Nacquero a Portaone tre figlie simili a dee
esperte in opere di meravigliosa bellezza
e avean nome Euritemista, Stratonica e Sterope.
Esse divennero seguaci delle Ninfe dalle belle chiome
E appresero su per i monti selvosi le arti delle Muse
che abitavano l’Elicona e il Parnaso… calvan sul mattino la rugiada in cerca di fiori
.
(Esiodo, Catalogo delle donne)

Linceo, che vede lontano, riconobbe un isola coperta di pini
e l’ampia dimora della sovrana Demetra, una nube immensa le fa intorno corona
…un tempo Persefone cogliendo teneri *fiori
con le sue mani
si lasciò sviare dalle sorelle in un ampio grande e sacro bosco
E Plutone aggiogati i cavalli dalle nera criniera fece salire sul carro
la fanciulla e la rapì portandola attraverso l’onda infeconda.
(Argonautiche Orfiche)

Un vento propizio spingeva la nave e ben presto furono in vista
di Antemoessa, l’isola bella dove le melodiose Sirene figlie dell’Acheloo
incantano e uccidono con il loro canto soave chiunque vi approdi
…un tempo servivano la grande figlia di Deo, quando era ancora vergine…

(Apollo Rodio, Le Argonautiche)

Le Argonautiche di Apollonio Rodio sono interamente un poema sirenico, come pure l’Odissea e la stessa Iliade. Sono eccessivamente numerosi i passaggi specificamente sirenici per accennarli tutti. Ne analizzeremo e ripercorreremo solo alcuni.

Ci troviamo nel viaggio di ritorno degli eroi del Vello d’oro. Prima delle Sirene Apollonio canta le gesta della metamorfica e sirenica Teti e ricorda Hera quale dominatrice dei venti. Teti ritorna appena dopo le Sirene insieme alle Nereidi che si trasformano in delfini, compagni delle Sirene nell’arte vasaria greca, e che assomigliano alle Sirene anche nell’obbedire a Hera e nello sprofondare in mare “come gabbiani”. Non sembrano dati casuali ma indici di un contesto sirenico che è più ampio del singolo episodio e accompagna buona parte del viaggio della splendente e chiara Argo. Il verbo usato per dire che viene avvistata la bella isola fiorita delle Sirene è eisderkomai, un rafforzativo di derkomai la cui radice è la stessa di drako. Il verbo va tradotto come “fissare lo sguardo”. Ha ragione Calasso quando parla del serpente/drago quale occhio sempre sveglio e pure quale occhio acqueo, sorgente.

L’enigma di Narciso sembra qui tutto racchiuso. Prima ancora di attraccare gli Argonauti sembrano quindi già sedotti nello sguardo dalle Sirene, come se la nave fosse attratta magneticamente dall’isola sirenica. Il loro “trattenere” il cuore e la mente è già all’opera. La loro isola è il loro occhio che mai dorme. All’isola arrivano con un vento leggero, una brezza propizia che quasi si scioglie in una bonaccia. Le Sirene sono descritte come “ligheiai”, cioè dal suono acuto, stridulo, oppure “eloquenti”, come la Calliope di Esiodo. Non si parla di “canto”, come pure sarà nell’Odissea. Il tema del canto sarà un induzione interpretativa, un completamento ermeneutico che i secoli del racconto tramandato cementeranno deviando però un più equilibrato e libero sguardo sulla loro natura/funzione. Melpo indica il canto quanto la danza e rivela precisamente un senso di celebrazione festiva. Le Sirene di Apollonio Rodio non vengono descritte in modo esplicito uccidere le loro prede ma se ne accenna parlando di “danneggiare” in un azione che resta nel vago e che il termine greco (sino, sinoo, sinomai) descrive come: rovinare, depredare, devastare. Questa sfumatura le assimila alle Arpie e agli altri esseri demonici razziatori come le Empuse e le Lamie. In un passo appena seguente Apollonio è più esplicito ma resta un margine di ambiguità in quanto parla della loro azione quale “distruggere consumando”. Ma si può tradurre anche come: “consumare nella liquefazione/putrefazione”. Sembra quasi un gioco allusivo che questa loro attività tipica sia descritta anche come un “togliere il ritorno dolce come il miele”.

