Pianist, composer, arranger, conductor, Luca Poletti è questo e molto altro.

Raccontaci com'è iniziato il tuo percorso all’interno della musica, che bambino eri, come ti sei approcciato allo studio del pianoforte e tutto quello che è successo nel tuo cammino formativo.

Il mio percorso è nato dalla voglia di conoscere meglio i suoni di cui erano fatte le composizioni che sentivo in giro. Ero un bambino timido e piuttosto introverso, però con molta voglia di scoprire ciò che mi circondava (posso dire che non sono cambiato poi molto), in casa girava una tastiera della Bontempi, quelle di plastica con pochi tasti e con dei suoni non proprio da sogno. La suonava mia sorella e ogni tanto quando la trovavo provavo a metterci sopra le mani anch’io; un giorno sentii per la prima volta una composizione di Ennio Morricone (di cui ahimè non ricordo più il nome), mi piacque così tanto che decisi di suonarla a orecchio. L’esperimento fu piuttosto fallimentare, ma dopo molte ore riuscii a trascrivere gran parte del brano compresa la parte accordale (successivamente scoprii cos’erano gli accordi). Quel giorno decisi che avrei dedicato la mia esistenza alla Musica. Mi iscrissi quindi al Liceo Musicale annesso al Conservatorio F.A. Bonporti di Trento e contemporaneamente a Pianoforte Principale nel medesimo istituto (dove mi diplomai rispettivamente nel 2005 e 2009), a metà del mio percorso liceale però sentii che mi mancava qualcosa, volevo conoscere meglio l’aspetto compositivo per cui decisi di iscrivermi al corso di Composizione e Strumentazione per Banda tenuto da Daniele Carnevali. Questo mi aprì le orecchie, il cervello e il cuore. Dopo il diploma di Strumentazione sentii che la mia conoscenza del jazz non era ricca per cui sotto consiglio di vari amici e parenti mi iscrissi al Biennio Specialistico in Musica Jazz sempre a Trento: non vi dico, fu l’ennesima illuminazione che culminò per mia fortuna con il massimo dei voti, la lode e la menzione d’onore! Ebbi la fortuna di studiare con Roberto Cipelli, grande pianista e amico, e Robert Bonisolo, sassofonista di origini canadesi dalla vena creativa marcata. Il resto poi è venuto da sé.

Un ricordo di qualche insegnante che ti ha aiutato a superare momenti di crisi, se ce ne sono stati.

Certo che ce ne sono stati! In particolare ricordo due aneddoti che mi hanno dato una grande spinta. Il primo riguarda la mia insegnante di pianoforte, andai a studiare con Nicoletta Antoniacomi in un momento difficile del mio percorso accademico, venivo da alcune esperienze che mi avevano scoraggiato molto ma lei con estrema (!) pazienza mi ha spronato ad andare avanti e in un certo senso ha ricostruito in me la gioia di suonare. Le sue lezioni erano cariche di entusiasmo partecipato e dense di profondità musicale, una lezione che porto dentro e cerco di ricordare sempre; l’intensità con cui fai le cose deve essere sempre massima altrimenti quello che ne esce non sarà vivo e denso di significato e colui che ascolta non sentirà alcunché, mancherà di comunicazione. Il secondo aneddoto riguarda i miei studi di jazz a Trento. Il Dipartimento di jazz del Conservatorio di Trento ha sempre avuto grande forza grazie soprattutto a Roberto Cipelli che ha messo anima e cuore nel realizzare ambiziosi progetti. Appena entrato mi ha reso partecipe e responsabilizzato subito dandomi la guida della Big Band, una realtà che amo molto e che grazie a queste esperienze è diventata una parte del mio mondo musicale. L’aspetto che ho apprezzato di più è stato il suo modo di spronarmi cercando di tirare fuori la musica da ogni singola nota e chiedendomi di “lasciare l’imbarazzo a casa sopra il comodino”. Un’esperienza che ogni volta mi coinvolge e mi fa sentire vivo.

In che momento sei passato dalla formazione alla professione?

A dire il vero non mi sono accorto di essere passato dalla formazione alla professione; in un certo senso è stato un passaggio naturale, pian piano molti musicisti hanno iniziato a chiamarmi per collaborare con loro e così mi sono ritrovato ad avere molte situazioni diverse in cui cercare la mia strada. Devo ammettere che mi piace molto “creare” insieme agli altri, cercando di mettere una mia nota caratteristica, almeno è quello che tento di fare da sempre. Amo molto, inoltre, gli artisti che riescono a essere se stessi e sono curiosi e onnivori, i musicisti di questo tipo bisogna tenerli stretti!

Di base sei un jazzista, ma in realtà il tuo eclettismo ti porta ad amare le contaminazioni di stili diversi. Come accade questa magia? E’ vero che per essere innovativi, bisogna partire prima da un’approfondita conoscenza della tradizione, dunque che per rompere le regole, occorre prima di tutto imparare a rispettarle?

