Possono il libro della storia, quello della natura, il fluire dei popoli e delle cose incontrarsi mirabilmente dando origine a un unicum, fatto di tante diversità, di tante complessità, ma assolutamente identificabile e particolare, dove ogni cosa sembra avere il suo posto pur nel sovrapporsi delle epoche, dei mutamenti anche radicali. La domanda è volutamente retorica se il luogo al quale ci riferiamo è una regione, il Friuli Venezia Giulia, al confine nord est dell’Italia verso un’Europa ormai senza confini (con l’auspicio che resti così in futuro). Si potrebbe obiettare con uno sguardo alle tante realtà del nostro paese che tutte sono fatte di tante storie, di tante origini, di tante radici culturali e così via. Obiezione che certamente ha un fondamento logico. Il confronto però con questa regione lascia inevitabilmente colpiti e ci conferma questa unicità, questo singolare mix che la rende particolare.

Allo stesso tempo, conoscere e approfondire la conoscenza del Friuli Venezia Giulia non è affatto esercizio scontato e richiede grande attenzione, sensibilità, voglia di ascoltare e registrare le mille voci di questa terra. Percorrerne i tanti capitoli come quelli di un grande affresco, di un grande romanzo. Insomma, “una regione da sfogliare”. Come a dire che non si può affrontarne la conoscenza senza seguire il flusso del racconto, passo dopo passo, con qualche ritorno indietro se necessario, ma senza dimenticare alcun passo, neppure quelli più ostici e pesanti. Solo così il gran libro di questa regione si può dipanare davanti ai nostri occhi e restituirci il respiro, i colori, i sapori, i valori e i saperi che in queste terre sono nati, si sono accresciuti e che hanno poi informato di sé tanti angoli del mondo, sempre con discrezione, laboriosità e tenacia. Le stesse qualità che si richiedono a chi vuole conoscere queste contrade e capirle, come ogni vero viaggiatore dovrebbe fare per poi poter affermare con convinzione: ci sono stato e ho capito!

Abbiamo parlato di storia, di natura e di popoli. Il primo approccio è infatti quello di misurarsi con ciò che ha plasmato questa regione e ne ha caratterizzato le diverse aree geografiche in primo luogo, poi seguire i percorsi della storia che qui ha significato quella grande, con la S maiuscola per molteplici e convergenti motivi. Ed ecco allora che le genti, pur simili ma anche molto diverse tra loro, ci appaiono nella giusta luce e si comincia a vedere quel filo comune che le lega tra loro e che le collega a decine di radici lontane e vicine in quel crogiuolo che è sempre stata l’Europa!

Da questa terra e da queste genti è nato cresciuto un modo originale di avvicinare e conoscerne la realtà nelle sue innumerevoli sfaccettature ed originalità. Parliamo di Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori, un modo unico con cui la regione si presenta e vuol essere conosciuta e apprezzata. Un’iniziativa ora maturata e rappresentata dall’omonimo Consorzio. Al suo presidente Walter Filiputti abbiamo voluto porre qualche domanda per conoscere al meglio questa “istituzione”. Filiputti, è una di quelle persone alle quali non piace la ribalta per se stessa, ma semmai legata al proprio lavoro e che predilige soprattutto l’impegno diuturno per portare avanti i progetti che da anni segue per valorizzare e promuovere il Friuli Venezia Giulia, quella regione italiana al confine orientale, lembo del nord est, che abbiamo definito “da sfogliare” come un libro. Un libro non facile, complesso, a volte anche difficile, ma certamente uno scrigno di diversità, tradizioni, antichi costumi, enogastronomia di eccellenza pur nella ricerca della semplicità e del legame con la natura.

Per aiutarci in questo cammino di conoscenza, per avere qualche strumento in più per orientarci, non potevamo che rivolgerci a lui che con Via dei Sapori ha immaginato, promosso e realizzato – con la convinta e generosa collaborazione di operatori e imprenditori – uno strumento rivelatosi efficace. Immaginando le contrade, i paesi, le colline, le prealpi, i monti della regione, come pagine di un libro che si inizia a sfogliare e che pagina dopo pagina, come un avvincente romanzo, ci porta all’interno di un mondo particolare e interessante, frutto del connubio di tante antiche origini storiche, di tanti incontri e confronti che su questa terra aspra e generosa insieme, hanno dato il meglio di sé.