L’accostamento della liquefazione all’evocazione del miele sembra un enigma sirenico. E’ strano che neppure si capisca bene come le Sirene portino i malcapitati alla morte. Deve essere un'azione che attiene al loro mistero e ogni mistero è culto e rito. Anche il termine “togliere” riferito al dolce nostos appare allusivo in quanto aireo può tradursi pure come uccidere e come sedurre. Impedire il ritorno non implica automaticamente far morire. Sembra che la seduzione sirenica inoculi una specie di eutanasia, come se recasse già in se stessa un contagio di morte, un virus che porta i contagiati a lasciarsi morire. Che cosa fanno le Sirene per Apollonio? Stanno in agguato. Il verbo dedokemai significa anche “osservare/vegliare/aspettare”. Le Sirene sembrano non dormire mai, ma vigilare sempre da un alto punto di osservazione sopra il miglior approdo, come predatore fa la posta alla propria preda. Chi sono le loro vittime? Tutti coloro che si avvicinano alla loro isola.

Il testo delle Argonautiche è genialmente allusivo, come sarà l’Odissea, in quanto descrive le vittime delle Sirene come coloro che gettano il peisma, cioè la gomena nei pressi della loro isola. Il termine peisma è fascinosamente ambiguo in quanto significa sì fune, gomena, corda, termini sirenici sia per ipotesi etimologica che per l’archetipo dell’incatenamento, ma significa pure persuasione, da peitho, altro termine sirenico, uno dei nomi delle Sirene e delle Nereidi. In altre parole chi resta “legato” dalle Sirene è chi cala la corda presso il loro luogo. Chi lega la nave all’isola delle Sirene è già a loro “legato”. Retorica e logica, forma e gioco si intrecciano nel labirinto del Mito. Le Sirene sono descritte come esseri in parte uccelli e parte fanciulle. Il loro “attaccare” con la voce anche l’Argo viene evidenziata negativamente da un avverbio: apelegheos, cioè: senza alcun riguardo.

Perché avrebbero dovuto averne? Perché Giasone era protetto di Hera, con cui hanno rapporti? O anche per Orfeo, figlio della medesima madre? Non è Orfeo la sirena di Argo? La nave Argo non è un oracolo infero per la trave profetica che la regge e per il suo nome che indica il colore bianco delle Graie, dei cigni, di Ecate e dei morti? Argo sorella delle Sirene. Ecco la loro colpa ed ecco perché non riescono a vincere ma Orfeo seduce sirenicamente i suoi compagni con un suono che vince in quanto è kraipnon, cioè vivace/veloce/impetuoso. La sua musica sembra dare vigore ai remi e spingere magicamente la nave. Non a caso l’unico che cede e si getta in mare è Bute, l’apicultore e il miele è realtà simbolicamente e ritualmente connessa con Proserpina, con le Sirene dalla voce mielosa e con le ninfe e i loro antri. Le Sirene sono descritte da Apollonio quali compagne della figlia di Demetra. Il termine usato anche qui non è senza sfumature preziose. Proserpina viene evocata quale figlia ifthimos, cioè forte/robusta/coraggiosa, con un termine guerresco e quasi virile; e le Sirene sono qualificate quali fanciulle vergini ma non si usa il termine parthenos ma l’aggettivo “admete”, cioè “non domate”, con un tono quindi molto fisico, carnale, quasi selvaggio e primitivo. Il rapporto fra queste fanciulle e Proserpina viene qualificato come un attività di venerazione utilizzando il termine porsino che significa anche prendersi cura/preparare.

Questa sfumatura sembra porsi quale conferma di un rapporto rituale fra le fanciulle e Proserpina quale “eletta” nel senso di u' attività di preparazione festiva a un rito di passaggio pre-nuziale o nuziale secondo un paradigma di divinizzazione. Le Sirene sembrano loro stesse prigioniere di un rito che sono costrette a perpetuare anche in assenza della loro Proserpina. Dopotutto per la Grecia antica era difficile poter separare canto da danza, voce da musica e coro. Non a caso c’è molta incertezza sulla precisa identità di quale Musa sia loro madre, se l’importante Calliope con la sua tavoletta di cera e il suo stilo, ispiratrice dell’eloquenza regale e madre anche di Orfeo e dei Coribanti, oppure la dionisiaca e tragica Melpomene, armata di coltello o bastone o la danzante e coreuta Tersicore.

