Che il nostro capolavoro sia un arabesco fittissimo di rimandi semantici lo dimostrano queste numerose concordanze scritturali che è utile schematizzare e si possono articolare in vari gruppi in base al loro riferirsi a Gesù o all’ambientazione narrativa o agli apostoli e che qui di seguito elencheremo senza soluzione di continuità e senza un ordine preciso. Ecco i 25 motivi che fanno del Cenacolo l’opera d’arte più sacra e più mistica al mondo, alla faccia dei paraocchi materialisti che affliggono troppi storici d’arte:

  1. Il volto angosciato di Gesù. Non è un dettaglio arbitrario o scontato, né è particolare che fu mai reso così intensamente e spiritualmente in pittura. Leonardo ci dipinge un Gesù a tavola che appare interiormente già crocefisso e, non a caso, lo dipinge con il volto inclinato, tipica postura del Cristo in croce, alludente già alla trafittura al costato. L’angoscia durante l’Ultima Cena corrisponde a un passo preciso e molto importante del Vangelo di Giovanni (Gv. 13,21, anticipato da: Gv. 12,27), passo nel quale l’evangelista utilizza il verbo greco tarasso che indica come un terremoto nell’anima, un grande sconvolgimento, e che viene usato anche per descrivere lo stato d’animo di Gesù davanti al sepolcro di Lazzaro e durante la veglia del Getsemani. L’Ora del turbamento è l’ora in cui il Padre glorifica il Figlio. Leonardo anticipa l’angoscia del Getsemani, che già veniva citato in altri Cenacoli, come quello di Ognissanti del Ghirlandaio, ma il nostro genio condensa espressivamente tutti i momenti in uno solo: il Gesù del Cenacolo è già il Gesù del Getsemani: la sua anima è già triste fino alla morte (Mc. 14,34). Sembra la stessa angoscia-torpore di Abramo (Gen.15,12) Leonardo sembra farsi ispirare in modo speciale dal Vangelo di Giovanni e, generale, dai Vangeli colti nella purezza del loro testo greco, cosa non impossibile data la presenza attiva presso la corte di Ludovico il Moro di intellettuali bizantini quale Demetrio Calcondila, Giorgio Merula e di grecisti quali Francesco Filelfo, Pier Candido Decembrio e altri. La mano destra di Gesù appare infatti come rallentata, sospesa in un “non tempo” e in un “non luogo”. La mano sinistra invece, la mano del cuore, mostra tutta la nudità chiara del palmo, segno di verità totalmente rivelata e accettata. Mano sacrificale. La mano della vittima quanto la destra è la mano del Salvatore. Le braccia di Gesù appaiono rilasciate, appoggiate in posizione di riposo sulla tavola, discendenti a indicare la grazia e lo Spirito santo donato dal Redentore all’umanità. Braccia e mani che sintetizzano il significato della kenosis del Figlio di Dio. La figura di Gesù è leggermente ma vistosamente sovradimensionata rispetto agli apostoli a indicare la perfezione dell’umanità del Figlio di Dio. Questo aspetto ne rimarca la totale solitudine. Solo Gesù sa cosa sta succedendo. L’agitazione degli apostoli ne esalta il distacco. Ma è un distacco non freddo ma profondamente umano e divino, pieno di amore. Sono infatti gli apostoli a “distaccarsi” allontanandosi dalla concentrazione del Maestro. Mentre tutti gli apostoli sono vicini e quasi intrecciati fra di loro nella posizione e nei gesti, anche fra i quattro gruppi, la figura di Gesù è separata fisicamente da quella di Giacomo e Giovanni. Ma la grandezza di Leonardo si apprezza nella resa spirituale di questa distanza interiore, manifestandola nell’intensità della differenza di contegno fra i volti e i gesti.

