Diverse sono le definizioni di restauro elaborate nel tempo da diversi studiosi, tra le più puntuali quella di Cesare Brandi (1906-1988) che nel suo libro Teoria del restauro, pubblicato nel 1963, scrive: «Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro» e successivamente enuncia il cosiddetto secondo principio del restauro: «Il restauro deve mirare al ristabilimento dell’opera d’arte, purché ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo».

Più genericamente, per restauro si intende qualsiasi intervento volto al ripristino di un prodotto dell’attività umana, restringendo il campo d’intervento ad un “prodotto dell’attività umana” e tralasciando quelli della sfera fisica o biologica. Si avrà quindi un restauro relativo a prodotti industriali e un restauro relativo ad opere d’arte, tuttavia mentre nel primo caso il restauro avrà lo scopo di riportare l’oggetto alla sua funzionalità originaria, nel secondo il concetto primario riguarderà l’opera d’arte in quanto tale, con il suo valore estetico e documentario, ovvero un oggetto che potrebbe anche avere valore funzionale, come nel caso delle architetture. Si può comprendere quindi come il prodotto dell’attività umana a cui si dà il nome di “opera d’arte”, lo è grazie ad un riconoscimento che si manifesta nelle coscienze: l’opera d’arte è quel prodotto umano universalmente riconosciuto come tale dalla coscienza culturale, non richiedendo criteri prestabiliti di giudizio. Di conseguenza solo quell’oggetto cui si attribuisca valore artistico è degno di essere salvaguardato, conservato e restaurato, come sostenitore di valore culturale e testimonianza del passato, per essere tramandato ai posteri.

Istanza estetica e istanza storica

L’opera d’arte possiede una duplice istanza: quella estetica che si riferisce all’artisticità per cui l’opera è “opera d’arte”, e quella storica, tramandata nel tempo, come prodotto umano di un determinato luogo e di un determinato periodo. Dal contrapporsi di un prodotto di un dato momento storico ed estetico ad un restauratore, con la sua cultura, storia e sensibilità nascerà l’operazione di restauro volta a conservare e lasciare l’opera d’arte, sia nel suo significato originario che nella sua evoluzione storica, alle future generazioni. L’opera d’arte realizzata dall’uomo in modo consapevole e non, può essere il prodotto di una sola persona che si esprime in un momento qualsiasi della sua vita, o di vari uomini, in un periodo molto più lungo, come accade frequentemente in architettura. Al di là del suo autore, successivamente alla creazione, l’opera rimane, irripetibile e immutabile, ed è di tutti e di nessuno.

La valutazione critica dell’opera d’arte del passato può, tuttavia, modificare continuamente: dimenticata dai contemporanei, può essere acclamata secoli dopo, per poi essere nuovamente svalutata e abbandonata e poi ancora glorificata. Sebbene l’opera d’arte rimanga sempre la stessa, questi mutamenti di valutazione dipendono dal fatto che gli uomini venuti successivamente alla sua realizzazione sono cambiati, sono cambiati i modi di giudicare, valutare, sentire i beni del passato. Il modo in cui si guardano le singole opere varia continuamente, si tratta del risultato dello sviluppo storico della cultura e soprattutto della sensibilità estetica. Basti pensare, che lo stesso Michelangelo Buonarroti è stato considerato, a seconda dei periodi, maestro eccelso o artista poco più che mediocre. È esistita persino, come estrema situazione, la damnatio memoriae di uomini e opere d’arte.

L’opera del passato, sia pittura, scultura, architettura o combinazioni di esse, ci è pervenuta attraverso il trascorrere lento del tempo e durante questo periodo ha subito alterazioni causate da processi fisici, chimici, meccanici e interventi umani che conseguenzialmente ai cambiamenti di valutazione hanno aggiunto, ridotto, modificato l’opera d’arte. Questa comunque esiste se chi l’ha ereditata ne riconosce il valore, facendola rivivere culturalmente e spiritualmente per gli altri e per se stesso.

Origine ed evoluzione del concetto

Nel tempio di Abou-Simbel nella Nubia, già nel secondo millennio a.C., Sethi II, faraone della XIX Dinastia, fece porre a sostegno di un braccio di una colossale statua di Ramses II alcune assi di pietra e un’iscrizione attestante il suo intervento. Siamo davanti a un moderno esempio di restauro, nel quale si evidenzia non solo la coscienza della necessità dell’intervento, ma anche la precisa volontà di documentarlo. Non v’è dubbio però, che questo e altri rari interventi, costituiscono per l’antichità isolate eccezioni.

