Cento anni ma non li dimostra. Per lo sport italiano è quasi d’obbligo parafrasare il titolo di una celebre commedia di Peppino De Filippo che si era fermato, a proposito di anni, ai 40 della sorella del protagonista, nubile e da maritare.

Lo sport italiano di anni ne ha vissuti addirittura cento, e non sembra avere alcuna intenzione di… maritarsi, se non forse con la sua stessa storia, perpetuando il modello invero fortunato che il mondo ci riconosce e ci invidia (“La storia unica del CONI – ha osservato il presidente del CIO Thomas Bach intervenendo alla cerimonia di festeggiamento – è un metro di paragone per il Comitato olimpico internazionale, e per tanti comitati olimpici nel mondo”). Questa storia e questo modello sono stati al centro di una serie di appuntamenti anche istituzionali che hanno lasciato poco spazio alla retorica e molto invece ai ricordi, alle immagini, alle vicende, ora epiche ed emotive, ora tecniche e sublimi, tutte avendo a fondamento una concezione del momento sportivo alta e lungimirante, positiva e concreta, còlta e popolare. Una concezione globale, una concezione per tutti: promuovere un esempio formidabile per favorire la diffusione di un modello di sport che punti alle medaglie partendo dall'attività di base.

Di questi cento anni chi scrive ha avuto il privilegio di viverne in presa diretta ben più della metà, inizialmente come protagonista naturalmente in erba (molto in erba… ) delle prime vicissitudini agonistiche, successivamente avendo abbracciato una professione, il giornalismo, ed un settore specifico, lo sport, che lo hanno portato a contatto diretto proprio con i protagonisti di gesti atletici memorabili in assoluto e indimenticabili per chi li ha vissuti e che meritassero di essere raccontati: da Livio Berruti a Sara Simeoni, da Pietro Mennea a Klaus Di Biasi, da Oreste Perri ad Alberto Tomba, da Jury Chechi a Gustavo Thoeni, da Marcello Guarducci a Dino Zoff, da Franco Menichelli a Giovanni Johnny Pellielo, da Carolina Kostner ai fratelli Abbagnale…

Testimone di imprese, chi scrive, ed anche di scaramucce social politiche, come quella che intorno alla fine degli anni sessanta vide il presidente del CONI Giulio Onesti battagliare contro quello che ai suoi occhi appariva come un assalto all’autonomia gestionale dello sport ad opera di alcuni esponenti politici democristiani vicini alla Libertas, ente di promozione sportiva di non secondaria importanza. Si trattava – ci si consenta questa breve digressione – di cercare insieme e naturalmente trovare (come poi alla fine fu fatto… ) le giuste coordinate per far assumere allo sport quella dimensione corale, lo sport per tutti, che forma e sostanza della legge istitutiva (del 1942!...) attribuivano pressoché in esclusiva al CONI.

Alla grande festa del centenario ha voluto essere presente anche il Presidente della Repubblica, da sempre fiero portabandiera del movimento, affezionato e partecipe sostenitore dei successi più belli. "Sono qui – ha detto – perché nel CONI si riconoscono non solo i nostri atleti e campioni, quelli di tempi recenti e meno recenti per i quali è rimasta intatta la gratitudine, ma perché il CONI appartiene a tutti gli italiani e tutti gli italiani possono riconoscersi in questa istituzione della nazione e della Repubblica". Ed ancora: “Siamo particolarmente vaccinati contro l'irruzione della retorica dei nazionalismi nello sport. Una cosa, però, è la retorica, altra è l'orgoglio nazionale verso quelle atlete e quegli atleti che gareggiano con il Tricolore sul petto: bisogna guardarsi dalla strumentalizzazione politica di ogni partito ma dobbiamo sollecitare il massimo dell'attenzione della politica per il mondo dello sport, per le sue energie e le sue straordinarie sensazioni". Un’attenzione – c’è da sottolineare – difficile talvolta da focalizzare, lo sport da sempre essendo in difficile equilibrio e perenne “distinguo” tra l’aspetto ludico, educativo, formativo e quello spettacolare, professionistico, talvolta a rischio di infrazioni etiche e non solo.

Dice Bach: "La mancanza di cultura sportiva non è solo un problema dell'Italia ma la vediamo anche altrove, perché l'attività fisica dei giovani sta diminuendo in molti altri Paesi del mondo. Nell'ambito dei colloqui dell'agenda 2020, tutti abbiamo la responsabilità di lavorare e tirar fuori i 'pantofolai' dal divano". "Ho parlato di questo non solo al Coni ma anche ai politici – ha anche spiegato il numero uno del Comitato olimpico internazionale – e a più di 30 capi di Stato e di governo, sottolineando questo punto, una delle voci più importanti della nostra agenda. Siamo in stretta collaborazione con l'Unesco per la promozione dello sport nella didattica delle scuole e il CONI ha assunto il giusto atteggiamento: in questo senso abbiamo visto molti progressi".

Il presidente del CONI, Giovanni Malagò, ha esaltato la centralità degli atleti, perché "loro sono l'oro", rafforzando il concetto con la consegna a Sara Simeoni e ad Alberto Tomba del Premio Onesti 2014, come atleti simbolo di un secolo di storia, e ricordando l'importanza della dimensione internazionale del CONI. "Bach è un amico dell'Italia e del CONI, non per questo ci deve qualcosa, ma ha rispetto e considerazione frutto della credibilità conquistata nel tempo. Il futuro dell'Italia si deve collegare ai Cinque Cerchi. Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano e la bandiera olimpica sono nati entrambi nel 1914. Prendo questa coincidenza come un segno del destino che la storia può riservarci se saremo in grado di fare squadra, insieme alla città, al Governo e a lei presidente della Repubblica, che rappresenta l'unità del Paese". Questo concetto, poi, è stato amplificato dal certo non formale discorso di Bach: "Insieme festeggiamo oggi 100 gloriosi anni di ospitalità, di passione, di eccellenza.

E forse potremo ancora vedere qui a Roma un altro capitolo da scrivere nella storia olimpica di questa formidabile organizzazione". Riferimento forse neppure tanto velato alla possibile candidatura dell'Italia, con Roma, ad ospitare l'edizione del 2024 dei Giochi Olimpici estivi: quella del 2020 è stata assegnata a Tokyo, che già ospitò le Olimpiadi del 1964, quattro anni dopo i Giochi di Roma. Staffetta, seppure al contrario, anche stavolta?