  2. L'annuncio del tradimento da parte di Gesù. Si tratta dell’unico dettaglio che tutti giustamente hanno sempre evidenziato, non riflettendo però adeguatamente sul valore mistico del tempo nel Cenacolo. Se Leonardo ha strutturato tutta la scena quale fermo immagine assolutizzando il momento dell’annuncio del tradimento lo ha fatto, ancora una volta, quale modalità narrativa in attuazione di uno dei tratti più di rilievo sempre del Vangelo di Giovanni e della stessa Apocalisse: il tema mistico dell’Ora di Dio, del tempo della manifestazione della gloria di Dio (Gv. 13,31), un momento storico ma che ha effetti eterni e nell’eternità. E siccome non c’è tempo senza spazio non è un caso che l’attenzione focalizzante di Leonardo ci colga sia sul tempo narrativo che nella sua strutturazione calcolatissima dello spazio narrativo. Il tempo del e nel Cenacolo è un tempo apocalittico in quanto riassume tutta la salvezza nello iato fra l’annuncio del mysterium iniquitatis e la sua rivelazione, la sua apocalisse. La morale, altissima, è questa: tutto il male è già vinto e contenuto dentro il più grande mistero di Dio e il tempo di Dio è sempre l’eterno presente dell’Apocalisse che riassume e governa tutti i tempi. Il male può scatenarsi ma resta sempre delimitato dalla Parola di Dio, che è la Prima e l’Ultima. Non solo quindi un “fermo immagine” ma un preciso tempo mistico, connesso alla simbologia del sette e spazialmente strutturato nel dipinto come accenno ai numeri… Il tema dell’"ora" quale apocalisse divina compare non solo in Giovanni anche in Luca (22,14). Il Gesù del Cenacolo è il Gesù che accetta la sua Passione, la manifesta, la inizia, la inaugura solennemente, pur nella semplicità di un'umanità composta, come nella Sindone.

  3. La mano destra di Gesù che va verso un pezzo di pane alla sinistra di chi guarda, ma alla destra per Gesù: movimento di misericordia che sembra concedere ancora perdono e incontro a Giuda proprio nel momento del suo tradimento già deliberato e che rappresenta un grande segno che allude all’Incarnazione e all’Eucarestia. Anche qui si tratta della visualizzazione e del racconto scenico di un passo vangelico preciso, quello di Giovanni che descrive la risposta rivelativa di Gesù il quale sta muovendo la mano destra per prendere il pane, intingerlo e darlo a Giuda (Gv.13,26).

  4. L'intingolo delle vivande. Il Pane immerso nel sugo è il Figlio di Dio che si incarna nei sacramenti e nella storia. Leonardo, con una sensibilità raffinatissima che coniuga sempre una concreta fisicità a un'alta spiritualità, mette in evidenza in più piatti, anche nel piattino vicino al petto di Gesù, il fatto che il cibo (le anguille) abbia un intingolo. Anche questo dettaglio leonardiano sembra una realizzazione in omaggio al Vangelo di Giovanni che ci precisa questo aspetto tramite il puntuale verbo greco bapso (Gv. 13,26) che è lo stesso del termine battezzare e indica infatti l’immersione, l’inzuppare, in questo caso il pane nel liquido del sugo, chiara allusione sacramentale.

  5. Il pane e il vino; sono i protagonisti della tavola, in chiara allusione sacramentale, eucaristica, secondo tutti i racconti vangelici, tranne Giovanni che tuttavia dedica ampie pagine al tema di Gesù quale Eucarestia prima del racconto della Passione e all’interno della predicazione cristica. Ogni apostolo ha vicino a sé un bicchiere di vino e dei pani e la cena non sembra ancora iniziata. L’inizio è tutto mistico e spirituale. Gesù è l’Inizio. Spesso i pani appaiono in corrispondenza delle piegature verticali della tovaglia, a loro volta rappresentanti chiari allusioni alla croce.