Dunque Filiputti, questo Friuli Venezia Giulia, un mondo per molti versi ancora tutto da scoprire. Come definirebbe la regione e le sue articolazioni ben identificabili e ognuna con le sue particolarità?

L’essere ancora una regione da scoprire non è un limite, ma un pregio, soprattutto sotto il profilo turistico e dei prodotti derivanti dalla terra, dove abbiamo ogni bendiddio. Penso solo alle tante varietà di radicchi o di formaggi. L’elenco potrebbe continuare, ma si trova sul nostro libro I solisti del gusto - ora in ristampa dopo essere stato aggiornato – e sul sito Friuli Via dei Sapori. Una regione che, sotto il profilo culturale e della cucina, è ricca di suggestioni direi uniche e che le derivano dall’essere una dei più antichi melting pot italiani. La regione ha delle aree tra loro molto diverse, eppur complementari: nessuno, di esse potrebbe mancare per dare l’immagine del Friuli Venezia Giulia. Il nostro fascino è la diversità. Cosa unisce, ad esempio, la Carnia (la montagna friulana) a Trieste, capitale dei traffici marinari dell’Impero asburgico? La bellezza dei paesaggi, innanzitutto, e dei centri storici. E poi una minestra - la jota – che accomuna le due culture: la prima nordica e direi celtica, la seconda cosmopolita e dove la cucina parla slavo, ebreo, turco, greco, dalmato, veneziano, friulano, italiano.

Il centro regione con San Daniele e Udine con meravigliosi castelli medioevali e un alto tasso d’innovazione imprenditoriale. Cividale, più bella che mai, che ci apre le porte sulle deliziose Valli del Natisone e del Torre. Il Goriziano, dal cui Collio è partita la rivoluzione italiana nei vini bianchi, senza dimenticare la sua fulgida storia austro ungarica. Il Carso - che si tinge del rosso autunnale del sommaco - territorio di straordinaria intensità. La Bassa Friulana delle acque purissime di risorgiva con la sua campagna ricca e ubertosa che termina sulla laguna e sul mare: Aquileia, Grado, Lignano e che ci regalano una cucina di pesce d’ispirazione veneziana. Ebbene: i nostri venti ristoranti presidiano tutte queste aree e i loro piatti nascono dalla ricerca – dettata dalla filosofia del Consorzio – delle origini, poi riletti con un linguaggio attuale.

Via dei Sapori è certamente un modo, una chiave di volta per entrare in contatto, conoscere e apprezzare questo mondo considerato un po’ ai confini del paese eppure interessante crocevia di cultura e tradizioni? E oggi punto di riferimento enogastronomico in Italia e all’estero?

Certamente. Il nostro racconto, la nostra comunicazione del territorio li facciamo attraverso la cucina, i vini e i prodotti degli artigiani del gusto. Proprio questa narrazione di cultura materiale è stata la nostra prima innovazione: coinvolgere il pubblico. Come? Cucinando in diretta davanti a lui. In un gioco di attese e conversazioni con gli chef. Istruiti ad hoc. Così portiamo virtualmente l’ospite in cucina. Altra scelta: a presidiare le 40 postazioni – tante sono – ci sono sempre e obbligatoriamente i titolari. Massimo rispetto per il cliente, ricambiato con entusiasmo. Un’idea di marketing innovativa nata del 2000 e che è diventata tendenza. Ne siamo fieri. A questo progetto di far conoscere il Friuli Venezia Giulia partecipano ben 60 aziende: accanto ai 20 ristoranti, ci sono 21 vignaioli e 19 artigiani del gusto. Se in Friuli si dice che non si può fare sistema, noi dimostriamo il contrario: si può fare e con successo! Le nostre “cene spettacolo” le portiamo nelle capitali di tutt’ Europa, con risultati di indotto turistico di grande valore.

Ci racconta come è nata l’idea e come, pian piano, sia divenuta vincente e soprattutto come si è evoluta e si evolve ancora, di anno in anno?

