmente non ritorneranno quassù prima di tanto tempo, iniziano a fotografare il panorama in ogni angolazione. Poi, prima che inizi la discesa, mi fermano, rivolgendosi con il tipico “brat” – fratello – come si usa nelle terre dell’Asia Centrale: “Mi spieghi come si fanno le curve?”

Sembrano convinti della dimostrazione improvvisata, eppure dieci minuti più tardi, dopo esser scesi e risaliti li troviamo ancora allo stesso punto, con gli sci non più ai piedi, ma in mano, in attesa della cabinovia per tornare a valle. Ma non si perdono d’animo, anzi! Sorridono e lanciano una promessa, “appena impariamo a sciare, le curve veniamo a farle in Italia”. Safet Dara si trova nel villaggio di Takob, a 70 km di distanza da Dushanbe. Il costo dello skipass giornaliero è di 100 somoni (circa 12 euro) a cui se ne aggiungono altrettanti per l’affitto di sci e scarponi o snowboard. Il comprensorio è aperto da dicembre a fine aprile.