Nato per essere se stesso. Né cubista, né dadaista, né impressionista. E nemmeno realista o avanguardista, anche se, per la verità lui, cuore patriota, avrebbe tanto voluto essere il pittore ufficiale della Francia repubblicana e cinguettare con i maestri della tradizione.

Strano destino quello di Henry Rousseau, il Doganiere, rifiutato e addirittura deriso da quegli ambienti accademici a cui lui si ispirava, e invece accolto dai rivoluzionari del pennello, da Braque a Picasso, da Vlaminick a Brancusi, come colui che aveva finalmente scoperto il ritorno alle origini della pittura. Quelle origini che tutti cercavano, ognuno alla sua maniera, per ritornare alla semplicità delle forme.

Rousseau, per la verità, all'arte primitiva non ci aveva neanche mai pensato: se Gauguin, per scovare quella purezza, era arrivato fino alle isole lontane, lui, invece, non si è mai spostato dall'atelier parigino se non per qualche passeggiata in campagna. Forse, però, la pittura, qualche volta, è più munifica della verità, così come la forza dei sogni è più grande di quella della realtà. Allora poteva succedere - lo ha raccontato lo stesso Doganiere - che quando dipingeva soggetti da far spavento, come le giungle piene di bestie feroci, dovesse precipitarsi ad aprire la finestra dello studio perché lui stesso aveva paura. Insomma per il gentile Henry, autodidatta, senza cultura né educazione, quella rivoluzione che gli altri inseguivano era semplicemente innata. E anche se non capiva perché la cerchia dell' Avanguardia artistica e intellettuale parigina avesse aperto le porte proprio a lui, che si considerava "classico e realista", si era adeguato con orgoglio, sentendosi finalmente inserito nei ranghi ufficiali. Tanto che un giorno confidò a Picasso: "Noi siamo i pittori più grandi di quest'epoca, tu nel genere egiziano, io nel genere moderno".

Diversa l'opinione della critica che per classificare l'inclassificabile e "anarchico" Rousseau, dopo aver deriso a lungo i suoi dipinti, gli ha apposto l'etichetta di "naif", vale a dire infantile e senza alcuna originalità. Etichetta che gli è rimasta sempre addosso, sia pure in senso sempre meno dispregiativo. Ma Rousseau, che certamente fu autore di tanti episodi ingenui nel corso della sua vita, fu davvero un pittore naif? Una grande mostra in corso a Parigi, al Museo d'Orsay, percorre la strada del confronto con predecessori e successori per dimostrare che non è così. Il suo modello stilistico di tipo arcaico viene letto come prosecuzione, cosciente o incosciente, di modelli antichi, affermati, però, in maniera nuova. "Moderna", appunto, come diceva lui, ben più consapevole delle qualità dei suoi dipinti di quanto non lasciasse trasparire il suo leggendario candore.

"Abbiamo stabilito dei ponti tra le opere anteriori e posteriori a quelle del Doganiere", è la chiave di lettura offerta da Claire Bernardi. "È un pittore dei suoi tempi ma osserva anche chi l'ha preceduto", conferma Beatrice Avanzi. Entrambe sono conservatrici al Museo d'Orsay e insieme hanno curato l'esposizione Il Doganiere Rousseau. L'innocenza arcaica in atto fino al 17 luglio nella vecchia stazione ferroviaria lungo la Senna, oggi trasformata in uno dei più grandi musei del mondo. Lanciata lo scorso anno dal Palazzo Ducale di Venezia, il 16 settembre sarà trasferita alla Narodni gallery di Praga dove resterà fino al 15 gennaio 2017.

Dunque Rousseau, fino a 40 anni impiegato nella pubblica amministrazione e pittore della domenica, non è più letto come un isolato sognatore bensì come portatore di un mito, mito che è essenziale alla comprensione della realtà. La sua mancanza di cultura diventa quindi la condizione per uno sguardo vergine sul mondo e l'arcaismo che rappresenta non è che una rinascita, non una regressione. Allora eccolo Paolo Uccello con San Giorgio e il drago vicino a La Guerra e l'armonioso Carpaccio con il suo Uomo dal berretto rosso accanto al Signor X. Così come Eve trova il suo confronto con la Venere di Pafo di Dominique Ingres.

