Alle origini di questa pianura, dove ora sono vie, strade, cemento, edifici, centri commerciali, colture e allevamenti intensivi, erano lagune … Avrei continuato su questa strada, ma l’altra sera, all’Albergo Cappello, per il Bloomsday, -in quella via parigina dove nel tempo sono nati progetti d’arte quasi tutti realizzati- lo scrittore e amico Dedi Baroncelli, in una situazione rischiosa -tra lui e noi che ascoltavamo scorreva un fiume di persone- si è impegnato in un racconto, come al solito affascinante e coltissimo, e così la mia scrittura ha deviato percorso. Ancora una volta per necessità il caso. Mentre Dedi, tra l’altro, parlava della metafora del mare e dell’eternità e infine di fiumi che ci assomigliano: “…hanno le incertezze delle nostre virtù che noi chiamiamo invecchiare, nascono e muoiono. Si ripetono, trascinano a valle nell’imparziale tutti i detriti del mondo come noi le nostre minuscole scorie. …”, riportavo le sue parole alla mia esperienza. E ritrovavo le mie dimore.

Devo aver perso, infatti, qualche ciclo evolutivo e così mi sento più un pesce che un essere umano. Qui, con i piedi a terra mi muovo lentamente e a disagio, ma nel mio ambiente naturale, l’acqua marina, sono leggera come una piuma. Quando nuoto traccio, scrivo la scia d’acqua tra terra e cielo. Il mio corpo oscilla dolcemente e supera in precisione e magia i pendoli di Galileo e di Foucault. L’oscillazione scandisce il tempo del respiro e della bracciata; il corpo si allunga, accarezza e viene accarezzato dall’aria, dall’acqua. In armonia con gli elementi traduco, scrivo uno stato di grazia. Lo stato di grazia della leggerezza, dell’armonia, del piacere, della libertà.

Quando nuoto, nuoterei sempre. Non sento la stanchezza. C’è in me la memoria di una vastità senza fine. Così sospesa, a volte, allargo le braccia e lascio che il mare mi avvolga in una visione in/finita. E così mentre Dedi parlava riportavo in me, nel piacere dell’essere sospesa, la metafora dell’eternità e di quel sentirmi, in tutti i mari che ho frequentato, divina. Divina perché come le dee e gli dei non provo stanchezza, smarrimento, paura. Potrei nuotare, sempre. Ma forse, l’altra sera, il divino che era in me apparteneva all’euforia di qualche calice di troppo. In realtà discendo dai pesci, loro sono i miei antenati, loro sono i miei compagni di viaggio. Adesso che ci penso, con gli dei e le dee non ho nulla da spartire, li trovo antipatici e crudeli. Per non parlare di Giove, il primo violentatore seriale, pure glorificato. Più che le virtù nel mondo degli dei venivano esaltati i sette vizi capitali -credo siano sette. Nulla è cambiato, proprio come ora. Potrei fare un esempio eccellente. Ma sicuramente meglio di me si è espresso il professor Tommaso Montanari.

Perché solo in estate posso immergermi nell’eternità? Dato che sembra proprio non possa appoggiare i piedi a terra, cosa faccio? Vado in bicicletta lungo l’argine del fiume Montone e di nuovo mi ritrovo sospesa.

Ma ora non più. Siamo in giugno inoltrato e ancora non sono andata al mare. Il tempo è incerto, ma non dipende dal clima bizzarro, la ragione risiede tutta nell’acqua marina. Non posso ritornare nelle mie case. Non posso immergermi nell’acqua e non posso neanche andare, in compagnia di Ildegarda di Bingen e della bicicletta, lungo l’argine del fiume. Devo stare con i piedi a terra e la cosa mi è insopportabile. Questa è la mia resa; rimango immobile in luoghi che non mi appartengono. Ed ecco che tutto torna. All’origine il mormorio del mare, dell’eternità; con i piedi a terra, poi, l’esperienza di tanti inizi e di tante fini e l’esperienza delle “incertezze delle nostre virtù che noi chiamiamo invecchiare”.

Le due alluvioni di maggio hanno allagato la terra ferma. Il mare non si è mosso. È rimasto a guardare. Sono poi intervenute le idrovore. I fiumi e i canali, dopo aver invaso città e campagne, hanno iniziato a scaricare nel mare “la fiumana” con tutto il suo carico.

E l’acqua, da subito, ha depositato a riva tutto ciò che il fiume, nel suo viaggio infernale, le ha rovesciato in grembo. Sì, il mare da giorni sta trascinando a riva ciò che non gli appartiene e in attesa che sale e ossigeno ripuliscano le sue acque e ritorni la vita, molti bagnanti girano la sdraio e guardano quei giochi che da tempo sono fioriti nella spiaggia. Piscine, soprattutto per bimbi, erano già nate al tempo della mucillagine. In effetti, anche quando il mare è pulito sono pochissime le persone che nuotano; scendono in mare quando la calura lo impone, ma si contano su una mano quelle che si abbandonano al nuoto. E questo, per me, è un bene perché ancora non ho trovato un paio di occhialini che mi proteggano dall’acqua salata e così nuoto a occhi chiusi. Nuoto alla cieca.

Infine i bagni da tempo si sono trasformati in ristoranti e ci si consola con ottime mangiate. Noi umani ci adattiamo. Il mare sta passando un brutto momento, magari l’aria puzza un poco, allora gli giriamo le spalle e facciamo altro. Ma al mare ci si va ugualmente, soprattutto per mangiare. Ecco. Vorrei sapere cosa si mangia perché in questi giorni sono in confusione. Subito dopo il “diluvio universale” erano proibite vongole e cozze locali. Anzi mi sbaglio. La settimana scorsa, a Marina, c’è stata la sagra della cozza e come con la balneazione, un giorno si può mangiare anche pesce locale e il giorno dopo non si può. I prudenti hanno deciso che è meglio evitare il pesce, tranne quello surgelato che viene da paesi nordici o dalla Spagna. Se proprio si vuole “il pescato” è necessario arrivare nella parte sud delle Marche, dopo Ancona, per intenderci. Domina la paura: paura della pioggia, del sole, del cibo, del mare, dei fiumi. Paura, è la paura che da queste parti ci accomuna.

Una volta, a scuola, quando era molto più semplice, al di fuori dei compiti burocratici di oggi, modellare - dare forma- alle menti, Graziella, la compagna delle mie stagioni d’alcione, scrisse alla lavagna “Oggi porto alunne e alunni a pulire il mare”. Correva l’anno scolastico 1983/‘84 e non era uno scherzo. Il viaggio d’istruzione è documentato da fotografie storiche. In questo momento, dove la paura domina le nostre vite, il suo richiamo continua ad essere inascoltato.