Il mio nome è Reese Ju Yang. Reese è il mio nome inglese, Ju il mio ming 名 ovvero il mio nome cinese e Yang il mio xing 性, il mio cognome di famiglia. In Inghilterra solo il mio papà Max e la mia mamma Min mi chiamavano Ju 菊. Ju, il mio nome cinese significa fiore di crisantemo. Io ho otto anni, i capelli neri e lunghi fino alla schiena, gli occhi a mandorla e la bocca piccola. Da recenti misurazioni sembrerebbe che io sia alta un metro e venti, ma la mamma dice che ne crescerò ancora almeno altri quaranta. I miei cibi preferiti sono gli spaghetti di riso e il latte al cioccolato.

Un giorno d’estate mia madre decise di fare rientro in Cina, la sua terra natia, dopo tanti anni. Io avevo 8 anni quando, per la prima volta, salimmo su un aereo a lunga percorrenza che partiva da Londra e che volò per 12 ore. Fu un’esperienza indimenticabile.
Quando atterrammo all'aeroporto di Pechino, svolgemmo i controlli e ci trovammo fuori dall'aeroporto, eravamo molto stanchi e ad attenderci c’erano tanti taxi, ne scegliemmo uno molto grande dove potemmo mettere tutte le nostre valigie.
La nostra destinazione era la casa della persona che da sempre desideravo conoscere più di ogni altra: la mia taitai 太太, la nonna.

Fino a quel momento avevo solo visto alcune foto che la ritraevano e avevo sentito la sua voce quando la mamma parlava con lei al telefono. Loro non parlavano quasi mai, perciò io non le avevo mai parlato direttamente. Spesso la immaginavo in tanti modi cercando di dare un volto a quella che per me era una voce dolce, melodiosa e pacata.

Quando entrammo nel piccolo recinto della villetta dove abitava la nonna, la prima cosa che intravidi fu un gatto nero che saltò giù da un albero di frutti e che andò subito a nascondersi. Subito dopo dalla porta d’ingresso vidi avvicinarsi una signora alquanto minuta e carina. Capii subito che si trattava proprio della mia nonna.

La nonna si chiamava Shuer 淑儿 che in cinese significava virtuosa, bella e nel guardala intravidi la sua energia giovanile. Come la mamma aveva i capelli neri, lisci e lunghi fino alle spalle, ma diversamente da lei il suo sguardo era vivo e rilassato. Indossava un bellissimo abito di lino verde con dei fiori e i suoi movimenti trasmettevano molta calma e serenità.

La sua casa era come un tempio luminoso e tranquillo. Appena entrammo ci accolse un profumo di baozi 包子 (panini ripieni) appena cotti e un’aria di fresco e pulito in tutta la casa.
L’abitazione era circondata da fiori di ogni tipo e da piante curative che la nonna aveva iniziato a coltivare con amore e cura. C’erano molti cactus, dei crisantemi rossi e delle splendide peonie rosa. Le riconobbi facilmente perché anche io amavo le piante e avevo un libro con tutti i loro nomi che sfogliavo spesso.

Quando la nonna ci vide, dopo aver abbracciato la mia mamma, rivolse subito il suo sguardo a me e porgendomi le sue mani disse:
«Finalmente posso conoscere la mia nipotina Reese, piacere di conoscerti, puoi chiamarmi nonna Feier 菲儿».
Io ricambiai la sua gentilezza con un sorriso e mi presentai con il mio nome completo.

Quando la nonna si allontanò per prepararci qualcosa in cucina, la mamma iniziò a parlare a bassa voce con il papà, e io udii la loro conversazione.
«Mia madre deve essere impazzita, hai visto come si veste e come si comporta? Agisce come se non avesse avuto alcuna malattia» sussurrò mia madre.
«Forse è un modo per trovare la forza, non credi?» le rispose mio padre Max che sembrava contento di rivedere la nonna e notare che stava così bene.
«È molto più grave di questo, è totalmente ammattita. Ha messo tutte quelle piante nella sua casa, a tal punto da sembrare un monastero buddista», continuava a sussurrare mia madre preoccupata per le condizioni della nonna.
«Forse dovresti prendere la cosa meno negativamente e riconoscere che sta reagendo come può», le disse mio padre.

