Fermarsi a sedere sulla scalinata di Trinità dei Monti succhiando quel che resta di una consumata grattachecca al limone. Stendersi sui prati del Circo Massimo addentando un succulento panino alla porchetta. E poi passeggiare per i vicoli che abbracciano Campo dei Fiori con in mano un cartoccio bollente pieno di filetti di baccalà in pastella appena fritti.

Sono sempre più convinta che Roma si debba ammirare anche così, prendendola a morsi.

Oggi è il caso della Capitale, ma domani sarà magari il caso di Furore, borgo incastrato in Costiera Amalfitana, o delle interminabili colline delle Langhe, che si rincorrono come onde. Conoscere i luoghi, capirli ed apprezzarli, è fondamentale con tutti i sensi, gusto incluso.

D’altronde anche Romain Gary, grande romanziere francese, era strenuo sostenitore di questo approccio plurisensoriale verso le bellezze da ammirare. Lui visitava luoghi, contemplava città e paesaggi con i suoi adorati cetrioli alla rusa, succosi e profumati: li portava con sé addentadoli al momento opportuno. “Ho mangiato cetrioli a Big Sur in California, con la piacevole sensazione di aver assaggiato l’immensità dell’oceano… Ho sgranocchiato cetrioli a San Francisco, a strapiombo della Golden Gate…”, così scriveva in La Paz: The Man Who Ate the Landscape nel 1958.

Allo stessso modo faccio io a Roma: la mangio per strada, nelle piazze, nei parchi ed ammirandola dall’alto dei colli. Non solo, però, con il mio cibo preferito, ma soprattutto con ciò che appartiene alla città, che più fa parte di lei.

Su tutto amo fermarmi al mattino da Regoli, prendere qualche leccornia al volo e mangiarmela per le strade che circondano piazza Vittorio. È una sosta gastronomica molto gradita anche dagli stessi romani, che scendono fugacemente dal motorino sfidando il traffico o parcheggiando senza pudore l’auto in seconda fila, pur di iniziare con piacere la giornata. Andare da Regoli per me vuol dire soprattutto prendere il maritozzo, soffice pasta lievitata, aperta e farcita di panna montata o la crostatina di pasta frolla con crema chantilly e fragoline di bosco. Li mangio in piedi, ferma a qualche angolo di strada, spiando la città. Mi imbratto le labbra di panna e il naso di zucchero a velo. Ma è bello e gustoso così.

Poi mi piace andare a Testaccio, per mangiarmi la città più verace, popolare. È infatti un quartiere ancora autentico, emblema antico e contemporaneo della romanità. Al Nuovo Mercato di Testaccio mi fermo sempre a prendere il panino con l’allesso di scottona da Sergio Esposito per poi assaporarmelo su una panchina di Piazza di Santa Maria Liberatrice.

All’interno di questo stesso mercato è d’obbligo una tappa da Dess’Art, piccola pasticceria di Costanza Fortuna, giovane palermitana. Da lei è bello prendere un’arancina appena tirata su dall’olio, croccante nella sua panatura, filante se si stratta di quella con provola e prosciutto, o un cannolo farcito di ottima crema, o ancora la straordinaria brioche siciliana ripiena di ragù e piselli, che, non nego, una volta di averla portata fino sul Lungotevere per mangiarla ai garriti acri dei gabbiani. Occasione però non ideale, qualcosa strideva. Come mangiare il vitello tonnato in riva ad una spiaggia di Porto Ercole sull’Argentario. Credo che in occasione di contemplazione, il cibo debba rappresentare anche il paesaggio e ciò che ci sta attorno. In qualche modo si devono riflettere l’uno nell’altro, a vicenda.

E poi come scordare il supplì di Supplizio mentre ho ammirato Palazzo Farnese? O la croccante pizza con mozzarella, fiori di zucchina e alici di Roscioli, addentata nell’intima Via dei Chiavari? O ancora il panino alla porchetta preso al Mercato in Via di San Teodoro e mangiando abbagliata dalla vastità del Circo Massimo, immaginando le forsennate corse dei carri?

“Ricordatevi: non fate l’amore con la bellezza del mondo solo con gli occhi. Non c’è niente di più frustrante del guardare e basta. L’amore è la fonte di tutte le delizie e i vostri occhi non sono che una parte di quest’amore. Ma non ascoltate neppure quelli che vi dicono che non riuscirete a portarlo con voi. Ci riuscirete, e tornerete a casa nei panni di un uomo soddisfatto e ben sazio” (Romain Gary, La Paz, The Man Who Ate the Landscape, 1958).