È stata un’idea visionaria lanciata da un ristretto gruppo di ristoranti che poi è stata fatta propria da tutto il gruppo: collegare il bene personale - incrementare il proprio lavoro - a quello generale del territorio. Territorio con il quale è necessario un legame serio e reale, perché fonte primaria del valore aggiunto di una località e per il quale si debbono impegnare, in primis, coloro che di quel territorio vivono: ristoranti, vignaioli e artigiani del gusto. Il segreto? Aver creato uno spirito di squadra, trasferendo questo messaggio all’interno di ogni singola azienda. L’evoluzione si sviluppa sotto la spinta di ogni singolo partecipante, ma soprattutto grazie al pubblico col quale siamo strettamente a contatto. È il suo stimolo che tutti noi sentiamo e cerchiamo. È lui il nostro dominus, il nostro primo ispiratore. Quindi l’avere creato un marchio che è sinonimo di altissima qualità, serietà professionale e attaccamento al territorio. Un marchio che ha appeal.

Quali sono i canoni con i quali viene organizzata questa rassegna di sapori e di saperi enogastronomici, legata certamente alle tradizioni ma anche fortemente impegnata nel rinnovamento e nella valorizzazione delle materie prime e dei sistemi di lavorazione?

La base del teorema è trovare l’equilibrio tra la tradizione – l’origine del prodotto, l’etica produttiva, la stagionalità - e la necessaria interpretazione innovativa. Rendere molto personale il piatto, tenendolo allo stesso tempo saldamente agganciato al suo territorio. Abbiamo pubblicato due monografie dedicate una alla brovada e una alla polenta. Il tema dato agli chef era d’innovare queste antiche pietanze sempre uguali a loro stesse. Dare loro nuovi orizzonti. Sono usciti due piccoli capolavori. Poi il ristorante è un crocevia, un punto d’incontro tra chi produce e chi consuma. Il test dei prodotti e dei vini avviene in ristorante, che funge anche da centro di sperimentazione. È questo uno dei nostri segreti: aver unito le varie anime della filiera in un unico progetto.

Secondo Lei, di che cosa ha ancora bisogno, in una prospettiva evolutiva, questa iniziativa. Cosa vorrebbe sviluppare ancora, quali potenzialità ritiene vi possano essere per così dire inesplorate?

Il futuro è portare le nostre aziende, con un modello innovativo, sui mercati. Ci stiamo lavorando. Dare loro sbocco commerciale non solo in Italia, ma anche all’estero, dove c’è tanta “fame” di prodotti italiani. Dalla nostra abbiamo già la maniera di presentarci al pubblico, al consumatore finale e non è cosa da poco. Ora dobbiamo andare sugli operatori economici del settore: agenti, buyer, importatori, distributori. Supportati da eventi che coinvolgono sempre il pubblico. Un lavoro a tenaglia.

Recentemente è stato presentato un suo libro, ultimo di una lunga serie, dedicato al mondo dell’enologia e della viticoltura, dal titolo Storia moderna del vino italiano, una storia di successo cominciata negli anni settanta dello scorso secolo. Quale posto darebbe in questo excursus al Friuli Venezia Giulia, quale l’apporto di questa regione al valore del vino italiano nel mondo?

Al Friuli Venezia Giulia spetta il diritto di sedersi al vertice, assieme alla Toscana, di quello che poi fu definito il “Rinascimento del vino italiano”. Sono state le due regioni, pur con obiettivi diversi – la Toscana sui vini rossi e noi sui bianchi – a incominciare, in maniera indipendente, quella rivoluzione che ha trasformato, nel volgere di pochi decenni, centinaia di migliaia di poveri contadini in imprenditori di successo. Una delle più belle e importanti storie socio-economiche dell’Italia e della quale andare orgogliosi. Andava raccontata nel suo insieme, in maniera ordinata. Il Friuli Venezia Giulia conta per il 2% della produzione italiana. Siamo, pertanto, “condannati” alla qualità, ma restiamo un punto di riferimento della qualità, assieme a regioni molto più “potenti” di noi, come la Toscana e il Piemonte.

Appuntamento dunque alla nuova edizione 2017 di Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori!