Il 3 novembre 1957, la notte era più fredda del solito sulle steppe del Kazakistan. Il cielo, in parte nuvoloso, lasciava ampi spazi allo sfolgorante tappeto di stelle fiammeggianti, che rischiaravano le brume mattutine, sebbene l’alba non fosse ancora vicina.

Sono sempre misteriose e traboccanti di magia, le albe invernali sulle sterminate pianure che circondano la base di Baikonur. Soprattutto quando la desolazione circostante si rischiara lentamente, tingendosi d’oro all’avvicinarsi dell’aurora, e il gelo notturno lascia libero l’aspro terreno indurito, dove la vita selvaggia torna a riprendere i suoi ritmi millenari.

Ma in quelle ore mattutine non si viveva alcun incantesimo al cosmodromo, perché nessuno aveva tempo di sognare. Affaccendati in mille compiti apparentemente misteriosi, decine di uomini si muovevano con una maestria quasi solenne, come sacerdoti ai piedi di un grande obelisco d’acciaio, la cui sommità puntava con atto di sfida a quelle stelle serotine che stavano per svanire. Presto si giunse al culmine delle attività. Tecnici e ingegneri fecero gli ultimi controlli, e infine chiusero la capsula dove era stata sistemata una piccola innocente cagnolina, presa dalle periferie di Mosca. Si chiamava Ricciolina, ma tutto il mondo l’avrebbe conosciuta con il nome di Laika.

Per motivi medici sarebbe dovuta partire a digiuno, ma una dottoressa, impietosita, infranse il protocollo offrendole un poco di cibo e dandole un’ultima carezza. Chiusa nell’oscurità, riconobbe i familiari ronzii e ticchettii degli strani congegni che la circondavano. Rassicurata, abbaiò un paio di volte, e poi si accucciò come le era stato insegnato, attendendo pazientemente, come le volte precedenti, che la venissero a liberare.

Ma questa volta non si trattava di una simulazione, e quando il rombo infernale dei motori iniziò a salire dal basso, squassando il contenitore pressurizzato che l’ospitava, il suo piccolo cuore iniziò a battere furiosamente. Sopraffatta dal terrore e col respiro affannoso, mentre una forza invisibile mai provata prima la schiacciava sulla cuccetta, Laika salì nel cielo notturno che sovrastava le fredde pianure del Kazakistan. Le fiamme del razzo illuminarono la steppa, per poi scomparire dietro un banco di nubi, lanciando la tremante piccolina dove nessun altro essere vivente era mai andato prima. In orbita intorno alla Terra, trecentocinquanta chilometri sopra le strade di Mosca, la dove aveva vissuto abbandonata, ma libera. Accaldata, stretta e terrorizzata, Laika si sentì improvvisamente senza peso, e ancor più frastornata iniziò ad abbaiare. I disperati latrati giungevano a terra via radio, dove gli addetti alle comunicazioni ricevevano i segnali provenienti dallo Sputnik, registrando i parametri di ogni sua reazione.

Affamati di conoscenza, gli scienziati sembravano insensibili alle reazioni disperate di Laika. Cercavano risposte ai loro dubbi. Sapere se un essere vivente poteva sopravvivere nel Cosmo; come avrebbe reagito all’assenza di gravità; essere certi che non sarebbe impazzito; e che le radiazioni spaziali non lo uccidessero appena giunto in orbita. Il volo umano nello spazio era alle “porte”, e si dovevano trovare certezze. Se i sentimentalismi non erano permessi ai medici e agli ingegneri, gli addestratori, al contrario, provavano una sincera frustrazione nell’aver mandato la cagnolina incontro alla morte. Il loro compito, infatti, non consisteva solo nell’insegnare loro cosa fare, come abituarsi alle tute, agli spazi stretti o ai sistemi igienici, ma anche occuparsi di loro accudendoli, e premiandoli quando si comportavano bene, con bocconcini appetitosi che questi poveri randagi mai avrebbero gustato sui marciapiedi di Mosca.

Tutto ciò faceva nascere nei cani un sentimento di fiducia nei confronti degli addestratori, che a loro volta non potevano evitare di affezionarsi a loro. E sebbene fossero normalmente utilizzati per sperimentare le tecnologie che un giorno avrebbero consentito a un uomo di volare nello spazio, molti si rattristavano al pensiero di quali rischi correvano nel nome del progresso e della propaganda.

