Centrale Fies è uno dei luoghi chiave, ormai, della comunicazione e dell'arte in Italia, e non solo. Virginia Sommadossi è la responsabile della comunicazione, se vogliamo essere riduttivi, perché non è certamente solo questo. Ho avuto modo di farle delle domande per conoscerla maggiormente sia professionalmente che come donna. Le sue risposte la descrivono molto meglio di quanto io potrei fare. Buona lettura.

Come spiegheresti Centrale Fies?

Centrale Fies è un centro di residenza creativa e produzione per la performing art e le arti contemporanee, dal 2007 incubatore di sette realtà artistiche tra le quali Francesca Grilli, Anagoor, Marta Cuscunà, Pathosformel, Teatro Sotterraneo (Fies Factory) e da quest'anno vera e propria hub culturale (Fies Core). Da anni luogo di coworking per professionisti e creativi, ad oggi ospita uno studio di architettura, un'illustratrice, un consultancy lab per brand identity, e ancora per qualche mese un temporary concept store sull'Animal Spirtis ideato da Mali Weil. Il progetto Centrale Fies ha trovato spazio in una centrale idroelettrica dei primi del novecento grazie a un'azienda illuminata, la Hydro Dolomiti Enel, ed è proprio lì dentro che nasce il tutto: opere, performance, concept, imprese culturali, progetti, che poi vengono esportati in tutto il mondo. Punta dell'iceberg di tutto questo muoversi è un festival estivo giunto quest'anno alla sua 34esima edizione, SKILLBUILDING il titolo di quest'anno (ogni anno cambia) dal 24 luglio al 2 agosto a Dro, in uno dei posti più selvaggi del Trentino. Dall'anno scorso anche un' importante novità: un premio dedicato alla performance in collaborazione con Viafarini DOCVA, Milano, che quest'anno vedrà in giuria, tra gli altri, Giorgio Agamben, Antonio Marras e Cristiano Seganfreddo. La novità di quest'anno risiede nell'apertura del bando non solo a performance di matrice prettamente teatrale o performativa ma anche a flash mob, pratiche aperte all'attivismo e politically engaged, experience design, fashion design e urbanismo relazionale. Insomma, Centrale Fies è un luogo fisico ma anche un progetto in continua evoluzione dove convergono molte, moltissime cose.

Quali progetti e collaborazioni porti avanti?

Molteplici, tra le più importanti una collaborazione perenne ma mai scontata col fotografo Dido Fontana. Da anni ho un filo diretto con Giovanni De Pol, di Dead Meat, senza il quale non riuscirei a rielaborare la metà delle cose che vedo; è una sorta di spirito guida con cui collaboro dal 2010. Seguo poi particolarmente da vicino tutti i progetti che nascono e si sviluppano a Centrale Fies ma dando a ognuno un apporto differente. In questi mesi, per esempio, sto studiando e lavorando in team con Mali Weil, una crew che viene tra Trento, Fies e Berlino, che persegue una ricerca e un’esplorazione del contemporaneo dal punto di vista sociale, politico, economico, urbano. Con loro, tra le altre cose, stiamo elaborando un progetto di "place branding" per un quartiere speciale della Città di Trento. Assieme al gruppo residente di Fies (produzione, organizzazione, direzione) sto invece facendo ricerca per un nuovo concetto di hub culturale che possa aderire al meglio a questi tempi veloci e spaventosi. A breve rifonderemo anche Fies Factory: l'incubatore di artisti verrà aperto anche a curatori, designer, filosofi, teorici della performance, illustratori, architetti, graphic designer, storyteller crossmediali e tanto altro... non è un caso che il nuovo claim sia "A NEW COLLECTIVE HUMAN IMPACT".

Di cosa ti occupi nello specifico?

Fino a un anno fa ti avrei detto con un certa sicurezza "mi occupo dell'identità visiva di questo posto". Oggi il mio ruolo qui dentro sta cambiando, con tutte le voglie e le paure del caso...

Credi che ci sia ancora, per le donne, una "segregazione di genere", nel lavoro, come risulta da un'indagine europea svolta nell'appena passato 2013?

Sì. Credo che non se ne parli abbastanza solo perché non tutte la viviamo. Io non mi sono mai posta il problema personalmente, ma mi pare evidente che un certo tipo di cultura allargata, anche qui, in Europa, tenda a relegare certe occupazioni alla sfera femminile. Temo ci siano anche gap salariali che solo un'analisi accurata e ben raccontata potrebbe mettere in luce per far partire una riflessione collettiva.

Il tuo essere donna ti ha creato difficoltà o, al contrario, ti ha favorita nel tuo lavoro?