Mia nonna aveva avuto una grave malattia, ma ora stava meglio sebbene dovesse continuare a tenere sotto controllo la sua salute.
Eppure mia madre sembrava essere in ansia perché non riusciva a comprendere il suo atteggiamento, non la vedeva da moltissimi anni e per lei la nonna non era mai stata così strana.

I miei genitori, prima di arrivare in Cina, avevano deciso che avrebbero viaggiato da soli per il Paese mentre io sarei rimasta con la nonna. Fino a quel momento noi tre non ci eravamo mai separati perciò l’idea mi spaventava non poco. La mamma mi lasciò dicendo: «hai il nostro numero di telefono, se succede qualcosa chiamaci in qualsiasi momento», il suo tono era un po’ apprensivo e piuttosto teso.

La mamma e il papà partirono pochi giorni dopo il nostro arrivo in Cina e all’improvviso io mi ritrovai in un mondo completamente diverso da quello a cui ero abituata, la Cina.

Mia nonna viveva in una zona piuttosto centrale di Pechino, quando aveva venti anni si era trasferita in quell’enorme città grazie al sostegno dei suoi genitori ed era diventata un’abile cuoca.
Da lei, mia madre, aveva ereditato la passione per la cucina che la portò ad aprire il suo primo ristorante nel centro di Londra.

La nonna aveva una personalità estrosa, solare e amava chiacchierare. La sua routine era piuttosto organizzata, non sapevo tutto ciò che faceva ma ero certa che si alzasse molto presto al mattino.
Passando con lei molte ore della giornata, mi accorsi subito di quanto lei fosse attenta alle mie parole e mi facesse sentire davvero ascoltata. Parlammo tantissimo in cinese e in inglese perché lei voleva sentirmi conversare in entrambe le lingue.
«Voglio sapere chi è più brava in queste lingue, mi disse lei, ma sicuramente lo sei tu», aggiunse ridendo.
La sua pronuncia inglese era un po’ strana, ma per essere una donna che aveva vissuto tutta la sua vita in Cina era molto buona.

«Cosa fai in gran parte del tempo, Reese?» mi chiese la nonna in un caldo pomeriggio di estate pechinese mentre bevevamo un succo di frutta fresco nel suo giardino.

Le raccontai come trascorrevo le mie giornate e senza entusiasmo le dissi che le mie giornate erano tutte simili: andavo a scuola al mattino e ci restavo fino alle 16, quando tornavo da scuola assieme alla mamma talvolta andavamo a fare la spesa, altre volte restavo a casa per fare i compiti. Poi arrivava l’ora della cena, qualche volta leggevo qualche pagina di un libro e poi dormivo.
«E’ così che si svolgono le tue giornate Reese?».
«Direi di sì. I miei genitori non hanno tempo, nel weekend lavorano molto. Però spesso vado al ristorante e li aiuto un po’».
«Capisco», mi rispose lei con un tono serio.

«Ecco perché hai questo viso così pallido, ti manca la gioia Reese!». «La gioia?».
«Sì, cara nipotina mia, non conosci questa parola? Aspettami qui», mi disse poi. Entrò in casa, prese un ampio foglio e un pennello, impregnò il pennello di inchiostro e sul foglio scrisse un carattere cinese Huānlè 欢乐.
«Questo carattere significa gioia, piacere, non dimenticarlo mai».