Calliope avrebbe un punto in più sulle altre in quanto giudice della contesa fra Afrodite e Proserpina per Adone, il cui nome evoca Adonai quanto l’Ade. Il dramma sacrificale di Adone duplica quello di Proserpina e ci parla del tema sirenico dell’intermedietà/passaggio fra visibile e invisibile, fra eros e thanatos. La giusta domanda non è: cosa cantassero le Sirene, come si chiedeva l’imperatore Tiberio, ma cosa cantasse Orfeo, il loro più prossimo sosia. Certamente Orfeo canta “gli inizi” come la Proserpina di Claudiano che tesse una “tela parlante”, un arazzo, sull’origine degli elementi. Certamente Orfeo canta Teti, presente nelle raffigurazione della veste della Proserpina di Claudiano, nell’episodio della nascita di Helios e Selene. Si tratta di due scene cosmiche, come lo scudo di Achille il cui bordo è Oceano. Orfeo canta all’inizio del viaggio come alle origini dominasse il serpente Ofione e la ninfa danzante Eurinome.

La cosmologia delle Argonautiche è quella pelasgica, ripresa dagli Orfici. Ofione è Oceano ed Eurinome, è Ananke. Il secondo canto di Orfeo è dedicato all’Artemide che protegge le rocce marine, mentre il terzo canto rinvia all’uccisione di Delphine, l’oracolo serpentino e ninfico di origine cretese, da cui Delfi. Colui che cede alle Sirene fra gli argonauti è Bute, non a caso apicoltore come sono descritte simili ad api le donne di Lemno e le compagne di Proserpina in Claudiano, come sono simili ad api e a fiori le celebranti cretesi della Dea, e come si comportano da api in ogni racconto mitico le amiche di Kore in quanto si spargono per i campi fioriti raccogliendo ritualmente determinati fiori. Bute è figlio di Pandione re di Atene e quindi discendente del serpentino e sirenico Erittonio, nato da Gea e dal seme sparso di Efesto e protetto dalla dea/uccello Atena. L’Argo viene aiutata da Teti a superare il passaggio marino cruciale dove fuoco e marosi configgono: Scilla e le Plancte di Efesto.

Non viene detto espressamente ma l’intervento di Teti appare pertinente anche in rapporto alle sirene. Le sue Nereidi infatti fanno da corteo all’Argo quali potenze dei flutti e vengono paragonate ai gabbiani nell’immergersi nelle acque. Questa trasformatività aereo-acquea rappresenta un elemento che condividono con le sirene. Scilla e le ignee Plancte più che “prima” o “dopo” sembrano “attorno” all’isola fiorita delle sirene. Il tema che viene evocato appena prima dell’incontro con le sirene è proprio il tema dell’interruzione del rito notturno di divinizzazione condotto da Teti per il piccolo Achille. Fu rito interrotto anche quello da cui nacquero le sirene? Fuoco e olio erano usati anche dalle sirene in segreti riti di iniziazione? Il passaggio dall’Aiaia di Circe ad Antomoessa è diretto e il dominio su acqua e fuoco proprio di Medea ritorna con Circe dalla cui vendetta nefasta per gelosia di Glauco deriva l’orrida condizione di Scilla.

Il suono del serpente, il muggito di Scilla, la voce acuta delle sirene. Solo allegorie delle tempeste o grida rituali? Un ultimo episodio sirenico compare nelle Argonautiche all’interno dell’episodio del naufragio nella Sirte. Sembra un naufragio presso le sirene. Il paesaggio è contraddittorio e sconvolto, ambiguo e desolato: palude e deserto. Gli eroi vengono presi dall’inspiegabile disperato languore per cui iniziano a rannicchiarsi e a lamentarsi. Diventano come gufi, come “sirene” nel senso traumatico del termine. Su tutto domina uno strano silenzio, una “calma quieta” tipica dell’incontro con le sirene. Nella Sirte di Apollonio sirene del mare e “sirene” bibliche del deserto sembrano sovrapporsi. Gli argonauti sembrano agonizzare “consumandosi”. La loro “crisi sirenica” scoppia improvvisa di fronte allo strano, ibrido e desolato paesaggio in cui sono capitati. Si tratta di un paesaggio “a-cosmico”, fuori dall’ordine degli elementi. Né mare e né terra, alghe e schiuma sopra la sabbia del deserto. E’ il regno di Ananke, il regno delle sirene, crepuscolare e fatidico, pericoloso e tale da mettere a “prova” gli eroi come in un rito. Gli argonauti si accovacciano come la donna del vaso sirenico del Museo di Boston, come in attesa di una rivelazione, di una trasformazione.All’acme di questo momento di “morte simbolica” nel quale gli argonauti vengono paragonati alle ombre e ai cigni compaiono le compagne di Athena tritonia, le ninfe della palude. Compaiono nel mezzogiorno, tempo delle ierofanie e delle sirene omeriche, con le quali condividono la conoscenza del dolore degli eroi.

