Siamo generati e generiamo. L’ossessione per il creare scorre nelle vene di tutti i popoli, dall’alba dei tempi. Siamo arrivatial punto di generare ciò che genera: intelligenze artificiali, più artificiali che intelligenti, il cui compito è produrre senza una coscienza. Generiamo ogni giorno 347 miliardi di email, altrettante fotografie e video, innumerevoli articoli, decine di migliaia di canzoni, 1.3 miliardi di post su Instagram e chissà quanti video su TikTok. Eppure, in questo oceano di contenuti, riusciamo ancora ad essere folgorati da qualcosa di forte, che ci smuove le membra, ricordiamo. Non è forse nata dalla mano di un uomo la famosa mano di Dio, incastonata sul soffitto della Cappella Sistina, e la mano di Adamo?

L’invito è a non perdersi nel mare di contenuti, online e analogici, cercare il Bello, termine ritenuto quasi offensivo nel processo descrittivo di opere d’arte, ma che ritengo racchiuda una sincerità spiazzante. E il bello, il forte, il viscerale, il potente, il significativo si trovano nelle opere di sei artisti invitati per Genesis; termine latino, quest’ultimo, nato a sua volta dal greco antico, e precedentemente dal protoindoeuropeo. Il vocabolo, forgiato dal concetto di nascita e produzione, ha probabilmente un’origine ancora più antica e continuerà ad evolversi nel futuro. In questo percorso esploriamo la pratica di sei artisti nati alla fine del XX’ secolo, generando un dialogo tra loro, concentrandoci sull’operato e quello che li spinge a creare, giorno dopo giorno. Essi generano contenuti ma anche pensieri, mondi paralleli e figure che popolano un immaginario immaginato. Cerchiamo insieme ponti e collegamenti tra ogni opera, abbandonandoci al subconscio: nulla è oggettivamente dichiarato, ciascuno di noi può costituire la propria soluzione al problema che chiamiamo vita.

Sophie Spedding (Londra, 1995) ci invita ad entrare nella sua pittura adottando temi precisi. I suoi lavori esplorano la tensione tra varie idee creando spazi di riconciliazione, bilanciando i riferimenti a gesti pittorici veloci e approssimati e introducendoci al role-play, la rappresentazione scenica di un’interazione personale che comporta l’assunzione di un comportamento in una situazione immaginaria. I lavori esplorano una dualità nell’uso dello spazio; per creare un punto di vista verso cui siamo invitati e da cui veniamo introdotti al soggetto raffigurato, per trasformare lo spettatore nella vittima prescelta all’interno di una narrazione. In questo modo si dà vita ad eterotopie che si manifestano con saturazione iperbolica e astrazione attraverso l’intimità della scala adottata, raffigurando scene e personaggi post-umani.

Il lavoro artistico di Salomé Chatriot (Francia, 1995) si concentra sulla creazione di spazi fisici e allo stesso tempo virtuali: costruisce macchine e installazioni dove coesistono sculture elettroniche e immagini digitali. Affascinata dal modo in cui la scienza tratta il corpo umano, attraverso l’obiettività dei dati, utilizza la sua versione del futuro e nuove tecnologie per plasmare un’identità fluida, digitale e impreziosita da texture cangianti. Gli ecosistemi che Chatriot produce portano sempre il segno di guarigione da un passato burrascoso. Il benessere che desidera trasmettere, spesso, implica la diffusione in tempo reale di flussi organici come la respirazione, la circolazione dei fluidi e le trasformazioni chimiche ed alchemiche.