  6. Il piatto e il vassoio di Gesù, a lui più prossimi, posti centralmente come in asse, postura misticamente simbolica, con il suo cuore e il suo capo, sono vuoti, al contrario degli altri due grandi vassoi a destra e a sinistra della tavola, e questa anomalia si spiega in senso di un rinvio al tema giovanneo, ancora una volta, di Cristo quale Agnello di Dio, cibo divino, cibo pasquale (Gv. 1,29; 6,35.48 e Mc.14,12).

  7. Gesù è il settimo da destra e da sinistra e sopra di lui ci sono sette lesene; le decorazioni della tovaglia sono sette a destra e sette a sinistra e sette sono le fascette bianche della ghirlanda centrale sopra Gesù, e non otto come in quelle laterali, e infine Gesù con a mano destra (la sua sinistra) separa due gruppi di tre elementi ciascuno: un pane, il vino e un agrume, e il tema mistico della divisione è teme apocalittico e sacrificale biblico, abramico, mosaico e ritorna nella Passione con l’episodio della divisione del pane spezzato e passato da Gesù durante l’Ultima Cena, nelle vesti divise sotto la croce e nel velo del Tempio che si strappa in due alla morte di Cristo: Gesù quale Signore del Sabato (Mc 22,8) e Menorah vivente (Ap. 1,20; 5,6).

  8. La posizione di Gesù rispetto alle sette lesene del soffitto indica un tempo apocalittico preciso e unico, cioè il tempo di manifestazione del potere dell’anticristo che domina per un tempo, due tempi e la metà di un tempo, cioè per la metà di sette: Gesù nel mezzo delle sette lesene del soffitto, appunto (Ap. 11,2.3; 13,5).

  9. Gesù in corrispondenza della porta centrale (quella centrale non è infatti una finestra) rinvia al tema giovanneo del Cristo "Porta delle pecore" (Gv 10,7).

  10. Un'unica ampolla di acqua posta vicino al vino versato, collocata nei pressi della mano destra (per Gesù la sua sinistra, mostrata aperta in segno di accettazione del sacrificio) e non c’è bottiglia di vino per indicare che è Cristo stesso la fonte del vino spirituale: segno del sacrificio cristico sulla croce, secondo il racconto di Giovanni che vede nei segni dell’acqua e del vino che escono dal costato di Cristo i segni vivi e fondanti della divinità di Cristo tanto che la Chiesa nei secoli, seguendo Giovanni, ha sempre considerato questo duplice zampillo l’atto costitutivo di se stessa quale Corpo Mistico del Figlio di Dio (Gv. 19,34.35).

  11. L’espressione sconvolta, addolorata e agitata degli apostoli, corrisponde sia al classico racconto del Vangelo della Passione (Mt.26.22 e Gv. 13,22) che ad alcuni passi vangelici di tipo messianico apocalittico e profetico, quali ad esempio: "Percuoterò il pastore e si disperderanno le pecore del gregge" (Mt. 26,31) e ancora: "Le potenze celesti saranno sconvolte" (Mt.24.29), come all’apertura del sesto sigillo dell’Apocalisse, perché la paura e l’agitazione degli apostoli diventa l’emblema senza tempo dell’angoscia umana di fronte al mistero del male.

  12. Ciascun apostolo ha una pietra sulla tunica. Il tema dell’associazione fra pietre e apostoli è antichissimo e deriva dall’incrocio fra insegnamenti dei Vangeli e tradizioni bibliche ed ebraiche, ed era chiarissimo e conosciutissimo già al tempo di Carlo Magno, come si evince dalla citazione del monaco benedettino spagnolo che ho posto all’inizio di questo saggio. A ogni apostolo corrisponde una pietra e loro sono i fondamenti vivi della Gerusalemme celeste, come ci spiega chiarissimamente l’Apocalisse (Ap. 21,12-14), e in logica analogia con la metafora/metanoia di Simone/pietra/Pietro compiuta da Gesù (Mt.16,17-19). Sulle simbologia della pietra si veda anche: Ap.2,17e 19,12; Mt. 21,42; Is.28,5.16; ICor.10,4. Matteo ha una perla sulla tunica, e nel Vangelo di Matteo il Regno dei cieli è paragonato a una perla (Mt. 13,45), oppure può trattarsi della piccola pietra bianca dell’Apocalisse (Ap.2,17).

