David Lynch, icona del cinema americano, artista poliedrico ed eclettico, è in mostra alla Fondazione Mast (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) a Bologna fino al prossimo 31 dicembre 2014.

The Factory Photographs raccoglie 111 fotografie rigorosamente in bianco e nero, binomio cromatico che è cifra stilistica di alcuni tra i suoi più noti lungometraggi (Eraserhead, The Elephant Man). “Non saprei cosa fare con il colore. È troppo limitante, vincola alla realtà” scrive Lynch, e la carrellata di immagini scattate tra il 1980 e il 2000 ne sono testimonianza. E’ attraverso un lirismo per nulla idealizzato che Lynch registra la decadenza dell’era post industriale, frames che potrebbero andare a formare la scenografia perturbante di un suo film, la prospettiva di scorcio attraverso cui lo sguardo del regista-fotografo indugia, si posa sui dettagli dei comignoli, delle ciminiere, dei macchinari che diventano simulacri, totem di una realtà in disfacimento.

Lynch ci invita a entrare in un mondo inquietante dalle geografie indistinte in cui il confine tra la realtà e la fantasia più surreale ha il colore grigio dei vapori e della fuliggine dei cieli di Berlino, della Polonia, dell’Inghilterra, del New Jersey, di New York, di Los Angeles. “Sono questi i luoghi che amo”, dice il regista, “i luoghi in cui si scoprono segreti”. Immagini di straordinaria potenza sensoriale in cui l’insignificante acquisisce senso nella sua iconicità e l’ordinario si trasforma in composizione astratta. Scatti che introducono lo spettatore in quella visionarietà labirintica che ritroviamo anche nei tre cortometraggi (Industrial Soundscape, Bug Crawls, Intervalometer: Steps) che chiudono il percorso espositivo in cui i paesaggi industriali sono accompagnati dalla colonna sonora dei colpi assordanti e ininterrotti dei magli meccanici e dal sibilo stordente dei macchinari.

La fabbrica è per Lynch pura fascinazione, il suo scopo non è studiarne le architetture, denunciare l'impatto dell'industrializzazione sul paesaggio o il disastro ecologico né tanto meno avviare una critica sociale raccontando la realtà del lavoro. L’ indagine autoptica di Lynch si sofferma sui frammenti: muri scorticati, vetri rotti, tubature contorte; immagini sinistre e a un tempo oniriche che costruiscono mosaici immaginari in cui la retorica della memoria e della malinconia consegnano una realtà sulla soglia della sua definitiva scomparsa.