Bella osservazione! Mischiare le carte è una cosa che mi eccita molto e da sempre sono attirato da tutto ciò che ha una libertà pura, tutto ciò che ha del pepe insomma. Io sono cresciuto con Morricone, Herbie Hancock, Monteverdi, Mahler, i Pink Floyd e non riesco a dire chi è più intenso, a loro modo tutti sono sconvolgenti, perciò cerco di seguire il mio istinto e di scrivere e suonare quello che mi va in ogni periodo. Giustamente, come dici, conoscere le regole è di importanza fondamentale, anzi è necessario conoscerle a fondo proprio perché solo così si può capire la meccanica intrinseca delle cose, dopodiché si può cercare di costruire una propria strada. Charlie Parker (che studiava 8 ore al giorno) diceva: “Studia a fondo quanto più ti è possibile, analizza, studia, applicati dopo di che quando suoni dimentica tutto quello che hai studiato”. Mi sembra un bel modo di pensare, no?

Hai vinto molti premi e ricevuto importanti riconoscimenti. Qualche momento che ti è rimasto nel cuore?

Ho sempre visto nei concorsi un modo per conoscere il mondo, cioè conoscere altri artisti, altri modi di pensare, così un po’ per gioco e un po’ per sfida personale ho deciso di parteciparvi. Ho partecipato dapprima a vari concorsi di musica da camera portando autori contemporanei come Leonard Bernstein e Bohuslav Martinu, per poi proseguire sia con la scrittura per orchestra che come pianista. Un momento che mi è rimasto nel cuore è stato il mio primo premio ricevuto dalle mani di Giorgio Gaslini, un guru della composizione jazz, che con un sorriso gigantesco mi ha detto: “Te l’aspettavi eh?”, a dire il vero no. Un altro concorso che mi ha elettrizzato è stato quello di BargaJazz con Steve Swallow, ricordo che a un certo punto la prima tromba Andrea Tofanelli in un momento ripetitivo delle prove decise di suonare tutta la sua parte un’ottava sopra la parte scritta (già scritta in un registro molto acuto), rimasi di pietra. Un artista pazzesco. La cosa più divertente fu all’European Jazz Contest; alla consegna dei premi non potevo essere presente per cui delegai i miei genitori ad andare fino a Roma a sentire la finale. Dopo qualche ora mi arrivò un messaggio con scritto: “1° premio assoluto”. E’ un po’ strano ricevere una notizia così importante tramite sms, senza null’altro. Dovetti chiedere più volte se era uno scherzo oppure no, fortunatamente non lo era!

Raccontaci come è nato il Luca Poletti Trio, da chi è composto, quali caratteristiche ha e tutto ciò che vuoi svelarci.

Il Luca Poletti trio è nato nel 2013, i musicisti che ne fanno parte oltre a me sono il contrabbassista romagnolo Stefano Senni e il batterista trentino Matteo Giordani: due artisti di grande spessore. La cosa che mi piace di più di Stefano è la sua solidità, sa sempre mettere le note al posto giusto e ti fa sentire a casa dandoti inoltre una sicurezza incredibile. Fantastico. Di Matteo amo molto la sua naturale propensione a creare dei motori ritmici unici, colorando di volta in volta con pennellate diverse... la sua batteria ha colori che nemmeno immaginavo. Le composizioni che eseguiamo sono mie e sono confluite nel disco Colors, uscito qualche mese fa. Un lavoro sudato, essendo il primo lavoro a mio nome. L’aspetto più bello è stato il modo con cui hanno accettato di lavorare al mio materiale, aggiungendo idee proprie con generosità e curiosità. Ovviamente ricordo Paolo Fresu, un artista che non ha bisogno di presentazioni, un poeta eccelso di un’intensità dirompente, un’umanità straordinaria e un modo di pensare davvero unico. Nel disco sono presenti anche degli ospiti: il trombettista Chetbakeriano Christian Stanchina, il super sassofonista tenore Matteo Cuzzolin, la voce perfetta di Annika Borsetto e il basso elettrico di Michele Bazzanella, una funky machine da fare invidia.

Com’è stato lavorare con Fresu? Come vi siete coordinati? Il rapporto tra il tuo pianoforte e la sua tromba? Di quanti e quali colors è questo disco? Spiegaci brevemente di cosa tratta ogni brano.

