Vivo soprattutto di gioie. Svolgo una professione che amo moltissimo, viaggio frequentemente per lavoro e per arricchimento culturale, sento l’importanza del contatto diretto con le forme policrome della natura umana, delle città, dei paesaggi. Viaggio con la curiosità di scoprire "odori e sapori" nuovi, come racconta Pasolini nel suo L’odore dell’India. Viaggio in tutto il mondo: da Beirut a Baghdad, da Tangeri a Sarajevo, da New York a Persepolis. Sono circondata da persone piacevoli, amo moltissimo gli animali, offro con generosità le mie competenze all’organizzazione non-profit Green Island che ho pionieristicamente fondato 15 anni fa. Sono tra le poche italiane a curare un archivio americano di uno dei più importanti fotografi internazionali, Bill Owens (San Francisco); ho una bella famiglia e due nipoti speciali. Ovvio, non mancano momenti di delusione, ma non lascio che nulla di negativo prenda il sopravvento. E quando sono rattristata ascolto musica, cerco paesaggi che curino l’anima (un bosco, uno specchio d’acqua, un prato fiorito). Il mio sogno: attivare un luogo che unisca arte e natura, con alberi da frutta e animali. Non necessariamente una fattoria isolata dal resto del mondo, piuttosto un’officina verde, luogo dell’utopia, del sogno, ma anche del fare e della mobilità delle idee. Una sorta di grande laboratorio "green".

È difficile districarsi tra le sue tante e complesse attività: potrebbe farci scoprire il filo rosso che le unisce e la componente femminile che le caratterizza?

Il primo filo che unisce tutte le attività che svolgo è dato da una profonda passione. Poi lo studio e la ricerca continua, l’attenzione alle urgenze della contemporaneità; infine la capacità di fare rete e attivare collaborazioni durature con realtà pubbliche e private (ad esempio con Museo Alessi; Centostazioni; Consolato Olandese; Università Middlesex di Londra, e tanti altri… ). Visionarietà, creatività nel quotidiano, forza e sopportazione, queste penso che siano le caratteristiche della donna contemporanea in cui mi riconosco e che penso di aver trasfuso nelle mie attività e nella mia vita, così come m’identifico con le donne milanesi, tenaci, colte, emancipate, indipendenti.

E di queste due sue creature, aMAZElab e MAST (Museo d’Arte Sociale e Territoriale), cosa ci può dire?

Quando ho fondato l’organizzazione non-profit aMAZElab, Arte, Cultura, Paesaggio, coi suoi programmi internazionali, interculturali e interdisciplinari, uscivo da un’importante esperienza decennale come curatrice al Museo d’Arte Contemporanea di Modena. In quegli anni (1993-2003) sono stata la prima donna italiana a realizzare un progetto web sulla fotografia contemporanea (Virtual Gallery) per collegare tutti i maggiori musei e archivi di Arte Contemporanea in Italia (da Bolzano a Palermo), presentato alla Biennale di Venezia. Poi, arrivata a Milano, ho sentito la necessità di attivare una struttura culturale nuova, più agile e dinamica, in grado di dialogare con il territorio locale e con quello internazionale, di parlare della contemporaneità e della memoria, di occuparsi dei fatti di grande trasformazione sociale e politica, utilizzando nuove pratiche curatoriali e un importante network internazionale.

Svolge anche un’impegnativa funzione di docente, quali sono i punti fermi della sua didattica?

Da tempo organizzo, o vengo invitata a tenere lezioni, conferenze, seminari in Italia e all’estero. Come docente ho collaborato per anni con l’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano)-Master Curatori, formando decine di giovani curatori. Poi con seminari sul rapporto città-creatività alla Domus Academy-Master Internazionale Urban Visions and Architecture Design. Ho avuto una breve ma intensa esperienza con AUB-American University of Beirut (Libano). Infine sono invitata da anni a Londra, per conferenze alla Middlesex University, dipartimento di Visual Cultures. Sono tutte esperienze molto interessanti, sia per il confronto coi giovani studenti, sia per l’apertura degli argomenti che posso trattare, quali: arte, design, architettura, biodiversità urbana; ma anche sono occasione per parlare di mobilità, confini, spazio pubblico, nuove geografie, culture del Mediterraneo e del vicino Oriente, usando rigorosamente alcune delle migliaia di immagini che conservo nel mio ampio archivio fotografico.

C’è ancora tempo e spazio per trasformare antropologicamente l’uomo, da padrone indifferente della natura, a sua paritaria parte integrante?

È necessario intervenire sul paesaggio locale, prestando grande attenzione alla memoria dei luoghi, ma anche creando situazioni nuove integrate al contesto in cui vengono a dialogare. L’utilizzo di spazi liminali, un’area verde abbandonata o in disuso, rappresenta la necessità di caricare di segni estetici contemporanei superfici neutre o luoghi di passaggio, ad alta densità di significato sociale. È quindi necessario lavorare su una nuova idea di territorio, come ci indica il famoso agronomo francese Gilles Clement: Il Terzo Paesaggio definisce l’insieme degli spazi abbandonati, che sono i principali territori di accoglienza della diversità biologica. Comprende il territorio residuo, sia rurale che urbano, e l’incolto: i cigli delle strade e dei campi, i margini delle aree industriali e le riserve naturali. È lo spazio dell’indecisione e gli esseri viventi che lo compongono agiscono in libertà. Considerare il Terzo Paesaggio una necessità biologica, che condiziona il futuro degli esseri viventi, modifica la lettura del territorio e valorizza luoghi abitualmente trascurati.