Se ho avuto facilità o difficoltà nella vita lavorativa non è mai stato per una questione di genere, ma questo vuol dire che sono privilegiata e non che la mia sia "la realtà" che vige per tutte.

Qual è il tuo rapporto con le donne in genere? E' vero quel che si dice, che le donne sono nemiche di loro stesse?

Sono "reversa" quindi, a partire dalla coda, la mia risposta è Sì. Quanto al resto: mi piace il femminile perché ho una parte "maschia" piuttosto sviluppata (o meglio, caratteristiche che la società definirebbe così). Ne sono naturalmente attratta. Questo mi ha sempre tenuto lontana dalle invidie o dalle competizioni tout court. Mi spiego: se una donna è particolarmente brillante, intelligente, bella adoro starle vicino, ne rimango incantata. Credo dipenda anche dal fatto che istintivamente mi reputo "femmina" più che "donna", un paradigma diverso. Ho anche una capacità di empatia piuttosto forte e un insegnamento di mia madre credo mi abbia reso in qualche modo più attenta ai pregiudizi in certe circostanze: una volta, in adolescenza, durante un discorso su delle compagne dissi qualcosa di decisamente sconveniente su una di loro. Non ricordo il perché, molto probabilmente era solo una questione di linguaggio, ma ricordo che lei con una calma orientale mi spiegò che non solo non avevo nessun diritto di appellarla in quel modo, ma che in effetti non ce n'era nemmeno motivo, perché sarebbe stato come marchiare con un termine socialmente negativo una caratteristica di vivacità o semplicemente proiettare la visione della società su di lei, su di una persona in carne e ossa. Ancora oggi quando sento qualcuno fare commenti su una donna legati all'atteggiamento o al modo di vestire, penso subito che abbia una visione offensiva e distorta della vita, in generale. Uomini o donne che siano.

Tu vivi il mondo dell'arte e della comunicazione, aspetti della cultura molto ampi che coinvolgono un pubblico sempre maggiore. Qual è il tuo parere sulla possibilità di attirare l'attenzione su un evento o un prodotto utilizzando il corpo femminile come esca? La cosiddetta "cosificazione" della donna.

Se fossimo al bancone del bar come due cowboy, io e te con una birra in mano, ti direi "la cosificazione della donna è superata! Ma basta! Ma poi che noia". E poi continuerei "dubito che oggi un uomo possa scegliere un brand perché attratto da una figura di femmina attraente, mi pare un retaggio anni '50 che si è trasformato in convenzione pubblicitaria... Mi chiedo se il cervello di qualche maschio ogni tanto faccia confusione tra una testimonial e un oggetto tanto da pensare a un cavatappi per eccitarsi maggiormente in un momento topico. Ma credo di no. E se sì, sarà certamente per un motivo più profondo che non andrò a indagare ma che sosterrò comunque con tutto il cuore." Ma non siamo (ancora) a quel bancone. Quindi. Quando si cerca di fare un'analisi importante su queste tematiche troviamo da un lato chi minimizza e pensa che sia tutto "normale" e non modificabile e dall'altra un pensiero altrettanto basico che vorrebbe demonizzare e censurare ogni immagine, con dei parossismi tanto buffi quanto pericolosi. Forse è la lettura all'immagine che andrebbe insegnata, più che la censura applicata. Di arte e di creatività non voglio parlarne: per me deve essere totalmente libera. Punto. Non accetto altre ipotesi. Qualsiasi forma racconti. Se si parla di pubblicità, invece, è una questione molto più complessa: "everything is about sex except sex", la si potrebbe riassumere così. In pubblicità l'uso del corpo femminile erotizzato non è altro che uno strumento per far sì che il desiderio del corpo venga associato al desiderio dell'oggetto. Ma se è vero che in realtà nulla ha a che vedere con "quel corpo", è anche vero che una reiterazione stereotipata e spesso grottesca della femminilità (che in particolare nel nostro paese è stata stigmatizzata grazie all'immaginario "berlusconiano"), nuoce al ruolo sociale e mostra un ventaglio decisamente limitato e riduttivo del femminile. Questo per dire che se la pubblicità abbandonasse certi stereotipi sessisti il mondo sarebbe così, a prescindere, più bello perché più vario, ma credo anche che sarebbe un peccato scordarsi o omettere nel ventaglio del femminile anche qualcosa di molto simile alla vituperata stereotipizzazione di oggi. Insomma non cancellerei tutte le donne attraenti o sessualizzate dalla pubblicità, ma creerei invece molte più occasioni affinché anche altro venga rappresentato. Questo vale anche per la stereotipizzazione dei lavori. Lì andrei a insistere direttamente sulle leggi: esiste una legge che non permette ai pubblicitari di fare la comparazione tra prodotti? Ok. Allora che se ne faccia anche una dove a pulire casa non è sempre e solo o uno studente senza mamma o una donna. Che il CIF lo usiamo tutti.

