Poco più di cento anni fa, un fotografo iniziava a girare l’Italia alla ricerca dei monumenti, dei panorami e dei paesaggi all’epoca più rappresentativi, oltre che di scene di vita quotidiana da rubare viaggiando su e giù per la penisola.

Questo volenteroso e appassionato girovago, reporter ante litteram, riprendeva le immagini con la tecnica della stereografia, per regalare all’osservatore una illusione di tridimensionalità. Il suo lavoro, costituito da 1864 lastre di vetro stereoscopiche, è confluito nel fondo denominato Collinet-Guérin, che a sua volta fa parte delle collezioni Jacques Doucet. E come in un gioco di scatole cinesi, è la Biblioteca dell’INHA, l’Istituto Nazionale di Storia dell’Arte, con sede a Parigi, a contenere il tutto, nella sua vasta raccolta che comprende dagherrotipi, calotipi, autocromie, diapositive e stampe.

Le immagini più antiche risalgono al 1850. Alcuni fondi, come appunto il Collinet-Guérin, insieme alle fotografie a colori a firma di Charles Cros e a quelle che riproducono interni di atelier di artisti realizzate da Edmond Bénard, sono disponibili anche nella biblioteca digitale. Così, per chi ha voglia di conoscere la vecchia, dolce Italie così come la vedevano gli occhi di un anonimo fotografo francese sul finire della Belle Époque e sul nascere del secolo breve, basta un computer.

La particolarità degli scatti che compaiono tra un clic e l’altro è quella visione “binoculare” della quale si erano interessati, nell’antichità, Euclide, nel secondo Rinascimento, Leonardo da Vinci, e poi ancora, tra Cinquecento e Seicento, Giovanni Battista della Porta e Jacopo Chimenti da Empoli, che realizzarono i primi esperimenti di disegni stereografici. È solo nell’Ottocento, però, che la stereoscopia trova una certa diffusione. Nel 1832, infatti, sir Charles Wheatstone, inventore e fisico, membro della Royal Society, realizzava i primi esperimenti stereoscopici con coppie di disegni similari in modo da riprodurre immagini leggermente differenti, come quelle percepite dagli occhi umani. Per la visualizzazione di questi primi stereogrammi, lo scienziato utilizzava uno strumento ottico basato su un sistema di specchi e prismi, che conferiva alle immagini la dimensione tridimensionale. Una sorta di trompe l’oeil fotografico, ma meno ingannevole perché restituiva quello che il supporto bidimensionale toglieva, vale a dire la profondità prospettica esistente nella realtà.

Nel 1838 arriva il brevetto. Grazie agli sviluppi della fotografia e all'invenzione della sciadografia, ovvero del negativo fotografico, nonché ai contatti con William Fox Talbot, l’autore di The pencil of nature, primo libro fotografico, nascono gli esperimenti di "stereofotografia". Lo stereoscopio di Wheatstone, piuttosto complesso e ingombrante, sarà presto superato da un nuovo brevetto, il caleidoscopio di sir David Brewster, molto più leggero e maneggevole, e poi, nel 1852, dalla fotocamera binoculare di J.B. Dancer, un ottico di Manchester. Circa cinquant’anni dopo, proprio mentre venivano scattate le prime foto del fondo Collinet-Guérin, lo stereoscopio, insieme alla “lanterna magica”, entrava in declino con l'avvento del cinematografo.