  13. Giuda collocato vicino a Gesù: non per fantasiose e inesistenti riabilitazioni, ma proprio per un racconto pittorico che sia fedelissimo al racconto vangelico. Come poteva Gesù passare il boccone intinto a Giuda se fosse stato seduto lontano (Gv.13,26)?

  14. Giuda che tiene le monete del tradimento (Luc. 22,5) nei pressi della mano destra (per lui la sua sinistra, mostrata aperta in segno di accettazione del sacrificio di Gesù): tipica anticipazione leonardiana di ciò che accadrà dopo ma pure enfatizzazione drammatica della tragedia del tradimento di Gesù. Leonardo non fa sconti a Giuda, anzi possiamo dire che sia l’unico personaggio descritto in modo tradizionale nel Cenacolo: brutto, scuro, con una faccia raggrinzita e come accartocciata e a forma di mezzaluna, è l’unica figura per la quale Leonardo non utilizza pigmenti bianchi: non c’è luce in Giuda, solo il male con i suoi segni e le sue allegorie e il sacchetto in mano segue il vangelo anche nella sua precisa indicazione del ruolo di cassiere svolto da Giuda (Gv. 12,6; 13,29).

  15. Giuda già posseduto dal diavolo: è un dettaglio che ci riporta solo Giovanni (Gv.13,2 e 13,27) e Leonardo lo segue dipingendolo infatti quale unico apostolo senza la pietra sulla tunica.

  16. Giuda che rovescia il sale: il sale è segno di sacrificio ed elemento considerato sacro e apprezzato molto nella predicazione di Gesù. Rovesciare il sale in un contesto sacro ebraico-cristiano può significare solo due cose, fra di loro complementari e opposte: Giuda sacrifica Gesù, salandolo come una vittima animale israelitica (Levitico: 1,13); Giuda rifiuta Gesù, lo disprezza, e Gesù è il sale della vita (Mt. 5,13 e Mc.9,49.50).

  17. Giovanni vicino a Gesù; in quanto Giovanni è il prediletto, il più amato (Gv.13,21.23.25), con il capo reclinato, come Gesù, in una creativa, ma fedelissima nello spirito, interpretazione del termine greco del Vangelo: anakeimenos (adagiato) in Giovanni 13,23.

  18. Giovanni con i tratti femminili, tema iconografico diffusissimo e costante nell’arte sacra in quanto Giovanni è il discepolo più mariano e misticamente connesso a Maria secondo il Vangelo (Gv.19,26.27) e le tradizioni religiose popolari (la casa di Efeso). Siccome le donne non potevano partecipare ai banchetti pasquali e Leonardo non può quindi raffigurare la Madonna nel Cenacolo, la omaggia tramite la resa delicata e femminile di Giovanni, anche in considerazione che il convento dentro il quale viene dipinto il Cenacolo è dedicato a Maria, Madre delle Grazie. Anche la postura di Giovanni, cristica e mariana, richiama le icone bizantine e le principali rese pittoriche della Madre di Dio: da Giotto a Bellini (es: si veda la struggente Madonna greca): con il capo dolcemente e malinconicamente reclinato verso la sinistra di chi guarda, secondo il tema spirituale della pre-veggenza della Croce da parte di Maria già mente tiene in braccio Gesù bambino.

  19. Giovanni e Giacomo alla destra e alla sinistra: sono fratelli, ribattezzati da Gesù figli del tuono, boanerges, (Mc. 3,17) e questa collocazione risponde in modo commovente alla richiesta vangelica della loro madre che li sognava alla destra e alla sinistra di Gesù (Mt. 20,20.21). Il Gesù di Leonardo è più generoso che nei Vangeli stessi, in quanto Leonardo vuole anticipare e condensare nel Cenacolo ogni significato spirituale, anche quello, implicito e corretto, di banchetto già celeste, regale, divino, glorioso, nel quale i due fratelli, discepoli prediletti, sono già premiati e glorificati.