Sopportare questo sentimento per Laika per alcuni fu particolarmente difficile, perché sapevano che sarebbe andata incontro alla morte. Uno di loro, in particolare, non riusciva a nascondere la sua tristezza. Si chiamava Vladimir Yazdovsky, ed era uno degli addestratori appartenente al “gruppo canino” del dott. Oleg Gazenko, responsabile del "piano animali spaziali” dell'Urss. Vladimir si era molto affezionato a Laika, tanto che, preso dal rimpianto, la portò di nascosto a casa sua pochi giorni prima del lancio, perché, come in seguito ammise: “Volevo fare qualcosa di carino per lei prima del volo”. Il giorno prima del lancio, la cagnetta fu prelevata dalla cuccia, pulita, e dopo averle collegato sensori e dispositivo igienico, la vestirono con una piccola tuta spaziale. Infine, con l’aiuto di altri colleghi, Vladimir la sistemò all’interno della cabina, che per motivi di peso era così piccola da consentirle solo pochi centimetri di movimento.

Il 3 novembre alle 5:30 del mattino, la nave decollò sottoponendo la cagnolina a una forza d’accelerazione che raggiunse livelli di gravità cinque volte superiori a quelli normali. A lancio avvenuto, e sentito che era in orbita, Vladimir ritornò nella sala addestramento. Qui si avvicinò alla cuccia di Albina, la riserva di Laika, e iniziò ad accarezzarla. Lei ringraziò leccandogli la mano, inconsapevole che sebbene fosse stata selezionata per il volo, avendo avuto da poco tre cuccioli, nessuno degli addestratori se l’era sentita di mandarla a morire.

Non avendo un sistema di recupero, gli scienziati avevano calcolato che Laika sarebbe morta con l’esaurimento dell’ossigeno. Con la cabina satura di CO2, la cagnetta avrebbe perso conoscenza e poi sarebbe morta dopo essersi addormentata. Una morte indolore entro quindici secondi, dopo sette giorni nello spazio. Ma qualcosa non funzionò. Una volta in orbita, la capsula non si sganciò dal secondo stadio, impedendo al sistema di ventilazione di entrare in funzione. Alla quarta orbita la temperatura all’interno dell’abitacolo aveva già superato i novanta gradi, e Laika morì per l’eccessivo calore. Sebbene ormai circolasse la voce che fosse destinata a morire, la notizia della tragica fine fu tenuta nascosta al mondo intero, e fu così che lo Sputnik 2, con il suo triste carico, continuò a orbitare per altri cinque mesi trasmettendo a terra inutili segnali, prima di rientrare fiammeggiante nell’atmosfera e disintegrarsi.

La vita di Laika valeva questo sacrificio? No, perché solo pochi mesi di tempo in più avrebbero permesso il perfezionamento del sistema di recupero, ma la politica imponeva i suoi ritmi, e Laika fu sacrificata sull’altare della Guerra Fredda. Il suo destino si compì dopo il successo dello Sputnik 1, che aveva fatto la storia diventando il primo oggetto costruito dall'uomo ad aver raggiunto l’orbita terrestre, il 4 ottobre 1957. Galvanizzato dal trionfo, subito dopo il lancio, il Segretario del Partito Comunista dell'Unione Sovietica Nikita Krusciov, telefonò all’ingegnere capo per i voli spaziali Sergei Korolev, per complimentarsi e chiedergli di ripetere l’impresa in occasione dei prossimi festeggiamenti del 40º anniversario della rivoluzione bolscevica, che si sarebbero tenuti il 7 novembre.

Per celebrare la Russia, quindi, il Premier sovietico voleva un altro lancio. Ma non uno qualsiasi, doveva essere qualcosa di clamoroso, un nuovo primato da esibire al mondo occidentale, come inviare il primo essere vivente nello Spazio. Gli addetti alla realizzazione dei missili accettarono con entusiasmo il nuovo incarico. Ora avevano tutti i mezzi e i rubli per dedicarsi senza intoppi ai loro progetti più ambiziosi, ma avevano poco tempo per realizzare appieno la richiesta di Krusciov. Usando ciò che avevano a disposizione, i tecnici guidati dalla mano esperta di Korolev, iniziarono a costruire un nuovo satellite di forma conica, grande abbastanza da contenere una cabina pressurizzata, sulla cui sommità montarono il modulo di riserva dello Sputnik 1, una sfera di 58 cm di diametro e 84 kg di peso. Così realizzato, il peso totale dello Sputnik 2 arrivò a oltre 508 kg, un vero gigante per l’epoca.

