Oggi è venerdì 2 marzo, essendo giorno festivo già dal primo pomeriggio il Circolo italiano di Khartum è affollato di personalità varie che, piazzati un po' dovunque, si stanno ubriacando con un ottimo whiskey di marca. Per usare la piscina, non essendo noi soci, ci tocca pagare un fottuto Pound. In un momento di relax ci spostiamo nella saletta attigua vuota per accendere lo spinello che ci ha dato Yonas, il ragazzo eritreo conosciuto il giorno prima. L’odore dell’erba è più forte del previsto e in pochi minuti arriva il manager del circolo, accompagnato da alcuni soci “spioni”, per invitarci a smettere di fumare, uscire dalla saletta e dal circolo. Noi rifiutiamo di muoverci perché troppo antipatici nei modi e, al termine di un acceso diverbio, si arrendono, escono dalla saletta e noi restiamo dentro. La notizia però fa il giro del circolo e tutti, molti dei quali brilli, ora fanno la fila per affacciarsi sulla saletta e vedere le “bestie rare”. Anche qui ci siamo facendo notare!

Dopo il tramonto, ritorniamo verso l’hotel. A parte l’aeroporto, il viale che dalla stazione dei treni va la People Palace e la traversa del Sahara Hotel, tutto il resto non è illuminato o ha una scarsa illuminazione, tuttavia, nonostante il buio l’atmosfera generale è più che tranquilla e serena. Le case sono quasi tutte ad un piano, solo pochi hotel raggiungono i 5, 6 piani, come il Meridien e l’Araak. Le strade non sono asfaltate e anche nel centro di Khartum sembra di essere in un paesino. È una capitale più ordinata e pulita del Cairo, nonostante la sabbia invada anche qui ogni angolo della città. Non ci sono bar dove gustare tè, karkadè, helbe o caffè, tantomeno esistono i narghilè come in Egitto. I negozi sono aperti al mattino e riaprono solo alle 18, quando cala il sole e l’aria diventa più respirabile. È difficile trovare un paese, come il Sudan, dove gran parte dei suoi abitanti è cortese, rispettosa, educata e nessuno prova a fare il furbo, tranne i taxisti.

I commenti dei viaggiatori che incontriamo sono tutti concordi nel definirli “gli arabi migliori del mondo arabo”, ancor più ospitali quelli che abitano fuori dalle città. Mentre camminiamo ad Aldo viene un acuto attacco di dissenteria e si vede costretto a “scaricare” per strada, dietro ad una macchina parcheggiata in pieno centro. Gli saranno passate accanto un centinaio di persone ma per la tenue illuminazione nessuno l’ha notato. Subito dopo, distratto dall’intestino in subbuglio, Aldo sbatte pure la testa contro ad uno di quei mastodontici condizionatori d’aria in ferro, montati tutti ad altezza d’uomo. Aldo ironizza: “Lo fanno per tener sveglia la gente!”. Fa molto caldo a tutte le ore, la gola è sempre secca e beviamo di continuo: litri e litri di acqua fredda, spremute gelate e Pepsi. Bisogna darsi una regolata perché non credo faccia bene.

Troppo caldo anche per addentrarsi nei deserti e nelle giungle del sud. Tornati in camera, mi accorgo di avere dimenticato di prendere la pillola per la malaria e mi arrabbio con me stesso: “L’ho presa per due mesi quando non serviva e adesso che serve la dimentico di continuo”. Decido di non prenderla più, affidandomi agli unguenti anti-mosquito da usare nelle zone più a rischio.
Sabato 3 marzo - oggi è festa nazionale, si celebra l’unione tra il sud e il nord del paese. Prendiamo un taxi collettivo per andare ad Omdurman, l’antica capitale distante appena sei chilometri, oltre il Shimbat Bridge che attraversa il Nilo Bianco. Sul mezzo siamo in cinque ad ascoltare il driver che si lamenta per la mancanza di benzina, pare che l’Iran non ne mandi più e i distributori sono a secco. Quando capiscono che siamo italiani, subito in automatico parte la nomea di mafiosi, molto influenzati anche dalla serie infinita di film di successo da queste parti, come “Napoli Violenta” e roba del genere.

