Le immagini dei Giant Sand, band che conosco e ascolto (seppur non così assiduamente) da una trentina d’anni, al Primavera Sound di Barcellona e al Glastonbury Festival dei mesi scorsi mi hanno fatto riflettere sullo stato dell’arte dei concerti in Italia, e in particolare nella mia Toscana.

Vi spiego l’antefatto: a fine maggio sono andato, appunto, ad ascoltare i Giant Sand in un locale di Firenze, il Viper. Il gruppo di Howe Gelb ha pubblicato un album nel 2015, non riscuote di grande risalto sulla stampa specializzata, ma ero convinto che avesse un certo seguito tra gli appassionati. Bene, l’esibizione era in cartello per le 21.30, e alle 20.45, quando sono arrivato, all’interno del Viper eravamo meno di dieci persone. Io non l’ho visto, ma qualcuno mi disse che poco prima del mio arrivo, lo stesso Gelb stava girellando per lo stanzone chiedendo qua e là se a Firenze fosse in voga l’abitudine di presentarsi particolarmente in ritardo. Alle 21.45, quando una versione ridotta dei Giant Sand ha “scaldato” la platea prima dell’inizio del live vero e proprio, la suddetta platea era formata, a voler essere generosi, da un’ottantina di persone.

Torniamo alle immagini dei due festival di punta in Europa, già citati prima. Si vede una marea di gente che applaude e saltella mentre Gelb se la gode accanto ai colleghi, dando vita come sempre al suo sound, che sta un po’ all’incrocio tra il rock, il folk, i mariachi e i film western. In tre decenni il canzoniere è nutrito, e fa invidia alla maggior parte dei gruppetti che negli ultimi anni hanno riempito le piazze estive, e sto parlando di buona musica, senza sconfinare in generi puramente commerciali che, ovviamente, fanno cassa con minore sforzo. Non c’è da stupirsi, per carità, il pop e il rock sono fatti (anche) di mode e di refrain, la fama può durare una vita o sbiadirsi dopo una stagione, ma la domanda è: perché là una folla e qui ottanta anime? Non basta la spiegazione, pur corretta, che il pubblico di Barcellona e del Glastonbury non erano lì solo per ascoltare i Giant Sand, ma per godere di un programma vastissimo. Non basta perché, comunque, se non hai richiamo in quei cartelloni semplicemente non ci finisci.

Non riesco a darmi una risposta senza scadere nella retorica del “qui nessuno ascolta musica” o del “all’estero è sempre meglio”, e vorrei evitare di farlo, anche se sono tentato. Può darsi che quella serata fiorentina patisse di una promozione non perfetta (dubito che sia questa la ragione dell’insuccesso) o che come disse con apprezzabile ironia ed eleganza lo stesso Gelb prima di cominciare quello che fu comunque un bel concerto “magari a Firenze c’erano un sacco di cose da fare”. Non saprei, è difficile spiegare un fiasco del genere. Certamente mi risuona in testa la considerazione che mi sento ripetere ogni tanto, e cioè che “Ormai oggi non c’è più buona musica”. Ahhhh, ecco, i “bei tempi”. Vi dico una cosa: i bei tempi non sono mai esistiti: sentivo le stesse nenie lamentose negli anni Ottanta, per non parlare dei Novanta e dei primi Duemila. La verità è che, in barba alla mostruosa crisi dell’industria discografica, negli ultimi anni sono usciti un mare di dischi di valore (parlo di rock e pop), e, tolti ovviamente i capolavori immortali, solo la benevolenza abituale con cui guardiamo al passato può farci dire che non valgono quelli di “quando eravamo giovani”.

Quelli di oggi sono meno innovativi di quelli del 1967, questo sì, ma non basta a buttarli in discarica. E’ qualcosa di simile a quello che è successo a inizio luglio ai concerto di Bob Dylan, con molta gente scontenta per una scaletta che non ha rispolverato troppi classici degli anni '60 e '70. Possibile che abbiamo sempre un’immagine così nostalgica della musica? Amici coetanei, io lo capisco che per voi Dylan è sempre quello di Hurricane o di Like a Rolling Stone, o di Mr tambourine man, ma il fatto è che, incidentalmente, Bob Dylan non la pensa così, ed è convinto di dover portare in giro le canzoni scritte negli ultimi quindici anni, con qualche saltuario sguardo alla preistoria. La differenza, comprensibile, è che a sentire Dylan a Lucca c’erano seimila persone, solo che molte partivano dalle aspettative sbagliate, come ho spiegato nella mia modesta recensione di quella serata.

Il consiglio non richiesto e dato in assoluta punta di piedi è questo: cerchiamo di recuperare un minimo di curiosità: cominciamo ad ascoltare musica di questo secolo, di questi anni, smettiamola di andare solo ai concertoni da 80 euro a cranio, visto che ci sono tante occasioni di ascoltare buona musica spendendo una frazione di quella cifra. Ma non siete sempre lì a lamentarvi della crisi? Ci sono gioiellini in giro per l’Italia (una menzione speciale la merita il Mojotic di Sestri Levante) e ci sono rassegne che hanno chiuso o rischiano la chiusura per le difficoltà che trovano nel portare pubblico. Provate almeno a frequentare i festival gratuiti: se non vi divertirete vi restituirò personalmente i soldi del biglietto. Uscite di casa qualche volta per sentire un gruppo delle vostre parti che si attacca a un amplificatore e ci prova. Basta che non sia (sempre) una tribute band, altrimenti si torna ancora una volta alla nostalgia canaglia che svuota le sale dei Giant Sand e riempie gli stadi quando c'è il concerto di [omissis].