«Da ciò che vedo nei tuoi occhi pieni di tristezza, credo che sia questo a mancarti, i tuoi genitori non hanno mai giocato con te. E siccome sei una bambina e i bambini devono provare felicità e inoltre sei mia nipote, faremo così: in questo periodo che trascorrerai qui io ti insegnerò la felicità e imparerai cosa significa giocare», mi disse la nonna Shu con un sorriso che fece socchiudere i suoi occhi a mandorla rendendo il suo volto ancor più dolce e bello.

«Ma prima di iniziare, dimmi, sai scrivere in cinese?».
«In cinese, beh in realtà non molto. Non sono così brava, la mamma mi ha insegnato a parlare ma la scrittura per me è molto difficile».
«Lo capisco, certo, tu parli e studi l’inglese. Beh, vorrei che tu imparassi a scrivere questo carattere, se ti va».

«Va bene», le dissi io.
Quel pomeriggio, io e la nonna Shu non solo imparammo a scrivere la parola Huānlè 欢乐 (felicità), inoltre lei mi insegnò l’arte della calligrafia con l’aggiunta di un piccolo segreto, che lei chiamò “il segreto per tutte le cose”. Il suo segreto era fare le cose con calma, senza farsi prendere dall’agitazione, amando quello che si fa e divertendosi! Mi sporcai un po’ le mani, prendemmo i colori, ritagliammo delle riviste e ridemmo tanto insieme finché la nostra opera d’arte a due mani non fu pronta. Era bellissima!

«Alle volte», mi raccontò lei «gli adulti si affaticano tantissimo per raggiungere i loro obiettivi e questo va bene poiché è importante impegnarsi. Ma molto spesso finiscono per essere esausti, per odiare quello che fanno e per credere che non faccia per loro. E sai perché questo succede? Perché credono che debba essere estremamente faticoso, ma sai qual è la verità? Non è così. Non deve essere sempre faticoso, qualche volta, anzi quasi sempre possiamo renderlo divertente!» mi disse lei.

Poi aggiunse: «Tu non fare questo errore, tu vivi con intento e prova a mettere emozione in ogni cosa che fai. Sorridi sempre di cuore e non temere di apparire troppo bella, troppo brutta, goffa, antipatica, o sciocca. Non temere di essere chi sei. Ognuno potrà dirti qualcosa di apparentemente positivo o negativo su come sembri ai loro occhi, ma tu segui il tuo cuore, lui saprà sempre qual è la strada».

«Vivi con leggerezza e ricorda, manmanlai 慢慢来, non vivere di fretta, prenditi il tuo tempo».

Questi erano alcuni degli insegnamenti che la nonna mi trasmise. Mi sembravano parole molte belle, che mi toccarono il cuore. Così ascoltai ogni singola parola con attenzione e mi promisi che non le avrei mai dimenticate.

Intanto senza che me ne accorgessi, in un mese e mezzo la nonna mi insegnò a prendermi cura dell’orto, dei fiori e a cucinare alcuni piatti deliziosi.
La mamma non aveva mai avuto il tempo per insegnarmi a cucinare qualcosa perché gestendo tre negozi era sempre troppo immersa nel lavoro.

Invece nonna Shu mi mostrò come cucinare molte pietanze squisite. «Quali sono i tuoi piatti preferiti?» mi chiese un pomeriggio in cui la pioggia cadeva silenziosamente.
Ci pensai un attimo e poi le risposi: «Adoro gli gnocchi di riso, i ravioli al vapore e gli spaghetti alla piastra».
«Cosa vorresti imparare a cucinare?».
«I ravioli!», le risposi io con entusiasmo.
Così quel giorno di pioggia in cui un bel venticello soffiava lei mi iniziò alla cucina cinese. Avevo solo otto anni e mezzo, e non vedevo l’ora di imparare a cucinare qualcosa perché ero cresciuta tra ristoranti, piatti deliziosi e sapori piccanti, fritti e agrodolci.