La pittura di Ludovica Anversa (Milano, 1996) esplora un territorio al confine tra figurazione e astrazione, incorporando immaginari personali accanto a ibridi riferimenti teorici e visivi, senza mai riferirsi a una narrazione lineare: figurazione e astrazione entrano in dialogo, uniti da confini sfocati. Il processo d’ispirazione si concentra su fonti considerate non prettamente artistiche, attingendo da immaginari scientifici, archeologici e fotografici differenti. “Come quegli animali che sacrificano una parte del proprio corpo per distrarre un predatore, nei miei lavori spesso la figura si nega allo sguardo e si concede solo parzialmente, in forma di traccia o residuo allucinato sulla superficie.”. La vulnerabilità e il rapporto tra percezione e rappresentazione del corpo sono temi ricorrenti nel suo lavoro. Il processo creativo è profondamente radicato nell’idea di decostruzione e stratificazione, generando un continuo spostamento tra presenza e assenza, potenziale evocativo e negazione dell’immagine. Le figure che abitano i suoi dipinti sono presenze inquietanti e metamorfiche che convivono simultaneamente e rivelano una complessità sotterranea, contaminandosi a vicenda senza annichilirsi.

Jacopo Naccarato (Arezzo, 1995) lavora con l’obiettivo di porre domande giuste, piuttosto che porre risposte assolute. Il processo implica una partenza solida, convinzioni innate o assorbite nel tempo, che vengono sistematicamente decostruite e messe in dubbio. Sovente il focus è posto sulla figura, sull’individuo in quanto essere unico, perfetto nelle sue imperfezioni. Non presenta spiegazioni logiche, preferisce addentrarsi in territori enigmatici che vanno vissuti per essere assimilati e compresi - una comprensione individuale, non universale. “L’assenza di un senso non è incomprensione, l’enigma è il linguaggio della sapienza, la sorpresa è un’emozione.”. Praticando l’arte della scultura e della pittura, adotta un approccio intuitivo, con l’obiettivo speranzoso di generare nuovi soggetti, nuove forme.

Antonia Freisburger (Germania, 1990) mira a lasciare la propria realtà ed entrare in un regno dell’esistenza definitivo e calmante. Seguendo rigide regole di pittura, da lei stessa inventate, l’artista raggiunge un profondo senso di origine senza tempo, uno stato di chiarezza tale che l’umanità risulta negata nella sua forma corporea. I dipinti di Freisburger ti invitano a visitare una zona che è ovunque e da nessuna parte, dove le leggi della natura sono sconfinate: un luogo che non ha una sola verità. Il lavoro di Freisburger si ispira alla fantascienza classica, che l’artista considera qualcosa di più di un semplice modo divertente e necessario di contemplare lo sviluppo dell’umanità nel tempo. Senza citare e riprodurre direttamente elementi specifici di questo campo, i suoi dipinti vengono posizionati in un mondo antimaterialista, un approccio di cui c’è un profondo bisogno, nella realtà capitalista in cui viviamo oggi, e crea speranza per il futuro che verrà.

Eliška Konečná (1992, Repubblica Ceca) genera opere soffici e morbide partendo dallo sforzo di mostrare l’intoccabile realtà astratta, che lei interpreta nella dimensione materiale. I materiali e le tecniche alternative come l’intaglio del legno o il ricamo, che prima erano emarginati e appartenevano ad una tradizione artistica piuttosto artigianale e decorativa, sono al centro della sua ricerca artistica. Veniamo invitati ad immergerci nel mondo dei suoi manufatti artigianali in equilibrio sul confine fugace, tra veglia e sonno, universo tattile e immateriale. Le forme fluttuanti dei suoi bassorilievi lignei o morbidi sottolineano spesso la trasgressione del corpo e le sue narrazioni visive, legate alla corporeità, percepita attraverso il prisma dei desideri e delle pulsioni. l lavoro di Konečná nasce da questo impegno a mettere in evidenza l’impalpabile realtà astratta, che lei trasforma in dimensione tangibile. I materiali e le tecniche alternative come l’intaglio del legno o il ricamo, che in precedenza erano emarginati e appartenevano a una tradizione artistica piuttosto artigianale e decorativa, sono al centro della sua ricerca artistica.