La sensazione di essere una straniera in questo mondo mi accompagna fin da bambina, come se fossi stata catapultata qui da un’altra dimensione, disorientata, estranea, riluttante agli schemi di pensiero della società o della famiglia e per questo spesso appellata come complicata, ribelle. Questa percezione è comune in moltissime donne e bisogna avere molto coraggio e fiducia in se stesse per liberarsi dalle etichette e affermare la propria concezione della vita.

Non stupisce quindi che per gli uomini la donna sia un essere incomprensibile, misterioso, impenetrabile! Ne sono affascinati ma stentano a comprenderla, possono solamente arrendersi al mistero che nascondono. La dimensione ignota delle donne suscita o ammirazione o paura, ed è proprio quest’ultima che nel Medioevo ha condotto gli inquisitori a bruciarle vive al rogo perché considerate delle streghe, un atto che simboleggia la distruzione dell’essenza sconosciuta e inquietante delle donne per evitare di doversi confrontare con essa.

La straniera è un archetipo, rappresenta colei che ricerca la verità, l’autenticità interiore, la conoscenza del proprio potere spirituale ed è proprio il confronto con questo archetipo che permette alle donne di conoscersi a fondo ed essere una ricchezza portando nel mondo qualcosa di nuovo, che siano modelli di pensiero, comportamenti, idee…

Le donne consapevoli della loro identità ed essenza non si pongono in opposizione all’uomo, come purtroppo è accaduto con il femminismo, un fenomeno che, nella seppur legittima spinta verso la parità di diritti, ha però provocato una sorta di antagonismo, una ‘invidia del pene’ verso il potere dominante degli uomini con il conseguente allontanamento delle donne dal principio femminile.

Questo atteggiamento, dal canto suo, ha reso insicuri gli uomini, che spesso vorrebbero mantenere il ruolo tradizionale della donna come madre e moglie senza conceder loro un cammino indipendente, soprattutto perché in questo modo dovrebbero affrontarlo pure loro, mettendosi in discussione e questo nella maggior parte dei casi finisce per terrorizzarli.

Nascono pertanto conflitti tra ricerca di liberazione interiore femminile e l’istinto maschile di conservazione del proprio ruolo antico, se possibile prevaricante. Da questo si determinano sfide nella coppia invece che perseguire obiettivi di integrazione, equilibrio e armonia.

Ed è quello che è accaduto col movimento femminista, che ha condotto spesso la donna da un lato ad autocommiserarsi, dall’altro ad autocompiacersi e magari ad accentuare la conflittualità con il mondo maschile, come è evidente in questa citazione di Charlotte Witton (politica canadese) femminista:

Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà. Per fortuna non è difficile.

Piuttosto che disperdere la propria forza vitale in sterili modalità competitive o di dipendenza, la donna dovrebbe innanzitutto essere consapevole delle sue debolezze e del motivo che l’ha condotta a sentirsi schiava e sottomessa all’uomo.

I due principi della creazione sono l’agire e il lasciare che sia e devono interagire armoniosamente affinché il risultato dell’atto creativo sia costruttivo, ogni disequilibrio tra i due principi porta invece un esito distruttivo.

Il principio maschile, attivo, è l’azione, il mettere in movimento, l’andare verso, chiama in raccolta le forze creative e le usa per raggiungere un obiettivo, rimuovendo ogni ostacolo.

Il principio femminile è il ‘lasciare che sia’, la ricettività, l’aspettare con fiducia e pazienza che giungano i risultati attraverso il processo di maturazione della creazione, è l’incubazione, la gestazione fondata sulla resa al divino, sulla fede nella benevolenza della vita. Ed è per questa qualità che la donna è l’intermediaria tra le dimensioni, ricordo che un faraone non poteva regnare senza una regina, una donna invece poteva farlo da sola come Cleopatra.

Questi due principi sono presenti sia negli uomini che nelle donne, agiscono nella psiche e vengono espressi entrambi nelle donne e negli uomini consapevoli, sani e realizzati. Ogni distorsione tra i due principi conduce alla disarmonia, al conflitto, alla sofferenza.

Quando i due aspetti del dualismo, apparentemente opposti, si riconciliano procedono verso una sola meta. È scritto nelle Upanishad, testi religiosi e filosofici indiani, che quando un uomo e una donna si amano ognuno riconosce nell’altro il proprio Sè superiore, l’atman, che è unitario ed è così che si realizza la liberazione dalla schiavitù dei sensi.

Così come l’opera alchemica è la realizzazione dell’androgino, frutto della fusione di Adamo ed Eva. La questione è quindi non la ricerca della metà ma intendere l’altro come complemento già integro, laddove uno più uno fa Uno.

Ovviamente tale processo d’integrazione della dualità viene ostacolato dalle forze caotiche che cercano di impedire all’essere umano di liberarsi da questo inferno e la misoginia in questo senso è un atteggiamento ‘tecnico’ che ha proprio questo scopo. La donna completamente purificata dalle scorie della materia è capace di veicolare l’energia divina, di assolvere alla funzione pentecostale, e può essere una vergine o una prostituta.

Il perfetto equilibrio tra i due principi però non può essere frutto di un atto intellettuale ma soltanto dell’atto interiore di amare, di liberare l’altro sesso dalle catene dell’odio, della diffidenza e dell’ostilità.

Il cerchio della vita è un alternarsi dell’entropia, quel caos da cui tutto proviene e dove tutto è possibile, e della sintropia, la forza che mette in ordine, si tratta perciò di coniugare il bilanciamento tra le forze.

Il mondo nuovo si realizzerà quando entrambi i sessi si lasceranno guidare dall’amore che conduce alla verità, creando nella complicità, nella comprensione, nella collaborazione, nel rispetto reciproco.

Ed allora non si sentiranno più degli stranieri in questo mondo ma Uno con esso.