I sudanesi sono davvero convinti che l’Italia sia uno dei paesi più pericolosi al mondo. Un passeggero specifica: “l’Italia è più violenta di New York”. Certo, per gente tanto tranquilla e lontana da tutto, vedere proiettate su di uno schermo tante facce losche che sparano e uccidono certamente risulta traumatico. Anche i film di Hollywood non scherzano, tuttavia credo che qui l’America sia vissuta come qualcosa di lontano e astratto, mentre l’Italia la sentono vicina e gli italiani più simili a loro. Scendiamo nella città vecchia di Omdurman, esteso labirinto di vicoli e stradine polverose in stile mediorientale, sorto sulla sponda occidentale del Nilo, alla confluenza dei due fiumi, dove le acque chiare e ricche di sodio del braccio maggiore del Nilo Bianco incrociano quelle bluastre del Nilo Azzurro.

Tra i numerosi mercati di bancarelle sparsi in questa affascinante città-quartiere, il Souq Centrale è il più grande, noto e pittoresco per la sua rumorosa e colorita offerta di spezie e prodotti di ogni genere. L’incenso che brucia un po' in tutti gli angoli del mercato si chiama “bokur” ed è usato dai Dervisci in occasione di importanti cerimonie religiose. I Dervisci sono una sorta di monaci mendicanti, confraternita di asceti islamici che ha scelto di rinunciare alle lusinghe del mondo materiale e vivere in mistica povertà. Ci sarebbe da vedere anche il mercato ittico di Almourada sul Nilo, ma il tempo stringe e per quello torneremo un'altra volta. Lasciamo il centro di Omdurman, attraversato da carretti adibiti a taxi e trainati da asini, per salire su di un Landcruiser Toyata che ci porta direttamente al mitico mercato dei cammelli del sabato, il Moweli Souq, situato nel deserto ad un’altra manciata di chilometri verso ovest.

In verità di cammelli ne vediamo pochi, il panorama è dominato invece da migliaia di dromedari e ovini utili per il latte, il trasporto e la carne. Dromedari allevati in gran parte nel Darfur e qui venduti a mercanti provenienti da tutti le regioni e i Paesi circostanti. Bella atmosfera arcaica, con tutti i pastori armati di affilato coltello che tengono in un fodero legato al braccio, coperto dalle ampie maniche del “jalabiya”, l’abito tradizionale.

Tornati ad Omdurman, nella caffetteria del Korafan hotel incontriamo Paolo, un ragazzo di Parma che lavora nel campo degli alimentari, il quale si dichiara simpaticamente sedotto e stregato dal mercato bestiame appena visto, ma anche dal paese Sudan, dalla sua gente e dalla sua storia. Come Gennaro, il napoletano conosciuto al Circolo italiano, anche Paolo ogni volta che va in Italia porta con sé delle collane in avorio acquistate al mercato di Omdurman. Spiega che le palle d’avorio non devono essere lucide ma opache, grosse e di colore giallo spento, da sembrare antiche, molto richieste dalle signore anziane di Riccione. Ad Omdurman le paga 12 Pound e in Italia le vende a 70. Quando va a Juba le paga ancora meno: “Specialmente se comprate direttamente dal collo dei nativi”. In breve, Paolo abbandona gli argomenti d’affari per raccontarci l’aneddoto storico che più lo entusiasma di questo luogo, sul quale sono stati girati numerosi film e documentari, ovvero la vita del generale britannico governatore del Sudan George Gordon, conosciuto anche come Chinese Gordon in Asia e Gordon Pascià in Africa, ucciso nel 1885, all’età di 52 anni, durante la conquista di Khartum da parte dei seguaci sudanesi di Muhammad Ahmad, detto il Mahdi. Il Mahdi mori sei mesi dopo per una febbre tifoidea, dopo aver costituito uno stato islamico.

