Ex-calciatore professionista, avvocato specializzato in diritto sportivo, legale del sindacato dei calciatori da più di venti anni, componente di vari organi di giustizia sportiva sia nella su deriva naturale che che di altri sport, allenatore, e da un anno anche direttore sportivo, docente in numerosi master organizzati da varie università private. Questo (e parecchio altro), fornisce l’idea del grande impegno di Salvatore Scarfone, atleta naturale ed elemento di punta dell’U.S Catanzaro più bella, in quel periodo in cui la serie B nazionale rappresentava quasi il minimo garantito.

Una parabola completa nel mondo dello sport, a cui si è aggiunto nel 2013 un incarico da parte del Miur, per occuparsi più da vicino dei licei scientifici a indirizzo sportivo, circostanza che ha segnato la chiusura del cerchio tra sport e scuola, binomio inscindibile per poter almeno sperare di poter allevare generazioni migliori. Proprio nelle ultime settimane Scarfone ha avuto il compito di occuparsi della vicenda che ha messo il giocatore straniero Osvaldo in opposizione alla blasonata Inter F.C. per una ruvida vertenza contrattuale. Esperienza professionale di altissimo livello, gestita con professionalità e acume, che rappresenta lo spunto di questa intervista: “Devo dire che da questa situazione – esordisce affabilmente - ho imparato molte cose a partire dalla scarsa consistenza di quello che accade dietro le quinte del grande calcio: teatranti senza arte che si spacciano per attori, impresari di terza classe che si credono magnati.

Che insegnamento hai tratto?

Sostanzialmente che non ci si deve mai fermare alla forma delle cose ma mettere mano alla sostanza e comprendere che possiamo considerarci peggio degli altri solo quando gli altri avranno dimostrato di essere migliori di noi. Dignità e autostima e preparazione rappresentano le chiavi del successo.

Hai avuto una bella carriera, e un grande modello in famiglia, cosa ha rappresentato essere uno sportivo ancora prima di essere calciatore?

Mi sono totalmente identificato in uno stile di vita che per primo ho visto nell’insuperabile etica di mio padre Vittorio, un esempio continuo e straordinario per me e mio fratello. Quei valori inculcati dalla mia adolescenza mi hanno permesso di crescere inseguendo una bella passione, capace di tenermi lontano dai problemi che di solito funestano la vita degli adolescenti. E poi che fortuna nell’assimilare alla svelta il rispetto per gli altri, i principi della meritocrazia, la salvaguardia della salute e il sapore dolceamaro del sacrificio, senza il quale nulla accade. Mio papà è mancato dolorosamente da pochi mesi: è stato un Maestro e lo ha rappresentato non solo per me e mio fratello, ma per tutti i piccoli atleti che hanno solcato le palestre e i palazzetti dove lui in ogni istante della sua vita ha piacevolmente insegnato sport. Non potrò mai dimenticare l’emozione di vedere tutte quelle persone, dai giovani atleti di oggi a tantissimi di altri tempi, che non incontravo da tanto, riuniti accanto a lui nel giorno della sua “ultima corsa”. Noi siamo quello che facciamo e mio padre è stato esempio di onestà, dedizione alla famiglia e al lavoro. Quelli come lui rendono il mondo migliore e ancora con una speranza da giocare. Ma la considerazione è ancora più ampia e profonda.

Alludi allo sport come modello ispiratore di una società ideale?

Una splendida chimera forse, ma potrebbe essere ancora possibile. Intanto sparirebbe il primo cancro sociale che ci devasta da decenni, ovvero la perniciosa corruzione e poi a rappresentarci non sarebbero più i mediocri e i raccomandati, ma soltanto la migliore espressione della società, alla fine anche i cittadini, singolarmente considerati, si troverebbero a contribuire alla crescita sociale secondo le proprie capacità, con l’adeguato riconoscimento comunque mai sotto il limite della dignità. E questo cos’è se non il concetto di squadra imperante nel calcio più bello?