Lei mi mostrò come fare i ravioli e io provai a imitarla: era molto semplice, bastava riempirli con il ripieno di carne e verdure e dargli la forma giusta. Quel giorno scattammo alcune foto in cui eravamo ritratti io, la nonna e i nostri buonissimi ravioli cinesi. Fu molto divertente! Quando finimmo di cuocerli era quasi ora di cena, la nonna cucinò anche una porzione di maiale in agrodolce con contorno di verdure e portò tutto a tavola. Nel frattempo io collocai i piatti, i bicchieri e le bacchette sul tavolo, e preparai un tè caldo alla cannella versandolo nei bicchieri.

In quei giorni Fengfang, la gatta nera con gli occhi azzurri della nonna, mi insegnò a godere del momento presente e mi mostrò l’arte del non fare nulla. Nel nostro giardino c’era un bellissimo dondolo e io mi ci stendevo nei momenti in cui volevo leggere, quando desideravo giocare o quando sentivo il bisogno di appisolarmi un po’. Di fronte al dondolo quasi sempre c’era Fengfang che solitamente dormiva a pancia in su, si allungava un po’, si arrampicava sugli alberi, insomma, se la passava molto bene.

La nonna diceva che i gatti insegnavano lo zen, che lei in cinese pronunciava Chán 禅 e che bisognava essere leggeri e spensierati come loro. Non sapevo il significato esatto della parola zen, ma quando osservavo Fengfang mi sembrava di capirlo e quando guardavo la nonna mi pareva che anche lei fosse un po’ come un gatto: flessibile nei movimenti, con gli occhi sorridenti e in grado di vivere senza troppo sforzo.

Loro due sembravano vivere con la gioia dentro ed erano sempre in grado di portarla anche fuori, nelle azioni quotidiane e nei sorrisi che donavano alle altre persone.

Vicino al giardino della nonna, c’era una piccola cornice con un idioma cinese che diceva “Proprietario felice, gatto felice. Proprietario indifferente, gatto solitario”, in effetti la nonna e Fengfang erano davvero gioiosi insieme e stando con loro mi sembrava di aver appreso un po’ di quella serenità.

La nonna era diversa da tutti gli adulti che avevo conosciuto fino a quel momento. Lei non mi costringeva mai a imparare a fare qualcosa che non mi piaceva, semplicemente mi osservava e assecondava le mie inclinazioni con una grande tranquillità d’animo. «Puoi fare qualsiasi cosa ti piaccia veramente, perché sei intelligente e sveglia», mi disse un giorno, mentre uscimmo a fare una passeggiata nei negozi della città.

Quando la mamma e il papà tornarono, dopo quattro settimane, ci parlarono delle loro numerose esperienze di viaggio: cibi buonissimi e piccanti, laghi immensi e barche, città affascinanti, musei antichi, templi, nuotate e molto ancora. La mamma quel giorno mi abbracciò forte e mentre si avvicinava a me notai che i suoi occhi erano più nitidi, sembrava stare meglio. Questo sorprendentemente mi emozionò.

«Allora, vi fermate anche voi a casa?», chiese la nonna. La mamma dopo un po’ di esitazione fu favorevole ed accettò la sua proposta.

Alcune settimane dopo che i miei genitori vennero a stare dalla nonna io sentii alcuni dei loro discorsi e fui molto felice di sapere che non solo si erano abituati alla nonna Shu e alla sua energia luminosa e positiva, ma anche loro si sentivano più rilassati e sereni.

Fengfang, il gatto della nonna continuava a dormire, stiracchiarsi, mangiare pesce e crocchette per gatti e ridere con gli occhietti quando lo accarezzavo. La mamma per un po’ smise di cucinare e di preoccuparsi per il lavoro e iniziò a dondolarsi con me nel giardino, e insieme imparammo anche a fare l’orto grazie ai suggerimenti della nonna. Anche il papà sembrava più sereno e riprese a fare una cosa che amava tanto, ovvero leggere. Il papà aveva deciso che voleva migliorare il suo cinese perché, quando conobbe la mamma, sebbene lui volesse apprendere il cinese, loro finirono per comunicare solo in inglese. Così a Pechino comprò tanti libri e iniziò a leggerli e studiarli con entusiasmo.