I suoi successori, detti mahdisti, tredici anni dopo furono sconfitti dai britannici nella leggendaria e sanguinosa “Battaglia di Omdurman”, ma conservarono un importante ruolo nei successivi sviluppi del paese. Tra i lancieri a cavallo che parteciparono allo scontro c’era anche il giovane tenente Wiston Churchill, futuro primo ministro inglese. Dopo la battaglia ci fu una forte polemica nell’opinione pubblica britannica a causa della brutale uccisione dei prigionieri mahdisti. Entrambi, Gordon e Mahdi, sono considerati eroi nei rispettivi paesi e proprio qui, ad Omdurman, c’è la tomba del Mahdi. Paolo definisce Gordon: “Un altro eroe dei due mondi come Garibaldi”. Le gesta di questi uomini vanno collocate in un periodo storico che comprende in particolare la seconda metà dell’800 e oltre, durante il quale colonizzatori, esploratori e conquistatori andavano alla ricerca di nuove terre, con il sostegno dei grandi gruppi economici nazionali e di molti stati europei che cercavano prestigio attraverso nuovi e più ampi sbocchi per capitali e merci.

Nel corso dei decenni tutto questo si trasformò in una espansione coloniale che fece centinaia di migliaia di vittime e di schiavi. Tornati in downtown Khartum, sui gradini della Cattedrale Copta iniziamo a conversare con il custode, che si dichiara cristiano ortodosso, il quale acconsente ad aprirci la chiesa per farci stare un po' al fresco. All’interno conosciamo altri religiosi, tutti originari dell’Ogaden. Essendo tutti Cristiani, speravamo anche in qualche cibaria ma più che acqua non ci danno. Lasciato i copti, a pochi passi dalla cattedrale vediamo l’insegna di una “scuola italiana” gestita da Sisters Comboniane, congregazione di missionari sorta a Verona a metà dell’800. Suoniamo la campanella alla porta ed aprono due giovani monache veronesi molto gentili nei modi. Sorprese e contente nel sentire l’accento emiliano, ci invitano ad entrare chiedendo subito “se abbiamo fame”. Viene spontaneo ironizzare sui due diversi tipi di accoglienza: “Che sia questa la differenza tra Ortodossi e Cattolici?”. Sul tavolaccio, nella penombra di una grande cucina, ci servono riso, pesce, verdure, pane ed anche una Coca Cola.

La madre superiora, ugualmente calorosa e cordiale, racconta che soltanto trent’anni prima, quando arrivò lei alla missione, Khartum era un villaggio formato da una distesa di case in argilla. In effetti, ancora oggi, se si tolgono alcune costruzioni recenti resta ancora un’oasi nel deserto. Bella atmosfera con belle persone che dobbiamo interrompere perché hanno l’appuntamento con le preghiere, per cui ci salutiamo soddisfatti della gradevole oretta passata assieme. Passiamo dalla zona del Sahara hotel, sempre affollata di rifugiati eritrei. Questo tratto di strada, con un porticato ed una scala che va in un piccolo underground, ha la reputazione di essere la zona più malfamata della città, frequentata da ladri e prostitute, tutti eritrei. A noi non sembra così pericolosa, sono ragazzi che loro malgrado devono ingegnarsi per trovare il modo di sopravvivere.

Noi non abbiamo la percezione della violenza. Alle 17 abbiamo appuntamento con Yonas, Angelo ed altri eritrei per andare tutti assieme alla cosiddetta “base della Combattente”, sede del Fronte di Liberazione Eritreo (ELF). Ora comincio a capire meglio gli eritrei che, a mio parere, hanno una particolarità somatica e psicologica comune. L’espressione del viso è sempre contratta e accigliata, come fossero persone perennemente pensierose e preoccupate. Sono molto fieri, permalosi e scontrosi. Alcuni sono bugiardi e provano a truffarti, altri invece, al contrario, sono di carattere aperto e sincero. Angelo è comunque sinceramente attratto dal modo di vivere italiano e rammenta spesso i bei tempi passati in compagnia di italiani quand’era ad Asmara. Lavorava all’aeroporto di Asmara e racconta che un giorno si è addormentato su di un aereo cargo e questi è partito quando, dice lui, ancora dormiva.