Le ninfe di Athena presentano quindi i seguenti canoni sirenici:
1) sono tre, sono solitarie e abitano luoghi inabitati;
2) sono ibride nel senso che rivestono interamente pelli di capra;
3) appaiono sopra la testa di Giasone come la sfinge e le sirene nelle raffigurazioni vascolari;
4) esprimono un vaticinio per enigma come la Sfinge e come Delfi;
5) conoscono tutto degli eroi;
6) vengono evocate a testimonio dei fatti le Muse.

L’episodio successivo sembra di rivederle sul lago tritonide. Si tratta delle Esperidi ma vengono descritte come in continuità con le tre divinità della Libia. Queste Esperidi sembrano sirene per questi aspetti:
a) cantano un amabile canto;
b) giacciono vicino al cadavere corrotto e in disfacimento del serpente Ladone e il verbo usato per descrivere la putrefazione di Ladone rinvia a Delfi ed è lo stesso che vedremo fra poco nell’episodio omerico;
c) sono Ninfe delle acque tanto che indicano agli eroi la fonte tritonia;
d) sono metamorfiche trasformandosi in pioppo, olmo e salice, alberi inferi;
e) sono figlie di Oceano e vengono chiamate “ninfe delle solitudini”;
f) Orfeo (lui parla loro e non Giasone) stesso è indeciso sul loro status in quanto le chiama sia divinità sotterranee che divinità celesti;
g) comandano sulla vegetazione e sui fiori.

La postura delle loro mani è la stessa di Circe e delle statue delle sirene: sulla testa, a drammatizzazione di un lamento. Le Argonautiche si concludono con il sogno sirenico del semimarino Eufemo che sogna di abbracciare la zolla donata loro da un Tritone/Nereo descritto con la coda a falce di luna (quella tipica delle sirene) e che questa zolla si bagnasse di latte e si trasformasse in fanciulla con cui si univa, salvo pentirsi perché credeva di unirsi a sua figlia. La zolla/ninfa/sirena poi gli parla annunciandosi figlia di Tritone e di Libia e profetizzando che se la zolla viene gettata in mare si trasformerà in una nuova isola, chiamata Kalliste (come la ninfa di Artemide), isola che accoglierà come nutrice i figli di Eufemo che verranno da Lemno, da Sparta.

Il tema della nuova terra vergine e feconda che emerge dalle acque, immagine egizia, è sirenico non solo in quanto connette alla terra e al vaticinio queste divinità femminili ma pure lo è narrativamente e specificatamente in quanto Acheloo, il padre delle Sirene, secondo il Mito genera una nuova terra dove purifica Alcmeone. E la cosmica intermedietà delle Sirene è salva e compiuta! Se vogliamo poi entrare ancora di più nel profondo delle Sirene, comprendendo come doveva trattarsi di sacerdotesse e iniziatrici, basta leggere con attenzione un passo delle Argonautiche Orfiche nel quale l’episodio del ratto di Persefone viene descritto con la regina portata sulle acque (e non sottoterra) fino a una misteriosa isola verde circondata da nebbie che assomiglia molto sia ai luoghi sirenici del Mito greco che ai quadri di Bocklin sull’Isola dei morti e sull’Isola dei vivi!

Le Sirene quali Muse dell’Ade, quali sacerdotesse di Kore per il lato più nascosto dei culti iniziatici. Ci soccorre anche l’Esiodo del Catalogo delle Donne nel quale accenna alle Sirene quali principesse dell’Etolia, regione selvaggia e occidentale della Grecia, non lontana da Itaca, facendoci pensare alle Sirene quali sacerdotesse prima egizie-cretesi, poi lacedemoni-delfiche, e, infine, respinte sempre più ai margini della nuova Ellade dorica fino all’Etolia e alle ultime Isole vicino ad Oceano: Itaca, Ogigia, Aiaia...