"Tutta azzurra 'sta città, da 'o Vesuvio 'a Sanità", cantavano i tifosi in strada nel 1987 quando il Napoli vinse per la prima volta il campionato di calcio italiano. E ancora, davanti le mura del cimitero, venne affisso un iconico striscione "E che vi siete persi", un chiaro riferimento goliardico ai defunti che non erano lì per godere di quella straripante passione collettiva.

Perché il popolo napoletano è così. Passionale, creativo, goliardico, amante delle proprie origini e delle proprie tradizioni, incredibilmente coinvolgente. Ed è proprio questo mix di colori, di fluidi, che ha portato ad una delle più grandi feste popolari spontanee che si ricordino negli ultimi anni in Italia ma anche nel mondo. Ovunque a Napoli è scoppiata la festa. Nei vicoli, allo stadio, nei bar, nelle case, nei cieli con una santabarbara di fuochi che neanche a Capodanno si potevano vedere.

E, ancora, i tifosi sparsi per tutta Italia sono scesi con bandiere e maglie nelle piazze di Bologna, Torino, Milano, roccaforti del tifo di squadre più blasonate e vincenti. Giorni interi in cui la città di Napoli era sotto gli occhi di tutto il mondo per un evento storico. E proprio nelle piazze di tutto il mondo, da Londra a New York, gli emigranti e i turisti napoletani sono scesi a gridare la loro gioia, con striscioni, tamburi, cori.

Un mare azzurro che ha inondato almeno tre continenti, con una copertura mediatica degna di un campionato mondiale. E non poteva essere altrimenti per una vittoria che è stata, per l'appunto, mondiale. Si è festeggiato, nel mondo e in Italia, ovunque senza remore, in un lungo e caloroso abbraccio. Tutti tifosi, appassionati e curiosi, di una squadra e di una tradizione calcistica che mai come ora è l'emblema della globalizzazione e della multietnicità.

Nella rosa del Napoli, infatti, figurano: 8 italiani, un koreano, un messicano, un kosovaro, un brasiliano, un argentino, un macedone, un georgiano, un camerunense, un algerino, un nigeriano, un francese, un uruguaiano, un portoghese, un tedesco, uno slovacco, un norvegese e tre polacchi. Un mix di lingue con a capo un allenatore, Luciano Spalletti, che alla soglia dei 65 anni ha vinto il suo primo Scudetto in Italia dopo aver vinto anche in un panorama calcistico e sociale sui generis come quello russo.

La vittoria del Napoli è la vittoria del progresso che avanza, di un nuovo modo di fare calcio che punti alla sostenibilità e alla valorizzazione del capitale sportivo in dote. Nessun investimento faraonico, nessuna prigione dorata, nessuna star. Nel Napoli ognuno è la star, a partire dal capitano Di Lorenzo che 4 anni fa giocava nel Matera in Serie C ed ora è il primo capitano del Napoli ad alzare la coppa Scudetto al cielo dopo Maradona.

Un progetto calcistico, quello del Napoli, che non si distacca mai dal suo habitat culturale e che, anzi, è sostenuto da esso. Una vittoria che non arriva per caso. 13 anni consecutivi in Europa, 4 secondi posti e 4 terzi posti tre Coppe Italia e una Supercoppa Italiana dal ritorno in Serie A dopo il fallimento. Dati alla mano, l'SSC Napoli è l'unica società calcistica italiana del nuovo millennio che ha avuto uno sviluppo vincente, escludendo la Juventus che però ogni anno deve far fronte a problemi debitori ingenti e che non riesce ancora a colmare il gap di vittorie con le big d'Europa. Un Olimpo calcistico, quello europeo, in cui il Napoli di diritto ha guadagnato un posto a sedere, grazie al lavoro svolto da De Laurentiis, Giuntoli e tutta la società, ma grazie anche ai risultati del campo che lo hanno portato, per la prima volta nella sua storia, ai quarti di finale di Champions League.

La vittoria del campionato del Napoli non è casuale e non è banale. E, cosa più importante, non è banale neanche la portata sociale ed economica di questa vittoria in città, in Italia e nel mondo. È la vittoria dell'unione, prima di tutto. Di quei bambini con i padri che sventolano per la prima volta la bandiera allo stadio, di quegli adolescenti che per curiosità sfilano in strada e si divertono come fosse un mega concerto, di quegli anziani che piangono e possono finalmente dire "io c'ero a tutti e tre gli scudetti". Ma è anche la vittoria degli albergatori, degli artisti, dei negozianti, di tutti quelli che hanno accolto e accolgono migliaia di turisti ogni giorno per visitare quel museo a cielo aperto che ormai è la città di Napoli. È la vittoria di una città che non fa semplicemente parte di questo mondo ma che assume un ruolo da protagonista per il suo sviluppo.

E non azzardatevi a dire che è la rivincita di una comunità maltrattata. Da anni Napoli è una città in evoluzione, attrattiva, accogliente e affascinante. Con tutte le sue storture e contraddizioni, si capisce. Ma con una forza e un fascino che poche città al mondo hanno. Una città che sa come festeggiare, sa come crescere, sa come stupire, sa come amare.