
Mi chiamo Enca Polidoro, sono una gastronoma curiosa e appassionata. Una donna che ha scelto di fare del cibo non solo una passione e una professione, ma soprattutto un linguaggio per raccontare il legame profondo che unisce l’uomo al suo territorio. La mia formazione accademica è arrivata in un secondo momento, quasi come una naturale conseguenza di un percorso già avviato e vissuto con intensità.
Sono laureata in Scienze e Culture Gastronomiche presso l’Università degli Studi di Teramo ma prima ancora del titolo ci sono state la mia curiosità ed il mio interesse, coltivate e alimentate attraverso esperienze di lavoro concrete, che mi hanno permesso di osservare da vicino le realtà agro-pastorali e agroalimentari della mia regione, l’Abruzzo.
A segnare una tappa fondamentale è stato però il mio impegno all’interno di Slow Food, un’organizzazione nata in Italia nel 1986 e divenuta nel tempo un movimento globale che promuove il cibo e tutela la biodiversità. La mia adesione e partecipazione attiva mi hanno dato l’opportunità di toccare con mano le eccellenze, ma anche le fragilità, di un mondo che merita attenzione e cura.
Oggi per Slow Food, a livello territoriale, sono referente di alcuni presìdi; coordinatrice del progetto dell’Alleanza, un progetto nazionale che vede coinvolti alcuni cuochi che hanno a cuore le tematiche dell’associazione e presidente della mia area di pertinenza. Impegni che porto avanti insieme ad un gruppo di soci con impegno e dedizione.
Il mio viaggio all’interno della cultura gastronomica è iniziato nel 2010 con l’attestato di sommelier del vino. Una scelta dettata dal desiderio di comprendere non solo il piacere della degustazione, ma soprattutto l’universo di saperi e pratiche che si celano dietro un calice. Successivamente, ho scelto di specializzarmi anche come tecnico assaggiatore di olio extravergine d’oliva, anche questo un prodotto simbolo di identità, cultura e biodiversità.
Queste esperienze e questi campi di approfondimento mi hanno insegnato che ogni alimento racconta una storia complessa fatta di lavoro, territorio, tradizione e, non di rado, difficoltà. Ed è proprio questo intreccio di elementi che cerco di mettere in luce nel mio lavoro quotidiano.
Credo fermamente che la cultura gastronomica sia un potente strumento di educazione e connessione tra uomo e territorio. Mi piace pensare che le storie di cibo possano trasformarsi in esperienze consapevoli e significative.
Per me, l’ enogastronomia non è mai stata solo una questione di piacere edonistico, né un semplice insieme di tecniche culinarie. L’ho sempre considerata un atto culturale: un linguaggio che unisce scienza, storia, antropologia, economia e responsabilità ambientale ma perché questo avvenga non è sufficiente parlare o raccontare storie di cibo… è necessario sapersi connettere con chi ascolta; catturarne l’attenzione e fornire gli strumenti utili all’azione.
Questa è la strada utile per trasformare lo storytelling in un’azione concreta in grado di cambiare noi e ciò che ci circonda. Proprio per questo nel tempo la mia attenzione si è progressivamente spostata verso un più ampio: non solo guardare al piatto finito, ma comprendere e raccontare ciò che c’è prima, ciò che accade nei campi, nelle stalle, nei frantoi, nelle cantine, nelle cucine collettive. Il cibo, in fondo, è un prisma attraverso cui leggere il passato, interpretare il presente e immaginare il futuro. Gli argomenti che mi stanno più a cuore spaziano dall’universo agro-pastorale alla narrazione delle pratiche tradizionali, con uno sguardo costante al futuro.