Nel mondo romano, ad esempio, come già in quello greco, il restauro veniva normalmente inteso e attuato come profonda innovazione del monumento, se non addirittura come rifacimento radicale: più che la sacralità del monumento veniva considerata, infatti, la sacralità del luogo, per cui l’originario era, nella massima parte dei casi, demolito e ricostruito in forme più grandiose e complesse e nello stile del momento. Il Tempio di Giove Capitolino venne più volte riedificato nello stesso luogo; il Tempio di Castore e Polluce, eretto nel 484 a.C., venne ricostruito almeno tre volte, l’ultima sotto Augusto; la Curia Senatus, tradizionalmente eretta da Tullio Ostilio, venne rifatta da Silla, da Cesare e Diocleziano.

Nell’alto Medioevo, l’affermarsi del potere temporale della Chiesa determinò l’interruzione della manutenzione dei monumenti pagani, che anzi divennero vere e proprie cave di marmo, e solo nei casi più fortunati essi furono riadattati come edifici di culto. A Roma le chiese di Santa Maria in Aracoeli, San Crisogono, Santa Maria in Trastevere, e nella maggior parte dei luoghi sacri dell’epoca, s’impiegano colonne tratte da edifici classici. La chiesa di Santa Maria Nova viene costruita nel X secolo con le pietre prelevate nel prospiciente Foro.

La più antica legislazione sulla conservazione dei monumenti risale al 1462, la bolla Cum albam nostram Urbem di Pio II, il coltissimo umanista E. S. Piccolomini, con la quale comincia a farsi strada l’idea della tutela dei monumenti delle epoche precedenti, anche se, come sempre nel periodo umanistico, limitatamente alle opere dell’antichità classica. Il Piccolomini stesso, infatti, non esitò a far abbattere dall’architetto Rossellino numerosi monumenti, tra cui la chiesa romanica di Santa Maria, nella sua Pienza, per la costruzione della famosa piazza e del duomo.

Il nuovo atteggiamento del Rinascimento nei confronti dell’antichità determinò la realizzazione di attente indagini su moltissimi monumenti classici, delle quali ci restano anche numerosi disegni, schizzi e rilievi. A questo rinnovato interesse dei cultori, non corrispose tuttavia un mutamento nell’atteggiamento generale nei confronti dei monumenti antichi, che spesso vennero spogliati completamente dei loro marmi per la costruzione di palazzi e fabbriche imponenti. Nel Rinascimento per ragioni di economia si trasformano stilisticamente edifici medievali, come nel caso della chiesa gotica duecentesca di San Francesco di Rimini trasformata da Leon Battista Alberti (1404-1472) in Tempio Malatestiano. In questo periodo non si rispettano neppure i monumenti classici, che pure risultavano continua fonte di ispirazione progettuale: il Tepidarium delle Terme di Diocleziano a Roma viene trasformato da Michelangelo (1475-1564) nella chiesa di Santa Maria degli Angeli (1563-1566).

Gli scavi di Pompei ed Ercolano

Finalmente nel XVIII secolo tutta una serie di circostanze fortunate, tra cui gli scavi di Pompei ed Ercolano, e il rinnovato fervore di studi sulle antichità egiziane, greche e romane, resero possibili gli studi del Winckelmann, del teorico dell’architettura Francesco Milizia, dell’architetto neoclassico Giacomo Quarenghi, di Gian Battista Piranesi, grazie ai quali una particolare attenzione cominciò ad essere dedicata ai monumenti classici e alla loro conservazione, determinando il sorgere di un moderno concetto di restauro. Il suo atto di nascita si può far risalire al decreto del 1794, con il quale la Convenzione nazionale francese proclamava dopo aver subito la rivoluzione il principio della conservazione dei monumenti.

