L'arte è la voce della nostra paura della morte. Senza lo spettro della morte, niente potrebbe essere definito arte. (Andros)

Possono la vita e la morte avere senso spogliate dei loro valori simbolici, religiosi e metafisici? La ricerca artistica di Alejandrina Solares tenta di tracciare un percorso interiore per riflettere e dare delle risposte al significato di smarrimento e di transitorietà dell’uomo contemporaneo, spogliato dei suoi valori e dei suoi ideali. “Il mio lavoro nasce dall’impulso che segue a un’urgenza: tutto emerge dalla vita e questa comprende anche la morte, mi interessa indagare la vita e la connessione tra essa e la morte, che percepisco come mistero e minaccia archetipa caratterizzante ogni percorso umano, evento inscindibile e partecipe di ogni nostro respiro”.

Il problema della morte, nella sua accezione filosofica ha lasciato il posto al tema più concreto del ‘morire’, a come affrontarlo e all’atteggiamento dell’uomo innanzi ad esso. Il senso della morte dunque è concepito dall’artista come un tabù, attribuibile alla mutazione culturale, sociale, economica della contemporaneità: la perdita di fiducia da parte dell’uomo di una possibile resurrezione ha svalutato il significato della morte in quanto tale e ha potenziato di conseguenza la paura che l’uomo ha di essa.

Nelle opere di Solares il tema della vita e della morte si traducono in un insieme di gesti, parole, frasi e pensieri che si deformano e creano spazi fisici e mentali, territori che definiscono una costruzione aerea emozionale, attraverso una progressione infinita di composizioni. L'artista consegna allo spettatore un paesaggio vivente composto da un mondo immaginario di isole, continenti, terre e luoghi del pensiero, che emergono come piccoli elementi fantasma creando una cartografia interiore misteriosa ed enigmatica, che rappresenta il valore della vita nella sua totalità. La vita di cui parla Solares, è da intendersi come “bene collettivo in una dimensione spirituale e dell’amore donativo”, in cui le emozioni, i pensieri e le paure vengono restituite attraverso il colore blu che caratterizza tutta la sua produzione.

L’immagine pittorica che ne deriva è frutto di una sovrapposizione di segni calligrafici che divengono espressione di una topografia interiore e dunque invisibile, dove l’artista crea immagini segniche caratterizzate da una serie di canali e reti che danno forma a una mappa, un tessuto mentale che appare allo spettatore come un groviglio. Ciò risulta evidente nella serie di opere dal titolo Balloonhandwritting blue, da considerarsi come la somma di una vasta ricerca autobiografica che si esprime inizialmente nel libro d’artista Ho scritto più volte io morirò del 2006, caratterizzato dall’utilizzo di materiali precari e fragili e dove per la prima volta compare in maniera ripetitiva e ossessiva la frase “I will die”. Attraverso il linguaggio pittorico e scultoreo l’opera vuole indagare il dolore e la precarietà del corpo umano, esplorato attraverso la sofferenza e il tormento in una sfida relazionale, affettiva e gravitazionale con il supporto (come nell’opera Sentinella del 2006-2013), oppure agendo in prima persona con il suo corpo all’interno del supporto pittorico stesso, come in Blu mutation action del 2012, dove l’artista mette in atto una “pittura performativa”, frutto di un trasferimento per contatto tra due superfici. In Balloonhandwritting blue, Solares sperimenta diverse forme di espressione, approfondendo lo studio della tecnica e la capacità di creare una contaminazione incrociata di processi e procedure, utilizzando pigmenti deperibili e avvalendosi del supporto pittorico privo di preparazione.

La tecnica pittorica "balloon - hand - writting" nel titolo svela il suo processo: prendendo spunto dalla tradizionale tecnica della stampa calcografica, l’artista sostituisce il suo corpo al torchio, “appoggiandosi” su di un palloncino gonfio e inchiostrato, la cui superficie è usata come una “lastra improbabile”. In questo modo utilizza il suo corpo (inteso come forma, peso e dinamiche) definendolo “timbro vivente”: “la mia volontà è quella di agire all'interno del supporto fisico del lavoro, come se fosse colpito, impresso. Desidero che la mia presenza fisica divenga parte della realizzazione delle mie opere. Scrivere e disegnare su un palloncino, una superficie improbabile e tondeggiante, mi avvicina a una idea di mondo, quindi è come se ogni volta io stessi creando un mondo o esplorandone uno nuovo. Penso che sia per questo che ho sempre pensato ai miei lavori come a delle topografie interiori. Negli anni ho sviluppato un forte interesse per la cartografia, per le mappe e le carte in generale, con queste opere è come se mi dovessi orientare. Trovo interessante che i miei lavori si rendano visibili e fruibili quando appaiano rovesciati sul supporto, indicando una sorta di impossibilità a definirsi del tutto; si pongono come un enigma, un rebus, un mistero, ma ogni percorso è minacciato, è per questo che c’è sempre una minaccia di morte”.

Tutte le opere Balloonhandwritting blue hanno inoltre caratteristiche comuni e costanti: il colore Blu, il nastro d’imballaggio, la frase “I will die”, il groviglio di segni, la lastra d’alluminio usata come supporto per fissare la tela. La superficie della tela accoglie graffi e segni che tracciano un passaggio e registrano la sua presenza: in questo modo l’artista si ‘impossessa’ del supporto caricandolo della sua energia ed evocando la tecnica dell’epigrafe intesa come memoria di un passaggio, di un atto. Un altro elemento come il nastro marrone da imballaggio, crea una composizione e conferisce un valore di linea spaziale che unisce e divide, dando una continuità tra diversi spazi e creando possibilità di legami tra essi.

La produzione artistica di Alejandrina Solares è incentrata sulla definizione e cura dei dettagli, su scelte operative che hanno reso libero il suo lavoro, che insegnano a percepire gli elementi come parte integrante della sua persona e dove “il corpo non può essere paragonato all’oggetto fisico, ma piuttosto all’opera d’arte”. L’opera mette in luce non solo la coerenza della sua ricerca, ma anche la trasversalità con cui si serve di diversi supporti e tecniche, muovendosi nella dimensione eterna della coscienza, dove il mondo osservato e il mondo interiore non sono in contrasto, anzi appaiono come un unicum simultaneo. L’artista dunque è più che mai “nell’opera”, è un gioco di rapporti tra “interno” ed “esterno” in cui, con la complicità dello spettatore, sperimenta e indaga le sue mappe interiori.

Per maggiori informazioni:
http://wsimag.com/authors/119-alejandrina-solares

Testo di Simona Merra

Simona Merra, nata nel 1981, originaria della Puglia, vive e lavora a Roma. Laureata in Curatela d’arte contemporanea presso l’Università Sapienza di Roma, dal 2010 è co-founder del collettivo Sguardo contemporaneo, gruppo di storici dell’arte impegnati nella curatela espositiva e nell’organizzazione di eventi culturali nel territorio romano, attraverso progetti site e community-specific, in aperto dialogo con il territorio e per un pubblico eterogeneo. Ha concentrato la sua ricerca sugli ultimi decenni dell’arte contemporanea con particolare attenzione alle ultime generazioni, curando mostre di giovani artisti in gallerie e spazi istituzionali come Macro Testaccio - La Pelanda, Roma; Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi (Pg); Fondazione Pastificio Cerere, Roma; Museo di Villa Croce, Genova (Ge).