L’abito è un indicatore preciso e, se vogliamo, in qualche modo spietato: assumere l’abito di un’altra cultura significa volersi identificare con questa, accettandone i valori.

Partire da questa riflessione di Roberta Orsi Landini, una delle esperte che ha dato il suo contributo alla Mostra Kimono - Riflessi d'arte tra Giappone e Occidente, aiuta a spiegare la complessità di questa mostra. La sala grande del Museo è piena di Kimono di seta di colori vivaci, a fantasie diverse ed esaltanti. Già questa visione appaga i sensi, come una mostra di pittura. Ma, ad un esame più approfondito, attraverso questi vestiti si possono esplorare le contaminazioni creative e culturali - intervenute tra Europa e Giappone prevalentemente dalla fine dell'Ottocento alla prima metà del Novecento.

Il Kimono, l'oggetto più iconico della cultura del Sol Levante, proviene dall’esclusiva collezione privata di Lydia Manavello, storica dell’arte attratta dalle modificazioni che la decorazione dei kimono ha subito all’incontro fra le due culture. In Occidente si è creato il già noto fenomeno del Giapponismo, ma nessuno aveva mai indagato l'influenza della cultura e dell'arte figurativa occidentale sul Giappone. Grazie alla preveggente perseveranza di Lydia, e alla sua generosità nel proporre questa ricchezza da lei accumulata al pubblico, ecco che questa influenza viene messa in luce grazie alla mostra. Oltre ad appagare la ricerca del bello , connaturata all’umanità a tutte le latitudini.

Citiamo qui le sue parole riguardo alla collezione da lei costruita.

La percezione dello straordinario valore culturale del kimono giapponese come manifesto dei profondi cambiamenti vissuti da questo Paese mi ha persuasa ad intraprendere una personale ricerca alla scoperta di un mondo che dischiude pagine di grande fascino e spessore: da tutto questo è nata la mia collezione. Un’accurata scelta di carattere storico-artistico documenta, con pezzi rari e altamente significativi, la fase di passaggio fin qui analizzata, riservando particolare attenzione ai kimono dei primi quarant’anni del Novecento.

In questa ricerca mi hanno guidata criteri insieme estetici e storici: estetici perché, come collezionista privata non ho avuto l’obbligo di sottostare a particolari disposizioni ma ho potuto effettuare le scelte che rispecchiano le mie preferenze; criteri storici perché, come storico dell’arte, ho comunque voluto che le principali tipologie di kimono, presenti nel complicato contesto dell’abbigliamento tradizionale, fossero rappresentate dal punto di vista cronologico e decorativo.

Allo stato attuale la collezione è costituita da un cospicuo numero di kimono (da uomo, donna, bambino) e di obi, da oggetti e suppellettili attinenti all’abito e al suo contesto, tra i quali calzature, accessori, monili per capelli, bambole, oggetti per la cerimonia del tè, libri e materiale cartaceo d’epoca. A ciò si aggiungono alcuni manufatti funzionali alla tessitura e alla decorazione tradizionale delle stoffe.

(Lydia Manavello)

Nel catalogo, il cui acquisto è altamente raccomandato, ogni kimono esposto viene contestualizzato con gli eventi cui si riferisce, nel campo dello Sport. della guerra, delle tecnologie recenti, dei movimenti pittorici che si svolgevano in Occidente nel periodo considerato, e dai quali più di un Kimono è stato ispirato. A differenza del vestiario europeo, soggetto ai cambiamenti dettati annualmente dalla moda nelle forme, oltre che nei colori, in Giappone la forma è stata sempre costante, con piccole differenze fra uomo e donna. Il kimono è da sempre lo stesso nella forma, senza struttura, bidimensionale, facilmente ripiegabile. Quello che fa la differenza è la decorazione e la tessitura.

La prima, per secoli immutata, è divenuta una sorta di celebrazione dei cambiamenti sociali che avvenivano per effetto del contatto con l’Occidente, nel periodo descritto dalla Mostra. Lydia lo paragona ad una fotografia istantanea, o anche a una sorta di foglio su cui la Storia e le scelte estetiche dell’uomo, determinate da innumerevoli fattori, hanno scritto e “disegnato” gli effetti dell’evoluzione della società. Nella prima sala del Museo del Tessuto si ha un’interessante introduzione, a cura di Francesco Morena, Asian art consultant.

Egli ci racconta la storia del Giappone nei secoli precedenti, caratterizzata da una chiusura al mondo, interrotta a tratti per volontà esplorativa di altri popoli e dall’arrivo di religiosi, a scopo di conversione. Di questi secoli vengono esposti alcuni esempi di arte tradizionale, molto istruttiva per cogliere le differenze con le opere della Collezione Manavello, nella sala successiva.