Vale la pena dire di più sulla resa leonardiana dei tre apostoli prediletti: Pietro, Giacomo, Giovanni, sia dal punto di vista della declinazione e interpretazione leopardiana dei modelli iconografici e iconologici allora conosciuti sia dal punto di vista dell’invenzione leonardiana in senso specifico che è sempre una innovazione che va nel senso della spiritualizzazione e dinamicizzazione del racconto pittorico.

Leonardo tiene in considerazione sia i vangeli che le tradizioni devozionali ed ecclesiatiche nel valorizzare i tre apostoli “speciali”. Iniziando ad analizzare i caratteri del Pietro del Cenacolo possiamo isolare sei aspetti identificanti: i colori delle vesti, la posizione, gli attributi, l’atteggiamento, il carattere e le possibili motivazioni della posizione. La questione del valore simbolico dei colori delle vesti è sempre stata paradossalmente dimenticata nello studio del Cenacolo. Eppure il colore delle vesti nell’arte quattrocentesca è aspetto essenziale, ineludibile, sia nell’arte sacra che nella ritrattistica borghese. Non si può indagare in profondità il Cenacolo senza chiederci che significato assumano i colori delle vesti degli apostoli, ciascuno dei quali possiede ed esprime uno specifico carisma spirituale e una parallela identità espressiva unica, intensamente caratterizzante. Esiste infatti una precisa “araldica religiosa” nella pittura sacra consolidata da secolare tradizione già nel Quattrocento.

Nel “suo” Pietro Leonardo conferma le tradizioni iconografiche più diffuse che vedono il principe degli apostoli portare vesti argentee e auree. Il Pietro del Cenacolo infatti è l’unico apostolo a recare l’oro nelle vesti dei suoi colori. L’azzurro corrisponde simbolicamente all’argento, alla luna, mentre l’oro corrisponde al sole, all’oro. Questa duplice ed eloquente complementarietà richiama le due chiavi del Regno che Cristo gli dona nell’episodio di Cesarea di Filippi. Questa suggestiva idea era così radicata nella spiritualità medioevale da trovare conferme anche nel Purgatorio di Dante. Possiamo trovare molti esempi in cui Pietro viene dipinto con vesti dai colori corrispondenti al Pietro del Cenacolo in Mantenga, Perugino, negli altri Cenacoli più importanti del Quattrocento. Il principe degli apostoli viene valorizzato nel dipinto anche dalla sua posizione. Appare vicino a Giovanni, la cui tunica è anch’essa cerulea. Sia Pietro che il fratello Andrea mostrano i capelli bianchi, segno di onorabilità e saggezza. Se poi consideriamo la stretta vicinanza fra Giovanni, Pietro e Giuda, in particolare nei loro volti, possiamo cogliere quanto sia raffinata e profonda la sensibilità interpretativa di Leonardo rispetto al tema narrativo e motivazione del dipinto.

Nel gruppo di Giovanni, Pietro e Guida la terna sembra alludere a un preciso valore morale. Giovanni è il più fedele, più vicino a Gesù, Pietro è, vangelicamente, il traditore pentito, e non a caso appare con il capo a metà strada fra la fedeltà piena di Giovanni e il tradimento totale e ostinato di Giuda, come in una graduazione spirituale di toni e carismi. La vicinanza fra Pietro e Giuda dimostra quindi un'intensa tensione semantica all’interno di un corretto insegnamento cristiano. Pietro viene valorizzato quale principe degli apostoli ma senza dimenticare la sua debolezza di povero peccatore. Resta il netto contrasto espressivo fra i capelli bianchi di Pietro e il nero scuro della chioma di Giuda. Altro dato di precisa contestualizzazione evangelica, creativa ma ortodossa, si trova nel gesto di Pietro: chiedere a Giovanni chi sia il traditore annunciato da Gesù. Pietro non è più reso con la rigidità tipica del neogotico e del suo allegorismo morale ma viene “dinamicizzato” ed è tutto concentrato in un movimento istintivo. E’ uomo d’azione e il suo comportamento corrisponde al suo carattere quale emerge dal vangelo: impulsività, generosità e ruvidezza.