  20. Giovanni vicino a Pietro: uniti nella preparazione della Pasqua, delegati a ciò da Cristo stesso (Luc.22,8) e ancora insieme davanti e dentro il sepolcro vuoto (Gv. 20,4) e così in Galilea con Gesù risorto (Gv. 21.20), coerentemente Leonardo li pone vicini alla tavola dell’Ultima Cena.

  21. Pietro che chiede a Giovanni chi sia il traditore: ennesimo altro passo vangelico di Giovanni (Gv.13,24) seguito fedelissimamente da Leonardo, secondo il più autentico e originario spirito dell’umanesimo e del rinascimento, connotato dalla ricerca della fedeltà al testo originario (ebraico e greco) delle Sacre Scritture.

  22. Il coltello ricurvo di Pietro: un esempio illuminante della fedeltà assoluta di Leonardo al testo greco del Vangelo di Giovanni dove il termine usato è makaira, che significa appunto: coltello ricurvo, e proprio quello utilizzato per sgozzare gli agnelli a Pasqua (anche se di solito si traduce, più imprecisamente e non correttamente con il diverso termine di "spada") e lo stesso termine compare non solo quale arma brandita da Pietro nel Getsemani (Gv.18,10.11) ma pure quale arma simbolica, anche qui segno di sacrificio e di purificazione dal peccato, propria del secondo cavaliere dell’Apocalisse (Ap.6,4, secondo sigillo).

  23. Il dito di Tommaso e la sua vicinanza a Gesù: un’altra concordanza vangelica molto forte e precisa che rinvia all’episodio di Tommaso che tocca che piaghe di Gesù risorto (Gv. 20,25-27).

  24. Sono forse Io? La gestualità di Filippo: le mani che si autoindicano in Filippo corrispondono a una gestualità ritualizzata che compare anche nell’Iconologia di Cesare da Ripa a indicare l’“essere affranti” ma è innegabile che possano essere letti anche quale autointerrogazione rispetto all’affermazione di Gesù sulla presenza di un traditore. Il racconto del Vangelo riporta che più apostoli si fecero questa sconvolgente domanda (Mt. 26,22; Mc. 14,19). Perché Leonardo contestualizza più platealmente in Filippo questa postura narrativa? Non lo sapremo mai con certezza ma certo è che il tema ontologico e biblico del’“Io Sono” (il nuovo Nome di Dio rivelato a Mosè) compare nel Vangelo proprio in un serrato dialogo fra Gesù e Filippo (Gv.14,6-11) e poi ritorna in Giovanni nella scena dell’arresto (Gv. 18,5.8).

  25. Le “coppie” apostoliche vangeliche cioè determinati posizionamenti di alcuni apostoli ripercorrono gli elenchi apostolici presenti nei Vangeli, come ad esempio per Andrea vicino al fratello Pietro (Gv. 1,40), e Giuda Taddeo posto in posizione simmetrica rispetto a Giacomo di Alfeo (Mt. 10,2,3) e vicino a Simone lo zelota/cananeo (Mc.3,18).

  26. I cassettoni del soffitto: è un evidente rinvio al Tempio di Gerusalemme (1Re, 6,9.10) Leonardo leggeva (lo annota lui nel Codice Atlantico) un sermone sul Tempio di Gerusalemme, probabilmente di Savonarola.

  27. La numerologia nel numero dei cassettoni: il numero dei cassettoni non è casuale in quanto il soffitto è come un quadrato che presenta sei formelle per ogni lato e anche sulla loro diagonale. La ripetizione per tre del numero sei e il colore scuro del soffitto, alludono al potere anticristico (Ap. 13,18) che, all’inizio della sua Passione, incombe sopra Cristo. E’ l’ora delle tenebre (Luc.22,53) dove le cose sono diabolicamente invertite: il Sole, Gesù, ha il volto in ombra e il cielo (il soffitto) è grigio.

