Tra tutte le piante, quella capace di suscitare più curiosità, attenzione e credenze nel corso della storia dell’uomo è stata la mandragora. Quello che ha incuriosito e affascinato gli uomini di ogni tempo è stato sicuramente il suo aspetto antropomorfo, che del resto viene richiamato anche dal nome stesso della pianta: l’etimologia del termine mandragora avrebbe infatti un’origine tedesca-medievale, da “mann-dragen” “figura di uomo”.

È soprattutto nel bacino del Mediterraneo che questa pianta ha rappresentato un vero e proprio mito, più volte arricchito di aneddoti e vicende dato che, fin da tempi antichissimi, le sono state attribuite virtù terapeutiche, psicoattive, afrodisiache e magiche. Veniva infatti ritenuta efficace contro l’epilessia, in grado di scacciare i demoni, e comunque sempre dotata di una valenza ambigua: infatti, pur essendo capace di guarire il corpo e l’anima, può anche portare la perdizione; può donare un sonno ristoratore, ma può anche provocare la pazzia; è un rimedio contro il morso dei serpenti velenosi, ma può anche uccidere.

Stando alle testimonianze archeologiche, questa pianta era già nota agli Antichi Egizi a partire dal XIV sec. a.C.: sulla tomba di Ramses II viene infatti rappresentata la scena di una raccolta di radici di mandragora, e insieme ad essa ci sono anche la ninfea e il papavero da oppio, anch’esse piante dotate di proprietà psicoattive. Sembra proprio che queste tre piante fossero utilizzate in combinazione per preparare una pozione in grado di indurre stati ipnotici, di trance ed estatici. Nel mondo antico, del resto, si credeva addirittura che il solo odorarla potesse indurre il sonno: Celso consigliava di metterla sotto il cuscino per addormentarsi e altri autori antichi come Apuleio, Luciano e Plinio il Vecchio confermano questo fatto.

Secondo molti studiosi, inoltre, la mandragora sarebbe da identificare con l’erba “moly” di cui parla Omero nel decimo libro dell’Odissea: in questo caso, sarebbe stato il dio Hermes, il “messaggero degli dei”, a donare questa magica erba a Ulisse, affinché grazie ad essa egli si possa proteggere dagli effetti maligni del filtro della maga Circe. Omero così ci descrive la pianta: “la radice era nera, simile al latte, moly la chiamano i numi. Strapparla è difficile per le creature mortali, ma gli dei tutto possono”. La difficoltà di estirpazione della pianta, del resto, è un motivo ricorrente che si presenterà anche nei racconti medievali sulla mandragora: un motivo che ha provocato un timore quasi religioso nei confronti di quest’erba, ma che nello stesso tempo ha permesso che si sviluppassero particolari pratiche magiche per la sua raccolta.

La mandragora è presente anche nell’Antico Testamento, citata in un racconto dalle connotazioni piuttosto “pagane”, in quanto questa pianta viene usata come mezzo di scambio per le sue proprietà afrodisiache e fecondanti. Probabilmente, il fatto che sia stata sempre considerata un potente afrodisiaco dipende dalla forma della radice, che in alcuni esemplari è completa di protuberanze che ricordano i genitali maschili. E non è sicuramente un caso che Afrodite, la dea greca dell’Amore, era anche chiamata con l’appellativo di “Mandragoritis”.

È soprattutto durante il Medioevo che si diffondono molte leggende relative a questa pianta: in particolare, molte fonti riportano quella secondo la quale la mandragora nascerebbe dal seme o dall’urina dei condannati a morte. Il rapporto tra mandragora e morte è presente in altre credenze; quindi, una pianta sia capace di dare la vita, perché afrodisiaca, ma nello tesso tempo anche molto legata con la morte: e proprio questo suo duplice aspetto ha da sempre affascinato gli uomini.

Un’altra leggenda molto diffusa nel periodo medievale sulla mandragora è stata quella relativa alla sua raccolta: si è già visto come estirparla sia sempre stato considerato molto pericoloso, un gesto in grado addirittura di provocare la morte di chi lo compiva. Per questo, il rituale prevedeva di recarsi sul posto della raccolta il venerdì al crepuscolo, con un cane nero affamato. Dopo essersi tappate le orecchie, si facevano tre segni di croce sulla pianta, si scavava attorno e si poneva intorno alla radice una corda, che poi veniva annodata al collo del cane. Poco lontano, si poneva del cibo per l’animale, il quale strattonando staccava la radice che emetteva un grido: così facendo, il cane moriva al posto dell’uomo. Sempre nel Medioevo, era considerata una delle piante più usate dalle streghe: si riteneva infatti che da essa ricavassero una magica bevanda usata per i Sabbat.

La mandragora veniva considerata un vero e proprio essere vivente, avvolta in un panno rosso e posta in una scatola, custodita in un luogo sicuro lontano dalla vista dei più e nutrita periodicamente. Alla morte del possessore, passava in eredità all’ultimogenito dei figli, che poi poneva nella bara il pane e una moneta d’oro. Si teneva in casa come amuleto per garantire una protezione magica, per divinare, per favorire la fortuna e la procreazione. Usanza comune era quella di intagliare la radice in forma di essere umano, dando origine alle cosidette “imaguncula alrunica”, da “alraune”, nome tedesco della mandragora. La stessa Giovanna D’Arco fu accusata di possedere, come talismano magico, una mandragora in forma umana.

Andando avanti nel tempo, questa pianta ha dato il titolo alla famosa commedia di Niccolò Machiavelli scritta nel 1518, e che racconta l’amore tormentato tra Callimaco e Lucrezia. Qui ad essere protagoniste sono proprio le proprietà afrodisiache della pianta: la donna infatti, poiché sterile, assume la mandragora ma siccome poi diventa “velenosa”, si ritiene che l’unico modo per estirpare il maleficio sia quello di farla possedere da un altro uomo, che sarà poi lo stesso Callimaco travestito. Anche in questo caso, quindi, viene evidenziato il duplice aspetto della pianta, capace di dare la vita da una parte, ma anche di causare effetti non proprio positivi, tra cui l’avvelenamento e in casi estremi anche la morte.

La considerazione della mandragora come pianta “magica” per eccellenza durò ancora a lungo: basti pensare che ancora nel 1690 una sola radice di mandragora costava quanto il reddito annuo di un artigiano medio. In tempi moderni, molte credenze e usi della mandragora sono rimasti vivi: per esempio agli inizi del ‘900 era usata in Inghilterra come anestetico e come rimedio omeopatico contro la gotta. In Grecia, almeno fino agli anni ’60, le donne sterili usavano portare parte della pianta appesa al collo per favorire la fecondità.

Insomma, una pianta dai poteri infiniti, ai confini tra la vita e la morte, che non ha mai smesso di affascinare gli uomini. E del resto, cosa sarebbe la storia dell’uomo se non fosse costellata da miti come questo, che stuzzicano la curiosità e ci fanno credere che a volte anche l’impossibile è possibile?