Lavorare con Paolo è stato davvero fantastico, se qualche anno fa mi avessero detto che avrei realizzato un disco con lui probabilmente non ci avrei creduto. L’aspetto che più mi avvicina alla sua sensibilità musicale è l’idea di “suono” come pura entità, come caratteristica emotiva molto forte. In un certo senso può esistere anche un’unica nota, ma se possiede una grande forza non ne necessita di altre per creare emozione. Lavorare con lui è stata una palestra di umiltà e creatività, ho cercato dal canto mio di lasciare a Paolo molta libertà tant’è vero che molte delle idee più belle sono uscite proprio da questa libertà e condivisione, ad esempio quella in cui sovraincide due trombe con sordina in Raining grey: davvero un’idea favolosa! In Preludio e fuga (dalla realtà) ho avuto il piacere di duettare con lui e devo dire che è stato un momento fuori dal tempo, esisteva solo il suono che dicevamo poco fa. L’intero disco l’abbiamo riproposto live in teatro proprio con Fresu e tutta la crew di Colors, una bella soddisfazione davvero. Colors è una sfida musicale. Volevo realizzare il mio album d’esordio senza limiti di genere e struttura. Volevo che i brani prendessero forma da soli, così e stato e pian piano si sono delineate delle strutture musicali. Per aggiungere un po’ di pepe ho inframmezzato le composizioni con preludi elettronici, giusto per creare vitalità ed energia. Il disco parte con un’esposizione Prologo nella quale è riversata la musica che amo maggiormente. A guardarlo dall’esterno trovo che ogni brano abbia una parte di me, la canzone pop This Is For You ad esempio parla di un amore estremamente intenso, in Leo invece l’amore per il mio piccolo nipotino, in Sirene ho riversato tutta la mia voglia di scoprire l’armonia contemporanea, in Raining grey c’è tutta la mia passione per Kenny Wheeler (scomparso qualche giorno fa), in Bastian oirartnoC la voglia di sperimentare delle situazioni free, con Strollin’ around mi piace l’idea di avvicinarmi a Jarrett e Petrucciani, in Preludio e fuga (dalla realtà) mi ritrovo a duettare con Paolo Fresu vivendo un momento di grande intensità, Sold 20% è la parte nera di me, quella che ama gli anni ’70 con il grande funk dei Tower of Power.

Sei Direttore dell’Orchestra Jazz del Conservatorio di Trento. Che tipo di esperienza è? Come ci si sente ad essere allievo e poi insegnante, ad essere guidato prima e poi a diventare guida?

Lavorare con l’orchestra del Dipartimento di Jazz a Trento è un’esperienza davvero gratificante e allo stesso tempo molto ricca. In questi anni ho avuto il piacere di stare al fianco di molti artisti (tra tutti Fresu, Uri Caine, Bruno Tommaso e Gil Goldstein) che mi hanno dato una grossa spinta a livello di stimolo e concezione della musica. Tutto questo lo devo a Roberto Cipelli, che oltre ad essere un pianista favoloso è anche un didatta con i fiocchi, nonché fondatore della Big Band del Conservatorio. Essere dall’altra parte è estremamente stimolante e in realtà, per come la vedo io, un motivo per crescere assieme; in fondo siamo tutti sullo stesso piano e cerchiamo di dare il meglio di noi. I musicisti dell’orchestra hanno sviluppato una grandissima capacità collaborativa e spiccano anche come solisti… nel tempo siamo riusciti ad avere un nostro suono e di questo ne sono davvero contento!

Una domanda che faccio sempre a tutti gli artisti jazz che intervisto è "che fase sta vivendo il jazz, che target di pubblico attrae, come è recepito, è vero che tutti quanti voglion fare jazz?"

Domanda interessante, ma allo stesso tempo complessa, se si vuole dire la propria senza scadere nel populismo. Il jazz secondo me sta avendo un buon momento (al di là della gravissima crisi che stiamo vivendo quotidianamente), è molto seguito soprattutto per quel che riguarda i festival jazz (anche in località regionale senza andare per forza a Umbria Jazz). Lo scambio di informazioni è talmente elevato e ricco che i generi pian piano si stanno fondendo (vedi ad esempio i Next Collective, oppure gruppi di jazz che chiamano dj professionisti per realizzare ibridi molto interessanti), per cui molti si stanno avvicinando al jazz (scrollandosi di dosso quell’orribile binomio Jazz=Nero, con faccia sorniona che sorride e suona una musichetta allegra). Aggiungendo poi che esistono molti conservatori e scuole di specializzazione, molti ragazzi della mia età si sentono vicini a questo genere musicale e ne vogliono conoscere le “leggi”. Da musicista che sta sia al di qua che al di là del palcoscenico vedo che il target è molto variegato, soprattutto scopro con piacere che sempre di più ci sono molti giovani e molte persone di età più avanzata.

Quali progetti a breve termine hai in mente? Qualche altra collaborazione con noti musicisti?

Sì, ho molti progetti in mente per il breve termine. Sto scrivendo diversi arrangiamenti per organici inusuali e sto studiando molto per costruire progetti un po’ più “ibridi”. Ovviamente il trio è sempre presente e a breve dovrebbero esserci alcuni concerti in giro per il mondo. Sul piano didattico sto realizzando dei video tutorial sull’arrangiamento scaricabili sul mio sito. Le prossime collaborazioni musicali saranno con Fabrizio Bosso e Maria Schneider, sono già eccitato!

Si può vivere di musica?

Se per musica si intendono tutte le sue sfaccettature, sì!

Per maggiori informazioni: www.lucapoletti.com