E’ stato per tre giorni in Germania come clandestino: “Volevano mettermi in prigione ma poi sono tornato con un altro aereo cargo”. E aggiunge: “Sono partito senza un centesimo e sono tornato con 1800 dollari ed una valigia piena di vestiti”. Giunti alla Base, in un buon italiano Angelo continua a spaziare da un argomento all’altro che mi diverto ad annotare sul taccuino poiché riflettono questo tipo di mentalità in questo tipo di situazione: “I sudanesi non fanno sesso con le donne e rimediano sodomizzando gli eritrei”. E riprende sul sesso: “Ad Asmara, la mia specialità era fare all’amore con le spose italiane, ma dopo la prima scopata non mi piaceva più perché iniziano a sudare e non gradisco l’odore acre della pelle delle bianche. Invece le eritree anche dopo tre rapporti restano sempre belle sode e asciutte”.

Tornato al presente, lamenta alcune fra le tante ingiustizie subite dai rifugiati: “Per la stessa stanza in affitto un sudanese paga 10 Pound al mese, mentre agli eritrei ne chiedono 40. Coi documenti ne approfittano tutti, i rifugiati non hanno alcun passaporto ma pagando 200 Pound possono averne uno vergine, in bianco, dai funzionari corrotti dell’ambasciata etiope. Stessa cosa per il visto italiano, c’è un impiegato della vostra ambasciata che lo rilascia abusivamente per 120 Pound”. Aldo ed io abbiamo conosciuto Angelo due giorni prima, mentre eravamo intenti a gustare l’ottimo yogurt della caffetteria Athenee, dove lavora da cameriere: “Ai sudanesi danno 2 Pound al giorno, a me 16 al mese”, un altro esempio sulle differenze sociali tra eritrei e sudanesi.

A noi, nel nostro girovagare per l’Africa, interessa sapere se c’è modo di entrare in Eritrea da Kassala, la città sudanese di confine. Yonas, Angelo e amici, gentilissimi, vanno dai capi a chiedere informazioni a riguardo: “La settimana scorsa a Sebderat, subito dopo il confine da Kassala, c’è stato un grosso combattimento e pare che siano morti più di mille etiopi. Quasi ogni giorno bombardano Sebderat e le grotte rifugio dei dintorni. In questo periodo quella è la zona calda della guerra tra etiopi ed eritrei”. Le notizie tremendamente drammatiche si susseguono: “Molti soldati dell’esercito etiope vorrebbero disertare, non vogliono morire in questa guerra, ma se indietreggiano sanno che gli stessi etiopi gli sparano alle spalle e dal fronte gli sparano gli eritrei, sono presi tra due fuochi”.

A seguito di informazioni raccolte nel Circolo Italiano di Khartum, nei nostri progetti di viaggio avevamo focalizzato l’attenzione anche su Teseney, cittadina eritrea a 45 km dal confine di Kassala, una bella zona montuosa resa fertile dal progetto di un ingegnere italiano che, negli anni del colonialismo, fece costruire una piccola diga favorendo l’insediamento dell’impresa agricola SIA (Società Imprese Africane) e del Cotonificio Barattolo. Si produceva cotone di ottima qualità per il mercato italiano. Tuttavia, non è decisamente il momento, tutta quella zona è ora occupata da soldati etiopi. Yonas afferma: “Troppo pericoloso! Altri due giornalisti, assieme ai guerriglieri, sono andati in camionetta da quelle parti e durante il tragitto sono stati attaccati due volte dai Mig etiopi”.

Angelo suggerisce di visitare le Nuba Hills nella Kordofan Region, al confine con il Sud Sudan, per vedere villaggi primitivi e coloratissimi distanti quattro giorni di camion da Khartum. La cosa ci intriga, forse chiederemo il permesso per andarci all’Immigration Office.