Nel frattempo un Giacomo minore da volto simile a Gesù gli tocca la spalla, come a chiedere a sua volta, in un’apprensiva catena d’amicizia, chi sia il traditore. Leonardo rende molto delicato il gesto della mano di Giacomo minore. Sembra quasi voler calmare l’ardore vendicativo di Pietro, il quale, impugnando nella tavola pasquale un coltello sacrificale manifesta al massima la sua nuova sacerdotalità e drammatizza il senso sacrificale della tavola e del tempo narrativo del Cenacolo. Il gesto di Pietro, mossa da istintiva buona fede e da un moto di amore protettivo verso il suo Maestro unito allo segno per l’immensità dello scandalo di un tradimento così colossale, assume così, in rapporto a Gesù quale Agnello di Dio e verso il suo volontario sacrificio pasquale, un senso drammatico più ampio, comunicandoci un insegnamento elevato: chi mette mano alla violenza è come sacrificasse una seconda volta Gesù.

Se infine ci interroghiamo sulle motivazioni che portano Leonardo a porre Pietro nella posizione zodiacale del Sagittario secondo la lettura di Berdini-Argan, ossiamo che individuarle proprio nell’assonanza fra il carattere igneo del segno zodiacale e il carattere focoso di Pietro, manifestato appunto qui dal gesto del coltello. Oltre a ciò al Sagittario corrisponde il pianeta Giove, principe dei pianeti e segno di giustizia, come Pietro è il principe degli apostoli e il difensore della giustizia evangelica. Ancora una concordanza fra il carisma apostolico e le essenze simboliche del segno zodiacale troviamo nella pietra dello zaffiro, associata al Sagittario, pietra celeste come la veste di Pietro. Non si può non concludere quindi osservando come la spiritualità del Pietro del Cenacolo corrisponda armonicamente al carisma apostolico e al carattere di Pietro quale si ricava dai Vangeli e dalla tradizione della Chiesa, e nel dipinto Leonardo realizza perciò una sapiente sintesi e una notevole condensazione dei principali tratti e attributi del principe degli apostoli, e lo fa come sempre senza abdicare a una massima semplicità, sobrietà e naturalezza.

Come per Pietro così anche per Giacomo maggiore Leonardo caratterizza la figura dell’apostolo in una dimensione di anagogia cristica, cioè lo plasma nella sua tensione dinamica verso il Cristo, in un movimento profondo di relazione al Maestro. Mentre gli altri nove apostoli restano manifestatamene connessi al Cristo solo nel turbamento e nell’agitazione dati dagli effetti del suo annuncio dell’imminente tradimento, Giacomo, come Pietro e Giovanni, partecipa ai sentimenti di Gesù a un livello più intenso e qualitativamente superiore. Pietro si muove verso Cristo con la mente e con il corpo. Giacomo, più radicalmente, si associa allo stato interiore di Gesù, e alla sua dimensione spirituale di quel preciso momento fatidico con il cuore, in tutta la sua sentimentalità ed emotività.

Anche il Giacomo del Cenacolo corrisponde pienamente alle tradizioni devozionali ed ecclesiastiche sul santo apostolo. San Giacomo era venerato nel Medioevo quale protettore dei pellegrini e dei cavalieri. A San Giacomo era associato quindi il carisma della speranza, dell’impeto, del coraggio. Il suo colore tradizionale era il verde del suo mantello ed è l’unico apostolo, insieme a Matteo, che mostra un solo colore nelle sue vesti e non due come per gli altri. Il colore verde anticamente indica la speranza e la pazienza nell’amore, essendo connesso allo smeraldo e Venere. Il suo viso è scosso da un lancinante dolore che trapassa improvvisamente anima e corpo. Le sue braccia si allargano come quelle di Gesù in Croce aprendo il petto. Leonardo raggiunge un equilibrio sommo in ogni componente del dipinto. Qui si apprezza nel confrontare le braccia di Giacomo, esclamazione di dolore mistico, con le opposte mani giunte del fratello Giovanni. Il volto di Giacomo è un volto preciso e corrisponde precisamente a un modello di ritrattistica sacra consolidata che ritroviamo nel dolore delle pie donne sotto la croce e alla deposizione di Cristo e nell’analogo dolore degli angeli che assistono alla Passione.