  28. La stanza del banchetto pasquale con i tappeti che l’arredano, non è un invenzione leonardiana: è la descrizione della stanza pasquale nel Vangelo di Luca (Luc.22.12), fatta con termini greci precisissimi: una stanza al piano superiore, anagaion, ed estromenon (tappezzata).

  29. I fiori degli otto arazzi e la frutta dei tre festoni alludono al giardino dell’Eden e al giardino della sepoltura e della resurrezione di Gesù (Gv.19,41).

  30. Le arance, simbolo nuziale, alludono al tema messianico e cristico delle Nozze dell’Agnello (Ap. 19,9).

  31. Il pavimento è azzurro con strisce dorate (risulta dagli studi, e se ne intravedono ancora alcune). Se il banchetto è pasquale anche in senso celeste, messianico, escatologico, allora la stanza deve essere simile al palazzo celeste, alla corte celeste di Dio. Quello che è cielo per gli uomini è pavimento per Dio. Nell’Apocalisse viene descritto un mare di vetro/cristallo davanti al trono di Dio (Ap.4,6).

  32. E’ sera; nel racconto pittorico del Cenacolo il sole sta tramontando ed entrando dalle tre aperture (segno trinitario di divina irradiazione) imporpora le chiome di Gesù e, in misura minore, dei suoi apostoli. I capelli rosseggianti di Gesù richiamano il tema di Davide, rosso di capelli, e di Gesù quale figlio di Davide (1Sam, 16,12; Mt.1,1; Mt.9,27; Mc.10,47, Luc.3,31). Ma il tema della sera rinvia anche all’Eden dei progenitori e a Gesù quale nuovo Adamo in quanto in Genesi, e per gli ebrei, il giorno inizia a contarsi dalla sera (Gen.1,5.8), quindi il banchetto pasquale avviene, misticamente, all’alba, in un giardino, evocando il momento della creazione del mondo; ma avvertiamo anche un'allusione alla sera angosciosa di Abramo quando si suggellano le promesse/speranze di Israele (Gen. 15,10.17.18).

  33. Domina la numerologia cristiana più mistica e apocalittica: il tre, il quattro e il sette, con i loro multipli. L’apertura centrale, la maggiore, indica che la Passione porta al massimo compimento il tempo dell’Incarnazione, il Tempo, intermedio, del Figlio, fra quelli del Padre e dello Spirito Santo (cogliamo l’influsso di Gioacchino da Fiore, che influenzò anche Savonarola, il dominatore spirituale del tempo di Leonardo a Milano). Il quattro regna negli arazzi, nelle gambe della tavola, nella forma della parete del fondo e del soffitto, e indica giustizia, il Giusto, e la resurrezione, nel suo multiplo. Tre e quattro indicano il matrimonio, le nozze fra microcosmo e macrocosmo e portano al sette e al dodici. Gesù appare al centro di 24 elementi (gli arazzi più le aperture sulle pareti), come nell’Apocalisse Cristo fra o i 24 anziani (Ap.4,4).