«Non pensi che dovremmo venire a vivere qui in Cina?», un giorno mi domandò la mamma mentre preparavamo le uova per la colazione. Io le sorrisi eccitata dall’idea perché avrei voluto davvero tanto restare lì con la nonna. Ma subito la nonna ci interruppe: «Non è necessario vivere in Cina per essere contenti, la felicità potete portarla con voi, è qualcosa che avviene dentro non fuori». Io e la mamma lo guardammo e pensammo che era proprio vero, avremmo potuto portare quegli insegnamenti con noi dove avevamo deciso di trascorrere la nostra vita. «Ma qualcosa dovete farla, ovvero tornare spesso a farmi visita». «Lo faremo mamma!» le rispose mia madre sorridente. Finalmente la mamma e la nonna si erano riappacificate dopo tantissimi anni, fu un sollievo per entrambe e anche per me che ero tanto felice di vederle ridere di nuovo insieme.

Due settimane dopo eravamo in aeroporto e ci saremmo separati dalla nonna. Noi eravamo molto tristi, eppure lei era allegra perché sapeva con certezza che ci saremmo presto ritrovati. Dormii durante quasi tutto il viaggio, sognai ciò che mi era successo e che avevo visto in quei mesi trascorsi in Cina: i templi buddhisti e taoisti, i ristoranti cinesi con le lanterne colorate, i grattacieli e il bellissimo lago Houhai. Mi svegliai con le lacrime agli occhi, ma guardando fuori dal finestrino dell’aereo pensai che una cosa era certa: nei momenti di tristezza o preoccupazione mi sarei ricordata della nonna e del gatto Fengfang e gli avrei telefonato. In cuor mio sapevo che la nonna e il suo gatto mi avrebbero aiutato a cambiare idea sulle cose e a ritrovare la leggerezza.

Quando ritornammo a casa la mamma e il papà presero alcune importanti decisioni, nel giro di pochissimo tempo vendettero due ristoranti e ne tennero solo uno, il più grande e bello che avevamo a Londra. Decisero che non volevano più avere tutto quel lavoro perché volevano vivere serenamente.

Con il passare del tempo, in modo naturale e senza troppo sforzo, anche io e la mamma abbiamo iniziato ad essere buone amiche. Ora trascorriamo tempo di qualità insieme: mangiamo torte, crepes e passeggiamo al parco quasi tutte le settimane. Spesso io, il papà e la mamma viaggiamo in giro per l’Europa e anche se siamo leggermente meno ricchi di prima, siamo decisamente più felici perché abbiamo ritrovato qualcosa di molto prezioso: il tempo. Abbiamo il tempo per dondolarci dopo pranzo, per prendere il sole, per bagnarci quando piove e per mangiare il gelato nonostante il freddo inglese: abbiamo il tempo per vivere in armonia.

Così ognuno di noi potrà imparare cosa significhi vivere una vita zen, proprio come io l’ho appreso osservando il gatto della nonna Fengfang.

L’altro giorno ci è arrivata una lettera della nonna dalla Cina, ecco cosa diceva:

Carissimi Ju, Ming e Max,
sono sei mesi che non ci vediamo e per questo Capodanno cinese ho pensato di venire a trovarvi. Sono ancora abbastanza giovane per viaggiare e poiché il nonno e io abbiamo sempre lavorato troppo per permetterci di lasciare Pechino adesso è il caso che io recuperi tutto il tempo perduto. Ci vediamo tra tre settimane. Vi abbraccio forte!

P.S. Ju, pensa ai posti più belli dove vuoi portarmi, ci divertiremo!

Con amore,
nonna Shu