Questo modello compare con grande forza espressiva anche nei compianti scultorei di fine Quattrocento, i quali diventeranno una vera e propria tradizione popolare importante e diffusa con il fenomeno dei sacri monti in Piemonte e Lombardia. Basti pensare al Compianto di Cristo morto realizzato da Agostino de Fundolis a Milano in Santa Maria presso San Satiro, quindi certamente conosciuto e apprezzato da Leonardo, e lo stupendo e analogo complesso realizzato da Niccolò dell’Arca nella Chiesa di S. Maria della Vita in Bologna, quello che D’Annunzio chiamò efficacemente “l’urlo di pietra”. Ma l’urlo pittorico del San Giacomo di Leonardo sembra ancora più efficace, e ci parla di una visione della pittura in Leonardo veramente universale. Leonardo realizza un urlo pittorico ben più sottile, raffinato e profondo, ineguagliato, nel suo Giacomo alla sinistra di Gesù, come in una versione maschile della canonica celebrazione del dolore per la morte di Cristo da parte della Maddalena.

La pittura sembra in Leonardo assorbire ogni altra arte e scienza, come la teologia per le sette arti liberali ancora secondo le concezioni del tempo. Lo dimostra la dimensione plastica, architettonica e fortemente spaziale propria della pittura del Cenacolo. Lo dimostra l’urlo di Giacomo, che porta la massimo dell’espressività il nuovo canone mistico e popolare della scultura policroma, come evidenziai già nella mia conferenza del 26 maggio 2011. Già al tempo di Leonardo, ancor prima delle esigenze controriformistiche, si andava sviluppando infatti una devozione di sentimento misticheggiante, alla “Savonarola”, che portava a valorizzare le apparizioni mariane, la pietà popolare e una nuova esigenza di vedere dipinte le Chiese (comprese pievi, conventi e abbazie romaniche) superando l’austerità benedettina e cistercense, che si permetteva solo poche metafisiche decorazioni geometriche e giochi duali di policromia. Il tempo di Leonardo è il tempo in cui le abbazie e le pievi si riempiono di affreschi dedicati ai santi, alle loro storie, ai loro attributi agiografici. Il filone mistico viene da Giotto. Leonardo lo coniuga con la potenza del ritratto e l’attenzione al realismo del volto e dei gesti propria dei fiammighi ma sono Giacomo e Giovanni che ci illuminano: è sorprendente ad esempio la similitudine iconografica e iconologica, fra il volto del Giacomo del Cenacolo e gli angeli della Passione di Giotto alla Cappella degli Scrovegni di Padova e quelli sotto e attorno alla croce nella Crocefissione di Simone Martini (1333), oltre alla sua identità con la canonica espressività drammatizzante propria della Maddalena. E’ Giacomo che assomiglia alla Maddalena, non Giovanni che è del tutto mariano. Giacomo partecipa al dolore di Cristo in modo eclatante, profondo, in coerenza con le correnti religiose di fine Quattrocento dove forte era lo sviluppo dell’importanza del sentimento e dell’interiorizzazione della Passione di Cristo.

Giacomo interiorizza l’angoscia di Gesù, l’incarna sensibilmente manifestandola nel suo corpo, nel suo volto. La posizione del suo corpo e il gesto delle braccia si rivela simile a quella cristica “del pellicano” che si trafigge per nutrire con il suo sangue i suoi piccoli. L’immaginario dell’animale simbolico, già in San Tommaso d’Aquino, sintetizzava appunto il sacrificio di Gesù sulla croce. Giacomo guarda verso il basso, verso il petto, e verso Gesù e la sua mano sinistra, la mano del cuore. Posizione sapienziale antichissima quella del capo reclinato verso il petto, di meditazione sacrale, già di Odisseo e di Nemesi, su cui si innesta il nuovo senso cristiano di discesa sapienziale nell’intimo della propria anima. Una discesa qui veicolata e mossa dall’accoglimento da parte dell’apostolo del nuovo immenso dolore di Gesù. Un esempio di perfetta identificazione con il Maestro pur nella fisicità dello sconvolgimento emotivo. La specularità fra Gesù e Giacomo maggiore ci coglie anche nella resa della mano sinistra di Giacomo, simile alla resa della mano destra di Gesù. Giacomo e Giovanni esprimono il conosciuto canone della gestualità del dolore dei discepoli di Cristo nella duplice versione: contenuta e dilaniante, intima e sentimentale, svenevole e gridata, tipica della Maddalena quanto della stessa Madre di Dio.