Le affinità sono estetiche e formali, dalla semplicità della composizione alla sospensione dell'azione fino all'inespressività. Tutti tratti caratteristici del cosiddetto '"arcaismo pittorico". E, trasferendoci dal passato al futuro, è sempre il Signor X ad aver regalato gesti e impostazione al Meccanico di Fernand Leger, "nato" 14 anni dopo. Se poi anche Carlo Carrà ne La Carrozza, sentirà l'influenza di quella passeggiata della famiglia di "père Junier" sul carretto trainato dal cavallo, surrealisti come Max Ernst saranno sedotti dalle sue giungle oltre la realtà, oltre il Jardin de Plantes, unica "foresta" che Rousseau conoscesse. Perché il Doganiere, che doganiere, appunto, non è mai stato, bensì soltanto un impiegato del Dazio, i soli confini che abbia mai superato furono quelli dell'immaginazione, dove non esistono regole di prospettiva, né di volumi. La signora dalle lunghe chiome può starsene nuda, comodamente sdraiata sul suo canapé Luigi Filippo, e nello stesso tempo trovarsi in mezzo a bestie feroci, uccelli esotici, gigantesche piante con improbabili fiori mentre il sole tramonta. Le Reve, il sogno appunto, quasi un'oasi di pace lasciata come testamento nel suo ultimo quadro.

Eppure lui già doveva sopportare forti dolori per una gamba in cancrena di cui morirà pochi mesi dopo. Né l'intera sua vita era stata facile. Aveva visto morire due mogli e sei dei suoi sette figli; era stato più volte in carcere per piccole truffe; aveva perennemente lottato contro i debiti, contro la critica che ironizzava, contro i colleghi e contro il pubblico che ridevano, e ridevano forte, di fronte ai suoi quadri. Ma niente di tutto questo traspare nelle sue opere. Apparentemente indifferente, Rousseau è andato avanti per la sua strada senza mai smettere di credere nella sua genialità e lavorando senza sosta per farsi riconoscere dalle istituzioni e dagli altri artisti. Una grande sfida per lui, figlio di un lattoniere di una città di provincia, cresciuto senza cultura, borghese piccolo piccolo e senza soldi, giunto sulla strada dell'arte solo a 40 anni suonati.

Fu allora davvero così naif nella vita, oltre che nella pittura? O la sua ingenuità è invece una leggenda che lui stesso incrementava per ottenere attenzione? In fondo, alla fine ha vinto lui, riuscendo a imporsi, prima alle avanguardie e poi al mondo intero, pur restando sempre se stesso. Dopo aver dipinto il celebre ritratto La Muse inspirant le poète in cui appaiono Guillaume Apollinaire e la sua compagna Marie Laurencin, Rousseau fu sommerso dalle critiche della signora che si lamentava per essere stata immortalata un po' troppo in carne. "Io non sono grassa!", protestò. La risposta del Doganiere, più che naif, appare ironica e intelligente: "Guillaume è un grande poeta, ha bisogno di una grossa Musa". Lei non replicò. Probabilmente neanche capì.

Chi invece aveva capito tutto era Apollinaire, il poeta amico degli artisti, protagonista di una stagione feconda di cambiamenti culturali. Se all'inizio, pur non condividendo l'atteggiamento beffardo di altri colleghi letterati, Apollinaire non era sembrato entusiasta di Rousseau, poi diventerà uno dei suoi principali estimatori fino a scrivere l'iscrizione sulla sua tomba e a considerarlo come uno dei principali innovatori del XIX secolo, insieme a Cezanne e Van Gogh.

Proprio in questi stessi mesi, mentre Rousseau viene celebrato al Museo d'Orsay, dall'altra parte della Senna, nell'ultimo lembo del Jardin du Tuilleires, davanti alla place de la Concorde, il museo dell'Orangerie racconta quindici anni di atmosfera parigina, dal 1902 al 1918, visti attraverso gli occhi di Apollinaire. Oggetti, documentari, lettere, manifesti e soprattutto dipinti dei più grandi artisti, da Picasso a Braque, da Matisse a Dufy e Derain, che lui stesso ha scoperto e contribuito a far emergere rivelandosi un attore centrale della rivoluzione estetica da cui è nata l'arte moderna. Un poeta, Apollinaire, che ha avuto un'influenza determinante sulle arti visive, diventando il fervente avvocato dei più innovatori. "Ho tanto amato le Arti da diventare artigliere", scriverà ironico a un amico dopo essersi arruolato volontario e partito per il fronte nel 1915. Ferito alla testa dalla scheggia di una bomba, morirà due giorni prima dell'armistizio, ucciso dalla febbre spagnola. Apollinaire. Le regard d'un poète, corredata da un catalogo edito da Gallimard, si conclude il 18 luglio.