Credo che oggi sia fondamentale non limitarsi a custodire le radici, ma anche saperle interpretare in chiave contemporanea, affinché diventino strumenti utili ad affrontare le sfide della sostenibilità, della biodiversità e dell’educazione alimentare. Per questo mi piace parlare di enogastronomia come espressione di identità, cultura e responsabilità ambientale. Un approccio che non si ferma alla celebrazione della memoria, ma che cerca di dare voce anche all’innovazione e alle soluzioni possibili per il domani. Pur dichiarando con sincerità di avere poca pazienza ai fornelli e un approccio piuttosto essenziale in cucina, non posso negare che la ristorazione sia sempre stata parte integrante del mio percorso. Ho gestito un ristorante, un bar e mi sono occupata anche di una mensa.
Ogni esperienza mi ha insegnato qualcosa di prezioso: dal rapporto con i clienti alla complessità dell’organizzazione, dalla valorizzazione delle materie prime alla responsabilità verso le persone che si nutrono del tuo lavoro. Queste tappe hanno contribuito a consolidare la mia visione, arricchendola di sfumature diverse e rafforzando la mia convinzione che la gastronomia sia un campo multidisciplinare, in cui convivono aspetti sociali, economici, tecnici e culturali e non ultimi anche politici.
Uno degli elementi che caratterizza il mio approccio è l’attenzione a coniugare lo storytelling con l’analisi tecnica. Credo che raccontare un prodotto, un territorio o un’iniziativa non significhi solo trasmetterne le emozioni, ma anche restituire al pubblico strumenti concreti per comprenderne la complessità. Per questo forse da sempre mi affascina la parte più scientifica del cibo, forse perché meno evidente e meno condivisa.
Eppure, ritengo che il pubblico abbia bisogno di conoscere anche questi aspetti: capire i processi, i dati, le criticità. La conoscenza ampia, in fondo, è il primo passo verso la consapevolezza e il cambiamento. Oggi più che mai parlare di cibo è una sfida. Viviamo immersi in un flusso continuo di notizie, articoli, contenuti che spesso rischiano persino di banalizzare l’argomento. Circondati da informazioni, possiamo facilmente perdere i riferimenti essenziali e dimenticare cosa significhi davvero cibo: cura, lavoro, cultura, scienza, relazione.
Come sostiene Carlo Petrini, fondatore del movimento Slow Food, la gastronomia è “un enorme contenitore di scienze”. Ed è proprio questa visione che cerco di portare avanti: raccontare il cibo da tutte le angolazioni possibili, scegliendo di volta in volta gli aspetti più rilevanti da mettere in luce. Naturalmente il fil rouge di tutto questo non può che essere la passione per la buona tavola che è stata il motore per cui tutto si è messo in movimento.
È la passione si trasforma in un viaggio tra piatti, abbinamenti e itinerari del gusto dove la convivialità sfida le convenzioni anche attraverso un pizzico di ironia esplorando ricette, storie e curiosità legate al mondo del cibo e del vino. Mi sono chiesta quale potrebbe essere il mio contributo al magazine. Con questa collaborazione spero di offrire una visione creativa e critica allo stesso tempo.
Il mio obiettivo non è solo raccontare, ma anche stimolare riflessioni, suscitare domande, proporre punti di vista nuovi. Parlerò di prodotti e territori, di pratiche agricole e culturali, di tradizioni e innovazioni, cercando sempre di tenere insieme il lato emozionale e quello tecnico, lo storytelling e la conoscenza. Perché il cibo non è mai un argomento semplice: ma un mosaico di storie, saperi e responsabilità che meritano di essere esplorati con cura.
La mia speranza è che chi leggerà i miei articoli possa trovare non solo spunti interessanti, ma anche strumenti per guardare al cibo con occhi diversi: non come a un elemento scontato della quotidianità, ma come a una chiave per interpretare la realtà che ci circonda. Il cibo è memoria, identità, futuro. Ed è proprio a partire da questa consapevolezza che cerco ogni giorno di costruire il mio percorso professionale e umano, con la convinzione che la gastronomia sia una lente privilegiata per comprendere il mondo e, forse, anche per cambiarlo un po’.