Questo dimostra quanto sia universale la pittura di Leonardo, di un’universalità non elitaria e snob, come quella di molti suoi studiosi, ma di un'universalità che fa della pittura la maestra delle arti e la sintesi delle scienze accogliendole tutte, scultura e architettura comprese, nella sua visione e nel suo racconto. Una pittura sommamente teologica in quanto sommamente narrativa e massimamente narrativa in quanto teologica. Il valore dell’equilibrio, perseguito da Leonardo anche all’interno di una scena dominata da uno sconvolgimento generale, si coglie nella terna di Tommaso, Giacomo maggiore e Filippo se si confronta l’infiammarsi di Giacomo con la freddezza statica di Tommaso e la lunarità molle di Filippo. A sua volta il movimento di Giacomo trova complementarietà dialettica anche nel gesto dello stesso Filippo, simmetricamente opposto al suo nel far convergere le braccia verso il cuore. Il contegno di Filippo e Tommaso quindi a suo modo valorizza la spiritualità del cuore che viene esaltata nell’atteggiamento di Giacomo. Tommaso raccoglie un senso di unità nel gesto mistico del dito indice alzato, già proprio di Giovanni Battista e di Gesù bambino nella pittura sacra quattrocentesca, anche leonardesca, mentre Filippo ci parla anch’egli di unità e di centralità del cuore con il suo moto simbolico centripeto, opposto a quello di allargamento proprio di Giacomo. Un Pietro che va verso Gesù con il corpo, un Giacomo che si muove anagogicamente invece verso Gesù con l’anima e l’emotività, e un Giovanni che “riceve” Gesù e il suo amaro calice solo spiritualmente, e a mani intrecciate in unità!

Allusa in Giovanni vi è una donna, ma è Maria, associata spiritualmente a Giovanni da Gesù crocefisso (Gv. 19,26.27). La postura e l’espressione del volto di Giovanni, dolcemente triste e con il capo inclinato verso sinistra e gli occhi socchiusi, non solo indica la partecipazione mistica del discepolo al Cuore di Cristo (Gv. 13,25), all’espressione di Gesù, ma pure è mutuata dai modelli iconici e tipologici di Maria con Gesù bambino, di Maria ai piedi della croce e di Maria alla deposizione. Non a caso la contemporanea Pietà di Michelangelo ci mostra una Madonna assai simile nell’espressione spirituale al Giovanni mariano di Leonardo. Nelle icone orientali abbiamo numerosi esempi, analoghi e precedenti, di quella che sarà poi chiamata Madonna della tenerezza o Madonna di Kazan o di Vladimir, già anticipate dalle tipologie bizantine della Madonna Basilissa, Episkepsis, Akouousa, e Nicopoia (San Marco, Venezia). Ma pure ritroviamo la stessa postura meditativa e malinconica di Maria/Giovanni del Cenacolo di Leonardo in numerosissime opere antecedenti fra le quali il Cristo d’Ognissanti di Giotto a Firenze, inizio 1300, l’Ultima cena del Maestro di Bellano in San Barnaba a Villa di Chiavenna, nella Pietà dei Maestri Battistino e Simone, a Sacco di Morbegno, Casa Vaninelli, nella Madonna con bambino di Agnolo Gaddi e nella Madonna dell’umità di Taddeo di Bartolo (Museo Diocesano, Milano) assai in Giovanni Bellini, ad esempio nella Madonna con bambino o Madonna Greca (1470, Brera) e Madonna con bambino su parapetto (Museo di Castelvecchio, Verona), nella stupenda e delicatissima Madonna del libro di Sandro Botticelli (Poldi Pezzoli), nella Madonna con bambino del Polittico di Perugia di Piero della Francesca, nella Madonna con San Giovanni Battista del Verrocchio del 1475, nella “Madonna in trono con bambino” del Perugino. Una Madonna che già partecipa, con anticipazione mistica, al dolore della Croce, come Giovanni nel Cenacolo.