In Italia la legislazione sul restauro compie progressi significativi durante il pontificato di Pio VII (1800-1823) con l’editto del 2 ottobre 1802 del cardinale Doria Pamphilj che fu il primo strumento operativo completo in materia di Antichità e Belle Arti. Aggiornato da un editto del cardinale Pacca del 7 aprile del 1820 e dal regolamento del 6 agosto 1821, costituì il modello per altre legislazioni europee (a cominciare da quella adattata dal Regno di Napoli il 13 maggio 1822), dando inizio al predominio italiano nel campo del restauro. Fu proprio Pio VII ad iniziare i primi fondamentali restauri ai monumenti archeologici di Roma, tra i quali spiccano quello del Colosseo, dell’Arco di Costantino e dell’Arco di Tito. In questo periodo, il fecondo rapporto tra alcuni architetti neoclassici del valore di Giuseppe Valadier, di Raffaele Stern (1774-1820), di Vincenzo Camuccini (1771-1844), di Luigi Canina (1795-1856) e di Pietro Camporesi il Giovane (1792-1873) da una parte, e di archeologi dall’altra, permise il nascere del “restauro archeologico”, caratterizzato dalla ricomposizione del monumento con i suoi pezzi originari e dalla precisa distinzione tra le integrazioni e le parti originali. Il passo successivo determinante lo compie nel 1944 Roberto Pane il quale ne Il restauro dei monumenti, afferma che «il restauro è esso stesso opera d’arte». Restauro come atto critico e restauro come “atto creativo”, sono i termini di una contemporanea concezione di Renato Bonelli e Giovanni Carbonara. L’opera del restauratore inizia quindi con un’azione critica che si manifesta in un giudizio basato sul criterio di assegnare al valore artistico la prevalenza assoluta in confronto ad altri aspetti, i quali restano secondari e subordinati, per poi diventare un processo creativo.

Tendenze contemporanee

Impossibile segnalare tutti i restauri effettuati recentemente in Italia, tra questi la facciata della basilica di San Pietro effettuato alla metà degli anni Ottanta dall’arch. Giuseppe Zander. Nel delicato e lungo restauro (1988-1998) della chiesa trecentesca di San Pantaleo di Martis (SS), progettato inizialmente dall’arch. Marilena Dander e successivamente dall’arch. Roberto Luciani, volto ad impedire la perdita totale dove oltre all’intervento in anastilosi sulla struttura muraria è stato indispensabile consolidare l’intera collina che stava scivolando.

Sempre in Vaticano per quanto concerne interventi su tipologie storico-artistiche, abbiamo il restauro della Cappella Sistina, opera di Michelangelo, effettuato negli anni 1980-89 da Gianluigi Colalucci, e poi del Giudizio Universale, visibile dall’11 dicembre 1999.

In Castel Sant’Angelo negli anni 1990-1995 l’arch. Roberto Luciani interviene su vari e vasti settori, in particolare nella Rampa Diametrale, Rampa Elicoidale, Cortine d’onore, Sfiatatoi, Camminamenti, Bastioni, Marciaronda, Ingresso Appartamento pontificio, ma anche su tele, armi, divise, stampe, medaglie, mobili. Nel restauro dell’Armeria Inferiore (fine Quattrocento-fine Cinquecento), posta nel Cortile di Alessandro VI Borgia, detto anche Cortile dell’Angelo o d’Onore, porta in luce, con scavi stratigrafici, strutture medievali e uno sfiatatoio romano della rampa elicoidale che copre con cristallo al fine di poter essere visibile dall’alto.

Il terremoto del 26 settembre 1997 causò profonde lesioni alla basilica superiore di San Francesco d’Assisi, con il crollo della volta in due punti e ingenti danni al timpano del transetto: 130 mq di affreschi medievali furono ridotti a migliaia di frammenti recuperati e ricollocati sulle volte.

Il Duomo di Milano è stato restaurato più volte, tra gli ultimi interventi nel 1972 e nel 2003. Sempre a Milano, nel 2014 è stata restaurata la Galleria Vittorio Emanuele II. Nella Chiesa di San Filippo Neri a Genova le restauratrici Valentina Tonini e Annalisa Demelas hanno restaurato nel 2008 il gruppo scultoreo della Pietà di Maria Maragliano (1710-1715). La Sacrestia della stessa chiesa genovese è stata restaurata nel 2019. L’ Acquedotto Claudio a Roma ha subito restauri sia in antico che nel 2010. Sempre nella Capitale alcuni reperti marmorei della Domus Flavia al Palatino sono stati restaurati dall’Istituto Restauro Roma nel 2023.