Cosa pensi del femminismo?

Che andrebbe studiato a scuola per capire un'importantissima parte della storia della nostra società. Che sia stato necessario, importante ed essenziale negli anni '70. Oggi non saremmo quello che siamo se qualcuno non avesse prima di noi lottato per dei diritti umani imprescindibili che attorno a noi, proprio di questi tempi, non sembrano più così scontati. Alcuni passaggi fondamentali sono stati certamente velocizzati grazie all'azione politica di un gruppo di donne e uomini coraggiosi e moderni che credevano fermamente nella parità dei generi. Oggi, se fosse per me, non parlerei più di "femminismo" o meglio lo lascerei per definire un periodo storico e politico di allora, più che per un movimento contemporaneo, perché alcune cose sono cambiate (anche se non tutte, purtroppo) e rischiamo di perderci in un pensiero che andrebbe aggiornato nel profondo. Devo ancora leggerlo un pensiero convincente, intelligente e delicato che abbracci una nuova modalità di affrontare certe problematiche di genere, che come ben sappiamo sono radicate non solo in una società, ma in una cultura. Ogni volta che tento di avvicinarmi a qualche movimento femminista ho l'impressione che all'interno ci sia qualcosa che non piace per nulla, una sorta di chiusura molto simile a quella delle sette religiose, un'intransigenza che lede alla mia personale libertà, e me ne allontano. Forse oggi non si dovrebbe parlare di contrapposizioni tra uomini e donne, ma andrebbe cercato un percorso verso una parità dei genere insieme, senza distinzione di sorta. Susanna Sara Mandice, per esempio, una curatrice che da qualche anno vive in Trentino, ha attuato questa modalità in un exhibit-progetto "cose da uomini" (Galleria civica di Bolzano) che parla della violenza di genere, ma attraverso le opere di artisti uomini con alle spalle una sorta di free school all'interno del processo creativo, con momenti di riflessione organizzati. Ho visto i suoi artisti prima e dopo quest'esperienza, ed è stato emozionante confrontarsi con loro. Marta Cuscunà, un'attrice e regista che da qualche anno lavora nella crew di Centrale Fies, attraverso il teatro sceglie di raccontare momenti storici o sociali importanti del nostro paese in cui le donne sono effettivamente le protagoniste, ma che il racconto orale e la nostra storia scritta paiono aver dimenticato. Anche questo è un modo.

Ma ti faccio un altro esempio, ancora più quotidiano. Conosco casualmente un'ex alunna di Benedetta, la mia amica più cara che è insegnante di letteratura alle scuole medie e superiori da dieci anni, che mi dice "ah che ricordi, è tosta quella ragazza, incredibile! Una femminista pura! Andava sempre a cercare scrittrici donne che i libri di testo non menzionavano affatto per darci una visione più completa e reale possibile di quel periodo letterario". Ecco. Benedetta non si è mai professata "femminista" ma durante le sue lezioni ha creato non solo dei dubbi sul fatto che spesso nella storia la figura femminile sia stata relegata e nascosta dal sistema, ma anche che questo abbia dato meno possibilità e opportunità alle donne di emergere. E questo facendo "semplicemente" e scientemente, il suo lavoro. Non male, eh? Non sono certa che "il femminismo" così come è stato negli atti settanta debba ripetersi con il medesimo linguaggio, ma sono più che certa che andrebbe inserito nei programmi scolastici per far sì che non se ne perda mai traccia e che le battaglie di allora ridiventino spunto per essere più coscienti e meno vittime della stereotipizzazione di genere e di tanti altri piccoli o enormi mali che ne conseguono.

Cosa dovrebbe cambiare, secondo te, per poter parlare di una vera e propria uguaglianza tra generi?

Il rispetto profondo degli uni per gli altri. TUTTI.

Come ti immagini "da grande"?

Qualche tempo fa mi è stata fatta la stessa domanda. Eravamo in macchina e stavamo andando a pranzo. C'era un sacco di sole. Non ch'io lo sappia con estrema lucidità, il perché non voglia mai rivelare questa parte di me. Istintivamente sento odore di pericolo e sto zitta. Forse è perché oggi ho 35 anni e mi rendo conto che mai me li sarei immaginati così, e allora forse preferisco non immaginarmi da grande, ma diventarlo. Con tutta la voglia e la paura del caso.

Per maggiori informazioni: Centrale Fies www.centralefies.it