Giovanni e Giacomo, cioè i mistici e simbolici sole e luna ai lati della Croce, allineamento apocalittico ed esclissico, altro topos diffusissimo dell’arte sacra, dall’epoca carolingia al 1600. Anche nelle vesti l’influsso bizantino su Leonardo è evidente: il manto rosso con tunica azzurra è tipico di Maria. Si veda l’icona della Vergine di Tolga fine 1200, Museo Tretjakov, Mosca. Ancora in dipinti quattrocenteschi come la Madonna allattante esposta nella navata sinistra del Duomo di Milano, nella Madonna con bambino di Bernardino de Rossi nella Chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Pancarana (PV) ma già nel 1200 nella Madonna del latte in Santa Maria ad Cryptas in Foppa, opera di Gentile da Rocca di Mezzo. Maria aveva già quindi prima di Leonardo i colori delle vesti analoghe ma invertite rispetto a quelle di Cristo a indicare lo scambio mistico dei cuori e la sua stessa corredentività. Così il Giovanni del Cenacolo, di Leonardo, ma stesso scambio cromatico c’è già nell’ultima cena di Pietro Lorenzetti nella Basilica di Assisi. Giovanni incarna lo status più elevato e sublime della dimensione di movimento anagogico verso Cristo. Se Pietro muoveva verso Gesù per difenderlo e fare vendetta contro il traditore, restando però alieno dallo status dell’animo di Gesù, se Giacomo partecipa intimamente alla Passione spirituale di Cristo ma ancora a un livello assai emozionale di intensa sensibilità umana, con Giovanni l’identificazione del Maestro raggiunge la sfera dello Spirito e dell’intelletto puro. Questo corrisponde al carisma vangelico di Giovanni quale discepolo perfetto, puro, del tutto aperto ad accogliere la Sapienza di Cristo.

Giovanni è l’unico apostolo del Cenacolo ad assimilare in profondità lo stato interiore malinconico e sofferente di Gesù. Lo manifesta con la postura fissa e calma, l’inclinazione del capo, gli occhi socchiusi, e i colori delle vesti identici a quelli di Gesù. Una comunicazione sottile e profondissima scaturisce da Gesù e viene accolta da Giovanni, come per osmosi. Il discepolo prediletto manifesta l’atteggiamento tipico del mistico e del sapiente, fatto di ascolto, meditazione e concentrazione. Il dolore abissale di Gesù si trasmette e riverbera nell’abbandono passivo di Giovanni, apparendo più dolce e mitigato ma senza mutare la sua qualità e tipicità. Giovanni mostra dei capelli acconciati come Gesù e analogamente rossicci del sole tramontante, come rossiccio, ruggine, si mostra il colore del cordolo della tunica, identico a quello della tunica di Gesù. La visione artistica quindi si fa veicolo contemplativo di una dimensione eterna dove i misteri della fede e i fatti della Redenzione restano compresenti, intrecciati e simultanei in un tempo perenne. Nel Giovanni simile a Maria il Cenacolo ci compendia tutta la via cristiana che si fonda sull’imitatio di Gesù e di Maria, oltre a fare memoriale della spiritualità della croce nel rapporto corredentivo che Gesù genera fra Maria, Giovanni e se stesso.

