I tempi cambiano. La società cambia. Le usanze cambiano. La lingua stessa cambia – per quanto termini come “vecchio” o “vecchia”, continuino a essere poco appropriati ed eleganti, come ci insegna la nostra lingua che da sempre suggerisce “anziano/a”.

Ho un caro amico ultra settantenne, che anziano non mi pare proprio. Otto anni fa si è messo a studiare l’arabo insieme a me, che all’epoca avevo quasi 40 anni. Lui ha proseguito negli anni, diventando sempre più bravo e arrivando a leggere e scrivere correttamente. Io ho mollato. Poi ho una cara amica con cui sette anni fa ho fatto un viaggio di gruppo all’estero. Lei, all’epoca pensionata ultra sessantenne, sempre in movimento e mai stanca, si allontanava spesso dal gruppo per fare fotografie in giro e la sera aveva ancora voglia di uscire. Io la sera, invece, crollavo sul letto.

Persone così, possiamo definirle “anziane”, nel senso “standard” del termine? A confronto con la mia capacità di resistenza, minata soprattutto da fattori di salute, questi miei amici “più anziani”, in forma fisica migliore della mia, stravolgono l’immagine tipica – e “poco luminosa” – di anziano poco dinamico e privo di interessi “forti”.

Certo una buona salute fa tanto nel definire la qualità della vita oltre i 60 anni. Così come le possibilità materiali ed economiche: avere una casa di proprietà, una buona pensione, la possibilità di accedere a cure mediche private o alternative in caso di bisogno (senza dover aspettare i tempi di attesa della sanità pubblica). Ma fa tanto anche il resto. Ovvero, tutto ciò che appartiene alla sfera del singolo individuo, la sua indole, l’approccio alla vita, il suo spirito generale di apertura, la curiosità, il desiderio di sperimentare e conoscere, di imparare ancora, di crearsi dei piccoli progetti da portare a compimento nel breve-medio termine. Sentirsi ancora pienamente “vivi” e produttivi ed energetici e propositivi, insomma.

L’etnologo e antropologo francese Marc Augé ha scritto un libro che tocca proprio questo tema, Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste (Raffaello Cortiana Editore, 2014). Sommersi da consigli online, su carta o via TV e radio, su come affrontare la vecchiaia, sopravviverne, tirarne fuori il meglio, noi diamo per assodato che questa età sia come ci è sempre stata presentata: un vincolo. Mentre Augé, pur non fornendo soluzioni finali, offre spunti di riflessioni interessanti sulla rappresentazione mentale “rigida” che normalmente ci facciamo della vecchiaia. Secondo l’antropologo, la vecchiaia è soggetta a relativismo e cambia a seconda del punto di vista: se consideriamo l’età (com’è tipico nella cultura occidentale), appunto, la vecchiaia è una serie di limitazioni. Se, al contrario, consideriamo il tempo, della vecchiaia, allora si trasforma in una serie di libertà – con un’accezione decisamente più positiva. Augé porta come esempio di atteggiamento “costruttivo” verso la vecchiaia la sua gatta Mounette. Con il passare del tempo, la gatta riesce ad adattarsi meglio ad una minore prestanza fisica, senza mostrarsi insofferente, e quindi vincolata, all’età matura.

Certo, la vecchiaia è un dato di fatto, esiste sul piano fisico e cognitivo. Quel che cambia o può cambiare, è la nostra rappresentazione di questo passaggio, l’approccio verso quelle che la cultura occidentale definisce limitazioni. Attraversare placidamente tutte le fasi della vita pare essere la soluzione più indicata – proprio come fa la gatta di Augé. Purtroppo, la salute non sempre è dalla nostra parte, quando siamo “diversamente giovani”, ma in realtà può esserlo anche da giovani, a ogni età. L’importante è averne cura, non solo della salute fisica, ma anche di quella intellettuale, psico-emotiva, relazionale. Prendersi cura della a salute a tutto tondo, in modo olistico – come ci suggeriscono le tradizioni mediche orientali.

Una riflessione particolare riguarda le donne: secondo le stime del 2020 dell’Istat, in Italia le persone over 75 sono 7.058.755, di cui il 60% donne. Qualche giorno fa, leggevo una lettera dentro la rivista iO Donna nr. 29 di sabato 14 agosto 2022, dove una lettrice, Donatella, scriveva così alla redazione: "Credo che l’età delle pensioni possa essere preziosa, perché permette per la prima volta nella vita di avere finalmente del tempo da dedicare alle proprie passioni senza farsi schiacciare dalle richieste della famiglia. Va bene i nipotini, le incombenze dei figli, eventuali anziani più anziani di cui occuparsi: ma è giusto anche ascoltare le proprie esigenze, trovare del tempo per sé. Se non ora, quando?"

Donatella rappresenta quel 60% di donne in età da pensione che hanno voglia di sentirsi ancora attive, se non creative. Lei, per esempio, in pensione si è messa a dipingere, passione che ha sempre avuto ma non è mai riuscita a coltivare prima. Di questo 60% di donne over 75, l’Istat ci fornisce un altro dato a riguardo: la metà vive sola. Ed è qui che entrano in gioco, sempre più frequentemente, forme di solidarietà e convivenza “alternative”. Se ne parla da anni, e negli anni sono nati vari progetti di co-abitazione, in Italia e all’estero, come La maison des Babayagas francese, una residenza nata alla fine del 2012 nella periferia parigina di Montreuil, riservata esclusivamente a donne over 60. L’obiettivo? Vivere la vecchiaia in compagnia, ma in libertà. Un controsenso? Non proprio: la casa accoglie 21 donne di ceto medio, che mettono assieme mezzi e risorse, per vivere una vita di comunità e cura autogestita, con spazi comuni. Donne impegnate nel sociale che organizzano, una volta a settimana, cene con la gente del quartiere o associazioni del territorio. E che hanno pure, tra i loro progetti, quello si creare una università popolare che proponga temi incentrati sulla sfida dell’invecchiare “bene”. Donne che comunque non rinunciano, quando serve, ai propri spazi personali, di “sana solitudine”, in cui sentirsi pienamente libere di fare quel che più vogliono o sentono – fosse anche starsene tutto il giorno chiuse nella loro stanza.

La vecchiaia, dunque, non viene negata, ma accolta e vissuta con i propri mezzi, le proprie caratteristiche, meglio se in condivisione. La vecchiaia continua a esistere, come fase della vita che può rivelarsi complessa e sfaccettata. Ma rimane comunque una fase che contiene ancora possibilità. Quel che può essere utile, dentro di noi, per tenere sempre ben “accese” queste possibilità, è l’apertura verso un nuovo modo di concepire la famiglia: se non posso vivere con la mia famiglia o non ne ho una, me ne posso creare una “non di sangue”, con scopi e valori comuni. Un nuovo modello con uno spazio privato per dormire, e altri spazi e servizi comuni e la ripartizione delle spese. Può essere utile, soprattutto, per ognuno di noi, provare anche solo a immaginare un welfare diverso, dove la sicurezza e il benessere vengono garantiti in modi nuovi. Chissà che poi questo immaginario non venga gradualmente riconosciuto e supportato “ai piani alti”, così che possa prendere forme concrete ed essere un buon esempio per l’intera collettività.