Non per fare i nostalgici a tutto spiano, ma anche il calcio è cambiato, non solo la società in cui viviamo. Quello che hai giocato tu era più comprensibile e anche romantico per certi versi, sei d’accordo?

Certamente. Il calcio che ho vissuto io è stato ed è tutt’oggi, a detta di molti esperti e non solo nostalgici appassionati, il migliore del dopo guerra. I filmati delle cineteche Rai, Mediaset, Sky, che vanno in onda di continuo dimostrano che gli anni 80/90 hanno lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo del nostro paese. E’ stata l’epoca in cui tutti i più grandi campioni del mondo giocavano nel nostro campionato: Maradona, Platini, Zico, Toninho Cerezo e tanti altri che ancora affollano i sogni dei veri tifosi. E’ stata l’epopea di squadre grandissime, passate alla storia per aver rivoluzionato il modo di concepire il calcio come i Beatles o i Rolling Stones hanno fatto per la musica.

Quali sono le prime sensazioni che scorrono nella tua mente?

Tante, dall’odore dell’erba alla sigla dei programmi radio-televisivi Tutto il calcio minuto per minuto o Novantesimo minuto, gli stadi pieni e la corsa delle 18 per vedere sulla Rai un tempo di una partita di serie A, ma anche la stonatura con la presenza delle forze dell’ordine allo stadio e la strage inverosimile dell’Heysel, quando ero poco più che adolescente.

Che dire allora di Paolo Valenti e dei suoi inviati e soprattutto che dire del nostro amato Catanzaro di quegli anni?

Eravamo il Sud, non solo la Calabria. Io ho avuto la fortuna di vivere tutto questo prima da bambino tifoso, poi da protagonista indiretto - chi mai potrà dimenticarsi i quattro anni, tre di serie A ed uno di B - da raccattapalle, con lo scudetto della Juve festeggiato insieme negli spogliatoi e il regalo che mi fece Gentile, del suo paio di calzettoni sudati? Quindi da protagonista diretto come calciatore nelle due promozioni dalla C alla B con G.B. Fabbri prima e Tobia poi, quindi la promozione in serie A con Guerini, e poi lo spareggio per non retrocedere vinto a Lecce con Rambone. Concludendo con il fin troppo breve sogno del Catanzaro ai catanzaresi di Silipo, pregiudizialmente rifiutato dai tifosi fin dalla prima amichevole, mentre ancora oggi io e i miei compagni di allora ci chiediamo il perché, per concludere con l’onore più grande, non me ne vogliano tutti gli altri amici, ovvero di aver potuto giocare al fianco di O’Rey, Massimo Palanca, il sinistro fatato che ha fatto vivere pomeriggi di gloria alla mia città.

Qual è stata la tua partita più bella?

Ce ne sono state tante: da quelle della promozione a quelle contro i campioni della serie A, ma il ricordo più vivido rimane la partita di Coppa Italia contro Mister Trapattoni al suo esordio a San Siro come allenatore dell’Inter con 60 mila spettatori. A me fu concesso l’onore di marcare il panzer tedesco Rummenigge, che non riuscì mai a tirare in porta. E a quella partita assistettero in tribuna anche mia madre e mio padre, quanta emozione a ripensarci ancora adesso.

Nonostante il grande amore, anche per il Catanzaro le cose sono cambiate parecchio, lo segui ancora?

A fasi alterne, anche se rimane la squadra del cuore. Quest’anno molto di più anche perché mio fratello Giorgio è il preparatore atletico e sono contento che di lui si parli bene dal momento che è veramente bravo, preparato e appassionato studio, passione, merito: sono sempre quei valori che ci ha insegnato mio padre. Dopo tutte le vicende alterne di quest’anno ritengo che ci siano le basi solide per poter costruire qualcosa di importante per il prossimo anno. Una squadra che possa soddisfare la passione di una tifoseria che è li da tempo, pronta per essere trascinata fin nel più remoto angolo d’Italia per cantare la passione per i colori giallorossi.