Il Giovanni mariano di Leonardo esalta la gloria della croce che sorregge la narratività del dipinto e la connette all’inizio della storia della Chiesa che vede in Maria il suo modello. Giovanni quale discepolo perfetto in quanto incarna una somiglianza viva con Gesù e con Maria. Non aveva altra strada Leonardo che quella vangelica dell’episodio ultimo della croce se voleva inserire nel Cenacolo un omaggio alla Madre di Dio, anche in considerazione dei committenti domenicani. Ci troviamo infatti all’interno di un convento dedicato a Maria Madre delle grazie. Formalmente infatti l’artista non poteva raffigurare la Vergine perché avrebbe contrastato non solo con il dettato vangelico ma pure con l’uso ebraico dei tempi che vedeva uomini e donne festeggiare separatamente la Pasqua. L’escamotage di Leonardo quindi non è un semplice o bizzarro artificio ma si rivela una creativa e sublime innovazione che penetra in profondità i vangeli riportandoli a unità spirituale in un racconto che riassume attorno all’inizio della Passione tutta la storia della fede. Giovanni appare speculare, anche in senso tecnico, alla figura di Gesù. Come di fronte a uno specchio l’inclinazione del capo di Giovanni riflette, al contrario, quella di Gesù, e così le vesti che, nei colori, sono uguali a quelle del Maestro ma presentano un inversione cromatica speculare: la tunica è azzurra e il manto rosso. Questa caratterizzazione di Giovanni significa lo scambio mistico dei cuori ma rivela pure sensi mariani e cristici più antichi e apocalittici.

Nelle raffigurazioni medioevali più antiche di Gesù e di Maria entrambi presentano il mantello rosso del Cristo dell’Apocalisse, intriso del sangue della Croce (Ap.19,13). Ancora il domenicano trecentesco Enrico Suso fa riferimento al “manto rosso” della Madre di Dio partecipante alla Passione del suo Figlio. Nelle icone bizantine e in alcuni casi di raffigurazione della Madonna in gloria o assunta persiste la presenza del simbolico e mistico manto rosso. E anche nell’iconografia di Gesù risorto (Mantegna e Lotto) talvolta ricompare l’apocalittico mantello color del sangue. Successivamente dal 1200 in poi inizia a svilupparsi la versione più consueta, recepita nel Gesù del Cenacolo. Se Leonardo ha conservato per il discepolo prediletto il manto dell’Apocalisse e della Madonna bizantina significa che ha voluto arricchire il dipinto di enfasi sacrale ampliando la visione spirituale a livello universali, cosmici. Giovanni, come Maria, assimila il sacrificio di Cristo, si imbeve del suo sangue che lo riveste di nuova regale dignità. Lo stesso concetto di rispecchiamento Giovanni/Gesù risulta di per sé religiosamente narrativo.

Il tema dello specchio quale emblema della divina sapienza e immagine di Maria e del discepolo perfetto quale specchio cristico è infatti frequente nel linguaggio mistico. Anche le linee delle sopravesti di Gesù e di Giovanni ci parlano di specularità e sembrano alludere allo squarcio del velo del Tempio nella loro forma a V. Giovanni tiene le mani giunte. Leonardo le ha rese con maestrìa in una grande armonia, perfezione, e delicatezza. Anche questo particolare delle mani giunte non è casuale o insignificante ma esprime un significato sapienziale e sacrale preciso che rinvia all’unità dell’anima con lo Spirito di Dio. Troviamo le mani giunte quale segno invece di lamento doloroso per la crocefissione e la deposizione di Gesù in importanti opere pittoriche sacre dove questa postura di solito viene attribuita alla Madonna o alle pie donne o allo stesso Giovanni. Le mani giunte quindi rappresentano un'ulteriore conferma e manifestazione di quella spiritualità del cuore e della Croce che è centrale nel Cenacolo. Se poi osserviamo sinotticamente le mani di Giovanni con quelle di Gesù e di Giuda apprezziamo come un dialogo implicito fra le stesse. Le mani di Giovanni, emblema del cuore devoto, occupano una posizione mediana fra gli opposti movimenti delle mani di Gesù e di Giuda. Sembrano quasi propiziare un incontro fraterno fra Gesù e Giuda, ancora per pochi attimi possibile, se Giuda avesse aperto il suo cuore a Gesù.