Tutti questi simboli, allusioni, rinvii, quasi non si vedono e si arrendono solo a occhio allenato e tenace perché la rivoluzione ermeneutica e iconologica di Leonardo è semplice e assai spirituale e corrisponde alla rivoluzione che opera Gesù nel Vangelo quando inverte il rapporto fra l’uomo e il Sabato, fra il rito e l’anima: è il Sabato che è fatto per l’uomo e non l’uomo per il Sabato (Mc. 2,27), cioè Leonardo mette in primo piano la persona e la figura umana mentre il simbolo viene reso implicito, velato, subliminale. Leonardo libera i linguaggi simbolici dall’allegorismo rigido del neogotico, ancora fiorente a fine quattrocento, come ci dimostra la Crocefissione di Montorfano, davanti al Cenacolo stesso, e “spiritualizza” e “interiorizza” questi temi religiosi, teologici, e gli stessi modelli estetici allora in voga: quelli bizantini e quelli fiamminghi. Ecco perché nelle opere d’arte di Leonardo sembra, ripeto sembra, tutto così naturale, semplice, fluido, assolutamente nuovo e fresco. Leonardo mette in movimento la contemplazione, rende dinamica l’icona, occidentalizza la luce delle icone bizantine, scientificizzandola con la prospettiva, ma tenendo la sua struttura centrale, naturalizza i temi fiamminghi, cogliendone la potenza espressiva e mistica, ma portandoli alla grandezza di scala dell’affresco e liberandoli dalle costrizioni che vengono dalla miniatura e dalla pala d’altare. Trentatrè coincidenze non sono coincidenze!

Se è impressionante questo quadro narrativo per la sua precisione, raffinatezza e architettonicità, dove ogni elemento di fondamento è anche elemento di congiunzione e la massima complessità è raggiunta tramite la composizione compiuta con elementi semplici, come in una cattedrale gotica, ci stupiremo ancora di più passando ora ad analizzare, dopo la “statica”, la dinamica del racconto pittorico di Leonardo in alcuni temi, aspetti e ulteriori relazioni interne al dipinto. Possiamo individuare vari percorsi. Ne enumero alcuni: le relazioni anagogiche fra Pietro, Giacomo e Giovanni, in rapporto a Gesù, il tema dello “scambio mistico dei cuori” fra Giovanni e Gesù alluso dal colore reciprocamente invertito delle loro vesti, le numerose allusioni alla croce (ad esempio: la dimidialità del vino nei bicchieri, il pane che incrocia il coltello e il bicchiere che incrocia il piatto sotto le mani di Simone il cananeo), il tema della divisione (Gesù che divide le due schiere di apostoli come Mosè che divide il Mar Rosso).

A proposito del tema mistico della divisione, segno di sacrificio e di giudizio (Gen.15, 10.18, Luc.23,45), alluso nella mano sinistra di Gesù (la destra per chi guarda), che divide tre gruppi di oggetti (pane, agrume, vino), nella posizione centrale del Cristo, anche in rapporto alle sette lesene del soffitto, nella decorazione centrale più grande che divide le altre in due gruppi di tre, nelle fasce laterali della tovaglia. Tutti questi simboli, allusioni, rinvii, quasi non si vedono e si arrendono solo a occhio allenato e tenace perché la rivoluzione ermeneutica e iconologica di Leonardo è semplice e assai spirituale e corrisponde alla rivoluzione che opera Gesù nel Vangelo quando inverte il rapporto fra l’Uomo e il Sabato, fra il rito e l’anima: è il Sabato che è fatto per l’uomo e non l’uomo per il Sabato (Mc. 2,27), cioè Leonardo mette in primo piano la persona e la figura umana mentre il simbolo viene reso implicito, velato, subliminale. Leonardo libera i linguaggi simbolici dall’allegorismo rigido del neogotico, ancora fiorente a fine quattrocento, come ci dimostra la Crocefissione di Montorfano, davanti al Cenacolo stesso, e “spiritualizza” e “interiorizza” questi temi religiosi, teologici, e gli stessi modelli estetici allora in voga: quelli bizantini e quelli fiamminghi.

Ecco perché nelle opere d’arte di Leonardo sembra, ripeto sembra, tutto così naturale, semplice, fluido, assolutamente nuovo e fresco. Leonardo mette in movimento la contemplazione, rende dinamica l’icona, occidentalizza la luce delle icone bizantine, scientificizzandola con la prospettiva, ma tenendo la sua struttura centrale, naturalizza i temi fiamminghi, cogliendone la potenza espressiva e mistica, ma portandoli alla grandezza di scala dell’affresco e liberandoli dalle costrizioni che vengono dalla miniatura e dalla pala d’altare.