Si è molto interessata di problematiche urbane, pensa che ancor oggi la megalopoli abbia un senso, o che sia indispensabile una distribuzione antropica più "leggera"?

Da tempo la città non è più un luogo privilegiato, ma si è trasformata in un osservatorio che si espande nella società, per abbracciare un luogo, un tempo, una rete di relazioni culturali legate alle urgenze del contemporaneo. Progettare in maniera sostenibile, senza sprechi e con la massima attenzione al genius loci, rappresenta la necessità di risemantizzare e caricare di significati nuovi i paesaggi della cultura e del sociale.

Parliamo della Milano di oggi: cosa pensa, ad esempio, dell’Expo e del nuovo “skyline”?

Le città crescono, sono in continua trasformazione, da sempre. Se Parigi non avesse avuto "coraggio", non ci sarebbero opere immense come il Centre Pompidou o la Biblioteque National. Anche Milano cresce, si evolve. Le architetture di Piazza Gae Aulenti sono belle, l’area è molto amata e frequentata dai cittadini. A Milano, però, c’è troppa densità di costruzioni. Sarebbe un sogno se nell’area Expo potesse sorgere un grande parco, sull’esempio di tante città europee. Come a Berlino, per l’area dell’ex-aeroporto Tempelhof: oltre 300 ettari convertiti nel più grande parco cittadino tedesco.

Ha ideato Going Public, progetto sull’arte pubblica e la vita contemporanea: quali interventi di urbanistica e “microurbanistica” consiglierebbe per rendere Milano più bella e vivibile?

Il pluripremiato Going Public è un progetto di arte e cultura a 360°, con attenzione alle grandi tematiche d’attualità, che si è sviluppato in una serie di display espositivi nell’area mediterranea, dibattiti, installazioni urbane, filmati e workshop con la gente della città e con studenti. È una piattaforma mobile e aperta, che si è istituita come una rete di produzione, di riflessione e di scambio inter-culturale. Going Public ha dato vita a veri e propri laboratori territoriali, con la gente della città e con le comunità locali. Anche l’uso diversificato degli spazi pubblici, come l’atrio delle stazioni ferroviarie, le piazze, i cinema, le scuole, è ideato per coinvolgere le realtà più diversificate del territorio. Intendere il cambiamento attraverso un approccio interdisciplinare sicuramente offre una più ampia visione sulla città. Bisogna quindi pensare a progetti strategici con i cittadini, a maggiori sistemi culturali-informativi sul territorio, a programmi strutturali UE, al recupero degli spazi abbandonati o in disuso (tipo scali ferroviari), a meno cemento e più spazi verdi.

Quale grado di sensibilità ecologica riscontra nei cittadini e nelle istituzioni milanesi?

La partecipazione e l’interesse di pubblico e stampa ai temi dell’ecologia e della biodiversità a Milano è alto. Non si tratta più di un tema di "nicchia", bensì di un’urgenza. È sicuramente importante costruire un dialogo con la città, con la gente di tutti i giorni, non soltanto gli addetti ai lavori, ma riuscire a coinvolgere e sensibilizzare giovani, famiglie, bambini, politici, insomma proprio tutti!

Nell’ambito di Green Island, progetto di riflessione sul verde urbano e la sostenibilità, ha lanciato la coraggiosa idea di sperimentare l’apicultura in città, ce la può raccontare? E ha in mente qualche altra mirabile “avventura”?

Green Island. Alveari Urbani è un programma "social e green" che affronta l’urgenza di salvaguardia delle api e la biodiversità urbana. Con questo progetto nasce a Milano il primo Apiario d’Artista al mondo (presso gli Orti di Legambiente in via Padova). Alveari Urbani è un’importante riflessione sul rapporto uomo-ambiente, arte-ecologia. Creativi da tutto il mondo sono stati invitati a ripensare all’arnia per ospitare api urbane. L’area verde che accoglie l’apiario è stata recupera dall’abbandono e riconsegnata alla città, grazie ai nuovi Orti di via Padova e alla semina di un tappeto fiorito per impollinatori e coccinelle. Il programma è svolto insieme alla cittadinanza locale e con enti territoriali. Laboratori, visite guidate, percorsi, sono concepiti come approfondimenti delle opere e come esperienze sociali. La raccolta del primo MIMI (Miele Milano) è prevista per Estate 2016. Da anni mi occupo anche di giardini storici, contemporanei e d’artista. Sogno di poter realizzare e reinterpretare gli antichi giardini di Babilonia.

Quali angoli e ambienti della città consiglierebbe per scoprire una Milano da godere in una dimensione più in sintonia con l’uomo e la natura?

Sicuramente il Giardino Segreto del Terraggio, dietro alla Basilica di Sant’Ambrogio, che ho contribuito con varie iniziative a fare conoscere ai cittadini. Poi il Parco pubblico più storico di Milano in via Palestro; infine i grandi spazi del Parco Nord e del Bosco in Città.