Fin dall’inizio si decise che il passeggero sarebbe stato un cane, perché già da tempo l’URSS li utilizzava per studiare le reazioni di un essere vivente alle sollecitazioni di un lancio, e a brevi periodi di assenza di peso. Questi voli però duravano solo pochi minuti senza mai raggiungere l’orbita, per poi rientrare a terra alla fine della parabola ed essere recuperati, con fortune alterne, grazie a un rudimentale ma efficace sistema di paracadute. Un apparato che però non era adatto a un volo orbitale, e considerato che non vi era abbastanza tempo per perfezionarlo, il volo per il passeggero sarebbe stato di sola andata. Un volo che per ironia della sorte, se da un lato prometteva una morte certa, dall’altro avrebbe offerto la prova che lo spazio era vivibile.

A oltre sessant’anni dalla morte di Laika e dall’infuocata fine della sua nave, l’innocente sacrificio di questa piccola pioniera, continua a trovare nuova vita nella cultura popolare, e spazio nei cuori di chi ama gli animali. Un impatto culturale che d’allora si è diffuso inarrestabile. Oggi, la sua storia continua a vivere in molti siti web, video su YouTube, poesie e libri per bambini. Ma anche al cinema e nella musica.

Fra le pellicole dedicate a Laika e i suoi compagni spaziali, citiamo il film d'animazione russo in computer grafica 3D, “Belka e Strelka cani stellari”, diretto da Inna Evlannikova e Svyatoslav Ushakov. E “Space Dogs” di Elsa Kremser e Levin Peter, presentato al Locarno Film Festival del 2019, che partendo dalla storia di Laika arriva ai cani randagi che popolano la città di Mosca, lanciando una riflessione sulla degenerazione di quella che è stata una superpotenza che ha gareggiato nella corsa allo spazio, e sul rapporto, contraddittorio, tra uomini e animali. Anche il mondo della Marvel ha celebrato i cani spaziali sovietici, con la presenza del cane Cosmo nel film “Guardiani della Galassia Vol.3” del 2023.

Diversi cantanti folk e rock in tutto il mondo le hanno dedicato canzoni. Un gruppo indie-pop inglese ha preso il suo nome, e una band finlandese si è chiamata “Laika and the Cosmonauts”. I romanzieri Victor Pelevin, il giapponese Haruki Murakami e la britannica Jeannette Winterson, ne hanno raccontato nei loro libri, così come il fumettista britannico Nick Abadzis.

Nel 2015, nei pressi di una struttura di ricerca a Mosca, è stata inaugurata una statua commemorativa di Laika in cima a un razzo. E quando nel 1997 la nazione ha onorato i cosmonauti caduti, erigendo una statua presso l'Istituto Biomedico a Star City, l'immagine di Laika poteva essere vista in un angolo del monumento. Anche la NASA ha commemorato Laika, dedicandogli un cratere marziano, durante la missione di “Opportunity” nel marzo 2005. Nel saggio dedicato da Amy Nelson ai cani spaziali, Beastly Natures: Animals, Humans and the Study of History, l’autrice paragona l’importanza di Laika ad altre celebrità del mondo animale, come l'elefante Jumbo del “Barnum and Bailey Circus” della fine del XIX secolo, e il campione di cavalli da corsa purosangue Seabiscuit, che sollevò lo spirito di molti americani durante la Grande Depressione. La Nelson sostiene che seppur mandandola a morte certa, l'Unione Sovietica ha trasformato Laika in "un simbolo duraturo di sacrificio e realizzazione umana".

Un sacrificio che non conosce giustificazioni, ma se non altro l’ha resa idealmente immortale alla memoria della nostra distratta umanità, così come non si devono scordare i suoi compagni, i cui nomi non sono mai passati alla storia, come Malyshka, "Piccolina"; Lissichka, "Piccola volpe". O soprannomi scherzosi come Kussachka, "Una che morde tutti"; Modnitsa, “Modaiola”. O appellativi di battaglia come Otvazhnaka, “Coraggiosa”. Nomi di soldati a loro insaputa arruolati nei vicoli di Mosca. Bastardini non per scelta ideologica, ma perché più docili e resistenti dei loro cugini di razza. Piccole innocenti bestioline, che sacrificate nel nome del progresso e della scienza, hanno permesso all’uomo di colonizzare lo Spazio.